SS. Corpo e Sangue di Cristo (C)

ANNO C - 2 giugno 2013
SS. Corpo e Sangue di Cristo

Gen 14,18-20
1Cor 11,23-26
Lc 9,11b-17
LA PRESENZA DI DIO
NEL CORPO E SANGUE

Gesù lo aveva promesso: quando due o tre si riuniranno nel suo nome, egli sarà in mezzo a loro. Una volta risorto, poi, aveva confermato la sua promessa di essere con i suoi fino alla fine dei tempi. Alla fine del ciclo pasquale, la liturgia cattolica pone di nuovo l'accento su questa presenza di colui che è vivo in mezzo ai suoi. Una presenza che non cancella nulla, ma tutto conferma, perché il luogo di questa presenza resta il fatto della sua incarnazione, il suo corpo e il suo sangue, la ratifica definitiva e assoluta dell'amore di Dio per il mondo che è uscito dalle sue mani. Gesù è stato ed è la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. È il tempio, è il regno, è la gloria di Dio che ha preso definitiva dimora con gli uomini. Una presenza nel corpo e nel sangue della sua incarnazione che, come l'evangelista Luca ci tiene a sottolineare, è percepibile ormai solo nel segno sacramentale. Nel racconto lucano della moltiplicazione, chiara è l'allusione all'eucaristia ed esplicito è il richiamo al racconto dei due di Emmaus per i quali la Pasqua rivela il suo vero significato solo nella benedizione del pane.

Luca inquadra il miracolo nell'attività "ordinaria" di Gesù, instancabile, ma "ordinaria": Gesù predica il Regno alle folle e guarisce tutti coloro che ne hanno bisogno. Per questo è il Dio-con-noi. La sua presenza è notizia di salvezza e cura da qualsiasi infermità. In questa "ordinarietà" del modo di essere di Dio in mezzo agli uomini sta tutta la "straordinarietà" del regno di Dio. Come nell'ordinarietà di un pezzo di pane sta tutta la straordinarietà della presenza di colui a cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Per questo, come nella parabola del seme, il raccolto promesso e atteso è abbondante, così anche i pani e i pesci benedetti sovrabbondano a ogni necessità.

L'ambientazione della scena in una zona desertica e al calare della sera non ha lo scopo di dare al fatto una suggestiva cornice scenografica. La predicazione di Gesù e l'annuncio del Regno, infatti, spingono sempre ad andare da un'altra parte. La tradizione biblica ne ha fatto il modello per eccellenza: l'esperienza di alleanza tra Dio e il suo popolo avviene solo "fuori", in un luogo deserto. Non si tratta di indulgere su un elemento mistico o su una colorazione romantica dell'esperienza di fede, ma di riconoscere che è possibile sentire la presenza di Dio solo lì dove nessuno può accogliere né saziare, nessuno può ospitare in una casa. Solo lì dove altre presenze non suppliscono in nessun modo, non colmano, sia pure provvisoriamente, attese e bisogni. Dio è l'unico che può rendere ospitale il deserto.

Rendere la vita ospitale significa svelarne il significato, abitarne il segreto, renderla soddisfacente, agevole, priva d'insidie. Significa sfamare non del necessario, ma nell'abbondanza. Significa dare alla vita un "oltre" che supera ogni bisogno. Non ci basta avere una casa e mangiare, ripararci dalla notte in un alloggio e trovare, il cibo necessario a vivere. Non è questo il regno di Dio. È vero, per Gesù, predicare alle folle il regno di Dio non ha significato alienarle dalla vita, plagiarie e ammaliarle e poi lasciarle in balia di sé stesse. La sua predicazione del Regno come, in seguito, quella dei suoi discepoli, ha imposto di seguirlo anche in modo incondizionato. Come fuori misura e fuori controllo sembrano anche le situazioni che si aprono grazie alla predicazione: un successo e una fama inattesi per Gesù, ma anche una risposta e un'adesione altrettanto inattesi per coloro che hanno predicato il Vangelo dopo la risurrezione. La missione deve confrontarsi sempre con questa logica. Non è un'azione mondana che soggiace alle leggi della pianificazione né al buon senso delle reazioni. Impone sempre di fare i conti con la questione fondamentale: chi predica il Regno o predica il Vangelo in che cosa deve confidare quando si trova, inevitabilmente, ad aver spinto le folle nel deserto? Da dove viene sostegno, cibo, forza? Le prime comunità dei credenti nel Risorto lo hanno sperimentato, come sono chiamate a sperimentarlo tutte le comunità cristiane delle generazioni future: dove e come Dio si fa presente, tangibile, efficace? Dove e come il deserto diviene luogo abitabile, la vita diviene ospitale?

La presenza di Dio che ha reso il deserto della vita abitabile, la presenza di Dio nell'annuncio del Regno a tutti gli uomini, la presenza di Dio nel corpo e nel sangue di colui che quel Regno ha annunciato, la presenza sacramentale di Dio nel segno eucaristico hanno il suggello dell'abbondanza. Oltre la sazietà del momento, oltre la generazione di coloro che hanno sperimentato per primi, oltre la fede dei padri: ormai la presenza di Dio tra le dodici tribù dell'Israele escatologico non è solo definitiva, è sovrabbondante.

Da sempre, ogni volta che celebrano l'eucaristia, le comunità cristiane continuano, come Paolo, a trasmettere quello che hanno ricevuto dal Signore. La tradizione cattolica ha voluto anche enfatizzare, però, il segno di una presenza che, dalla celebrazione, trabocca nella vita. Fame un simulacro o un talismano da ostendere per favorire la devozione popolare, purtroppo, non è difficile. Dovremmo ricordarci che, per la grande tradizione patristica, anche i poveri sono segno della presenza di Dio e meritano la stessa venerazione del pane disceso dal cielo.

VITA PASTORALE N. 4/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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