I Domenica di Quaresima (C)



ANNO C - 17 febbraio 2013
I Domenica di Quaresima

Dt 26,4-10
Rm 10,8-13
Lc 4,1-13
IL DESERTO, LUOGO DI
MANIFESTAZIONE DI DIO

Fa sempre impressione constatare il rifiuto che molti oppongono di fronte alla memoria della propria storia, soprattutto quella recente. Lo tocchiamo con mano tutte le volte che, nei confronti dell'immigrazione, il livore aumenta se qualcuno ci ricorda che i nostri nonni, se non addirittura i nostri padri, hanno riempito transatlantici e treni per andare a cercare pane e fortuna in terre straniere. Il mare mediterraneo non è ormai soltanto la tomba di un intero popolo di migranti, è anche lo specchio impietoso del fatto che a volte non c'è grande differenza tra gli italiani del terzo millennio dopo Cristo e gli egiziani del secondo millennio prima di Cristo: agli immigrati viene sempre e comunque imposta la legge dell'umiliazione e della schiavitù. Eppure, fa parte della professione di fede israelita come fa parte del canto del Magnificat che apre il Vangelo la certezza che Dio sta dalla parte di coloro che devono essere liberati, non dalla parte dei potenti che, prima o poi, verranno rovesciati dai loro troni.

L'offerta annuale del pane come segno di restituzione carica di gratitudine e di attenzione per coloro che sono affamati, dà corpo alla confessione di fede e ci ricorda che parole e pani vanno sempre tenuti insieme. Nella vita, prima ancora che nel sacramento. Come avevano insistito a tempo e fuori tempo i profeti, pure Paolo ricorda ai cristiani di Roma che Dio non si celebra con le labbra soltanto, ma anche col cuore. Un cuore capace di gratitudine: a cosa serve ricordare la propria storia di liberazione o offrire al tempio la cesta dei pani se non a rendere grazie a Dio? Oppure: a cosa serve celebrare milioni di eucaristie domenicali se non ci lasciamo convincere che il pane è di tutti perché è dono di Dio?

Come per Israele, anche per Gesù l'esperienza del deserto non costituisce semplicemente un antefatto o un episodio chiuso in sé. Determina piuttosto la prospettiva di fondo di tutta la storia del popolo che Dio s'è scelto e di tutta la storia del suo Messia. Perché le tentazioni sono le stesse, per Israele come per Gesù e per la sua Chiesa. Solo se si superano, il deserto fiorisce ed è esperienza che insegna al cuore la gratitudine.

Le tre tentazioni sono chiare, la fame, l'idolatria del potere, l'arroganza religiosa, e sono davvero diaboliche, mirano cioè a dividere ciò che Dio ha unito. La fame attenta alla vita perché altera la comprensione della vita umana. La risposta che Gesù dà al tentatore va considerata la chiave d'interpretazione della tentazione stessa: chi è l'uomo? Che cos'è la vita? Quando si sentono i morsi della fame, una sola è la necessità, uno solo il desiderio, una sola la speranza, e proprio per questo la vita diventa meno umana. La fame fa dimenticare che la vita non ha bisogno soltanto di pane per essere tale.
Per questo Dio non vuole che qualcuno abbia fame né permette che il suo popolo nel deserto sia prostrato dalla fame. E il Figlio di Dio sa molto bene che la manna, mentre saziava la fame di pane, saziava anche il bisogno di Dio, confermava nella fiducia e apriva alla speranza. Perché era un pane donato giorno dopo giorno e un pane per sostenere lungo il cammino. Se il "pane" perde questa ricchezza di significati, ciò che è umano perde i suoi significati. Né sarebbe possibile capire l'ultimo gesto di verità e di amicizia compiuto da Gesù prima di andare verso la morte.

La seconda tentazione è l'idolatria del potere che è anche, nello stesso tempo, tentazione del potere come idolatria. Il diavolo, colui che divide, pretende di far credere che Dio possa cedere ad altri il suo potere. È esattamente questa, lo sappiamo molto bene, la logica del potere. Far credere di essere stato investito dall'alto, addirittura da Dio stesso, e chiedere così adorazione.
Nelle civiltà antiche questo legame tra potere e idolatria era perseguito in modo del tutto appariscente, attraverso la divinizzazione dei faraoni o degli imperatori romani. Oggi, l'alleanza potere-idolatria sceglie strade più subdole per sedurre e conquistare. Solo l'atto di culto a Dio, il riconoscimento riconoscente a lui può opporsi all'asse potere-idolatria perché restituisce solo a Dio il diritto divino sul potere e attesta quindi la piena libertà degli uomini da ogni altra pretesa totalizzante. Un culto profondamente eucaristico, però, capace di dare volto solamente alla gratitudine.

La terza tentazione è l'arroganza religiosa. Il delirio religioso è l'altra faccia della fede. Ne facciamo esperienza ogni giorno, dentro tutte le tradizioni religiose, sia pure con differenze di toni e di modi. Solo l'uomo religioso può arrogare a sé il diritto di sostituirsi a Dio. Buttarsi giù dal punto più alto del tempio di Gerusalemme è metafora della pretesa di autosufficienza a cui può condurre l'ideologia religiosa. La fede religiosa può essere nient'altro che altezzosa sicumera e rendere presuntuosa mente inespugnabili. Mette, così, alla prova Dio. Luogo delle tentazioni, il deserto in cui Israele e Gesù hanno portato avanti il loro cammino di liberazione, è stato però anche luogo di epifania di Dio. Come la croce: per questo la memoria del deserto delle tentazioni prepara alla Pasqua.
VITA PASTORALE N. 1/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
torna su
torna all'indice
home