V Domenica del Tempo ordinario (C)

ANNO C - 10 febbraio 2013
V Domenica del Tempo ordinario

Is 16,1-2a.3-8
1Cor 15,1-11
Lc 5,1-11
LA FORZA
DELLA PAROLA

Per Luca, parola di Dio e persona di Gesù coincidono. Forte, poi, è l'attenzione dell'evangelista nei confronti della sua Chiesa che va richiamata alla forza della profezia. Non è vero poi, come spesso si dice, che Luca dedica il suo primo libro alla cristologia, mentre negli Atti degli apostoli, egli si occupa piuttosto della vita della Chiesa nascente. In realtà, già il terzo vangelo è fortemente caratterizzato in senso ecclesiale e il racconto della chiamata alla missione dei primi discepoli ne è chiara conferma.

Il racconto della pesca miracolosa presenta Gesù come maestro, come taumaturgo e come fondatore di una comunità di discepoli. All'inizio, Gesù è solo, si muove tra una città e l'altra, predica, fa miracoli. Insegna nelle sinagoghe e, anche se a Nazaret viene rifiutato dai suoi concittadini, la sua fama si diffonde per tutta la regione. Gesù ha anche il potere di fare miracoli come alcuni profeti dell'antica alleanza e come alcuni rabbini, o come altri santi uomini di Israele. Uniti alla sua parola, però, i suoi miracoli danno corpo a un unico messaggio di salvezza.

Il linguaggio usato dall'evangelista rimanda però con evidenza all'esperienza comunitaria di una Chiesa che vive nella fede già da un certo tempo. Al centro del racconto, vera protagonista, sta la parola di Dio: Gesù è presentato come colui che insegna a folle che sono spinte dal desiderio di ascoltare la parola, e Pietro, provato da una pesca stancante e infruttuosa, cioè da una missione che non dà i frutti sperati, è presentato come colui che deve dare fiducia a quella parola.

Per richiamare alla fiducia e alla perseveranza una comunità che inizia a sentire il peso degli anni, che ha perso lo smalto dell'entusiasmo iniziale, che fatica a ritrovare se stessa, Luca traduce allora la memoria della chiamata dei primi discepoli in un appello ai responsabili della comunità a ritrovare il vero centro della loro azione: la parola di Dio, la predicazione, l'istruzione. Che la predicazione non attira le folle, anzi le respinge, è sotto gli occhi di tutti: perché, d'altra parte, andare ad ascoltare parole che, prima ancora di essere pronunciate, sono vecchie e stanche? O esortazioni ad essere sempre diversi da quello che si è, o affermazioni che rendono perplesse le intelligenze e freddi i cuori? Pietro ha ragione quando lamenta che si può anche predicare tutta la notte senza arrivare a convincere nessuno, senza riscaldare il cuore di nessuno.

Di fronte alla pretesa di Gesù di riprendere una pesca pesante e infruttuosa, la stanchezza di Pietro è paradigmatica: secoli di missione cristiana la confermeranno come situazione che scandisce la vita delle Chiese in modo persistente. Certo, i motivi che rendono la missione delle Chiese sterili possono essere molti, a seconda dei tempi e delle situazioni. Vi concorrono anche fattori esterni non favorevoli, a volte perfino ostili. È giusto quindi cercare antidoti, sostegni, impulsi.

Se le reti restano inesorabilmente vuote, però, non è certo colpa dei pesci e per Luca in tempo di crisi non si deve discutere se i pesci ci sono o no, se il mare è troppo mosso, se le reti sono rotte. La reazione di Pietro è eloquente: lanciarsi di nuovo nell'avventura della pesca, nell'avventura missionaria chiede entusiasmo per ricominciare, ma chiede soprattutto coraggio per partire da ciò che veramente conta. Non è scontato. Anzi, Pietro deve convertirsi: contro qualsiasi evidenza, deve ammettere che se la pesca non era riuscita era per colpa sua e non dei pesci.
Che cosa lo renda peccatore è facilmente ricavabile dal contesto perché il peccato di Pietro può essere soltanto uno: darsi da fare, gettare le reti della missione, confidando su altro, non su Gesù e sulla sua parola. È il peccato delle Chiese che, in tutti i tempi, accompagna l'esperienza ecclesiale in cui all'ininterrotta catena della predicazione del Vangelo s'intreccia la tendenza a cedere a un attivismo da "grandi opere" ma inadeguato a produrre frutto.

Come è arrivato a Paolo e a tutti coloro che sono venuti dopo la generazione dei discepoli storici di Gesù, il Vangelo è arrivato anche a ciascuno di noi: la Chiesa di cui Pietro è espressione non è un'astrazione né qualcosa che riguarda sempre e solo gli altri. Ciascun cristiano ha ricevuto la fede trasmessa attraverso la parola e per ciascuno è reale l'esperienza d'incapacità e di resistenza a captare la forza e l'efficacia della parola di Gesù.
La nostra ragione e la nostra prudenza ergono spesso un muro di fronte alla "sfrontatezza" del Vangelo, le calamità naturali e la violenza umana ci portano a indurire il cuore, vivere in un'epoca confusa e decadente fiacca la nostra capacità di dare fiducia e di conservare la speranza. Anche Simone, lungo tutto il suo cammino di discepolo, conoscerà l'incertezza e cercherà di darsi alla fuga. Le prime parole che Luca gli fa pronunciare all'inizio del suo vangelo sono la chiave di tutta l'esperienza di fede di ogni credente e di tutta la Chiesa. Parole di verità sulla propria debolezza e parole di fiducia sulla forza del Vangelo. Parole su cui il Dio della Bibbia pronuncia ancora una volta la sua parola di benevolenza e di grazia: «Non temere».

VITA PASTORALE N. 1/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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