XXV Domenica del Tempo ordinario (C)

ANNO C – 22 settembre 2013
XXV Domenica del Tempo ordinario

Am 8,4-7
1Tm 2,1-8
Lc 16,1-13
L'INCOMPATIBILITÀ
TRA DIO E MAMMONA

Luca ci mette di fronte a un brano tutt'altro che lineare e, soprattutto, poco edificante. In un tempo come il nostro, in cui tutti rischiamo di pagare un conto molto salato per la spregiudicatezza e gli inganni di tanti amministratori scaltri, ci è difficile riconoscere in figure come queste i caratteri dell'annuncio evangelico. Amos era stato, secondo l'abitudine profetica, più esplicito e netto: chi calpesta il povero con la furbizia del bottegaio che profitta di tutto non ha scampo davanti a Dio.
Però, il fatto che gli evangelisti abbiano conservato e trasmesso le parole di Gesù anche quando esse risultano non soltanto difficili da mettere in pratica, ma anche complicate da capire e abbiano cercato di illuminarne il senso applicandole alla vita di fede delle proprie comunità ci mette in guardia da facili semplificazioni troppo spirituali e ci invita a interrogarci su quello che il messaggio di Gesù pretende da noi. Oggi come allora.
Nel suo contesto originario, quello cioè della predicazione di Gesù, probabilmente la parabola dell'amministratore scaltro doveva far riflettere i giudei sulla loro ottusità e sul loro rifiuto della proposta di Gesù. Doveva richiamarli al fatto che chiudersi di fronte a un regno di Dio annunciato anche a coloro cui non sembra spettare né per diritto né per merito è anzitutto attestazione di grande stupidità: come si fa a essere più censori di Dio stesso?

Almeno per intelligenza e scaltrezza, insomma, i figli d'Israele avrebbero dovuto evitare di opporre resistenza alla chiamata di pubblicani e peccatori. Se pubblicani e prostitute ci precederanno nel regno di Dio, facciamoci furbi e mettiamoci in fila dietro di loro! È una delle parole più scandalose di Gesù verso il perbenismo religioso e la sicumera di chi pensa di sapere chi Dio farà entrare e chi no nel Regno. Se non per convinzione, almeno per furbizia dovremmo capire che è stupido, a chi ti apre sul domani della venuta di Dio, opporre la resistenza di chi sta bene nell'oggi della pratica religiosa.
Alla parabola dell'amministratore scaltro fanno seguito due detti di Gesù sulla scaltrezza come virtù indispensabile per entrare nel Regno. Segue poi un insegnamento sulla fedeltà. Infine, un altro detto di Gesù sull'impossibilità di servire due padroni conclude il discorso con un insegnamento sapienziale: servire contemporaneamente Dio e il denaro è impossibile. Questo, che appare come l'elemento più comprensibile dell' insieme, contraddice il senso della parabola iniziale. Un bel rompicapo, dunque, su cui bisogna accettare di dire solo poche cose per volta, sapendo che spesso per gli evangelisti è più importante conservare e trasmettere le parole di Gesù che non assicurarsi che esse siano chiare e distinte.

La sequenza di detti con cui Luca correda la parabola ha come tema comune quello della ricchezza, ma con significati molto diversi. Domina il riferimento alla ricchezza disonesta, ma poi nel detto finale non c'è più possibilità di fraintendimento: è sancita con fermezza l'incompatibilità tra Dio e mammona. Luca sa molto bene, però, perché è la realtà in cui vive e si dibatte la sua comunità, che l'incompatibilità tra Dio e mammona non ne rende del tutto impossibile la coabitazione. E forse il misterium iniquitatis per eccellenza che accompagna e scandisce da sempre la vita delle comunità cristiane. In esse, Dio e mammona sono serviti insieme. Con infiniti equilibrismi e distinzioni, si mettono a tacere coloro che si occupano dei poveri e si difendono i diritti di Dio con le armi. Si serve così l'evangelo di mammona.
Il possesso delle ricchezze e la relazione tra ricchi e poveri all'interno della comunità cristiana è problema di ieri come di oggi: l'evangelista non condanna nessuno, ma non cessa di chiedere una giusta distribuzione dei beni. L'ideale è che il denaro sia distribuito, non accumulato con egoismo per utilità soltanto privata. Gesù fa capire che il denaro non è causa di condanna, può addirittura diventare mezzo di salvezza a condizione che coloro che hanno più ricchezze non dimentichino le necessità di coloro che ne hanno meno o non hanno nulla.

Luca è l'evangelista che di più ha sofferto la situazione di una Chiesa ormai lontana dai tempi iniziali della missione, una Chiesa radicata nell'impero, una Chiesa che guarda al suo inserimento nel mondo e non alla sua tensione verso il Regno. Consapevole di tutto questo, Luca però non addomestica l'evangelo e al contempo fa i conti con gli adegua menti imposti dalla storia. Senza Luca, in fondo, l'evangelo di Gesù non sarebbe arrivato neppure a noi. Né, d'altra parte, Papa Francesco potrebbe continuare a ricordare senza sosta che i poveri sono la misura della fede della comunità cristiana.
Anche il nostro comportamento, infatti, e quello delle nostre Chiese è ambiguo. Il Vangelo ci interpella a riconoscere la presenza del Regno, ma continuiamo a fare come se niente fosse e ad affidarci a sicurezze effimere. L'amministratore scaltro ci ricorda che ciò che è urgente per la salvezza non può essere rimandato al domani. La decisione di convertirsi al Vangelo è imperiosa: non s'impone con la forza, chiede intelligenza e coraggio. L'amministratore scaltro ha capito che la regola fondamentale su cui si regge il regno di Dio non è certo rubare ai poveri, ma condonare i debiti.

VITA PASTORALE N. 8/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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