Gesù Cristo, Re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O. (C)

ANNO C - 24 novembre 2013
Gesù Cristo, Re dell'universo - XXXIV Dom. del T.O.

2Sam 5,1-3
Col 1,12-20
Lc 23,35-43
IL REGNO DI DIO NON
È DI QUESTO MONDO

Anche se l'origine della festa di Cristo Re ha una dimensione polemica e reazionaria, essa conserva un contenuto di grande valore teologico e morale grazie alla sua collocazione nell'anno liturgico e ai testi biblici che ne delineano l'orizzonte di significato. Ricapitolare, al termine dell'anno liturgico, tutta l'opera salvatrice di Gesù Cristo in una festa che esalta insieme sia le radici storiche che la fine gloriosa del suo itinerario messianico riassume mirabilmente tutto lo svolgimento dell'opera di Dio nei confronti dell'umanità.

Lungo il corso dell'anno liturgico abbiamo seguito l'intero sviluppo del processo salvifico compiuto da Dio. Tra il racconto del libro di Samuele e il frammento lucano della passione c'è stretta continuità: il Messia, figlio di Dio, avrebbe dovuto esprimere l'amore di Dio fino alla sofferenza e alla morte. Ma la tappa finale, gloriosa, dell'itinerario messianico è descritta nell'inno della lettera ai Colossesi: Gesù Cristo possiede la pienezza della sua gloria, è il centro di tutta la creazione, è il primogenito della nuova vita che, per la forza dello Spirito, sostiene tutto il creato.
In Luca, poi, regalità e morte in croce s'intrecciano in un racconto di grande forza evocativa. Siamo ormai alla fine della vicenda storica di Gesù e proprio su questo crinale, cioè di fronte alla croce, va posta la domanda sulla sua regalità. Si può proclamare Gesù re e tradirlo, fame oggetto di scherno. Oppure si può fame oggetto di ricordo, di affetto, di riconoscenza, ma non per questo riconoscere la sua signoria.

La festa di Cristo Re, allora, più che come atto di affermazione di fronte al mondo, interpella la Chiesa sul suo rapporto con il potere, con tutti i poteri. Quel crocifisso mascherato da re e deriso come re dovrebbe forse farci riflettere: con la sua predicazione Gesù ha annunciato il regno di Dio, ma non ha mai permesso che qualcuno lo considerasse re, che il suo messianismo venisse confuso con un potere politico, che la fiducia nella signoria di Dio sulla storia del suo popolo fosse confusa con la forza politica del suo popolo. Nessun integralismo, nessuna commistione tra signoria di Dio e potere politico può essere in sintonia con l'annuncio del Regno. Come mostra il racconto delle tentazioni e quello della passione, dall'inizio alla fine il messianismo di Gesù ha dovuto fronteggiare la tentazione dell'integralismo, e il suo processo, la sua condanna, la sua crocifissione, fino alla scritta ambigua messa sopra la sua croce a monito per tutti, mostrano che tutta la forza dell'annuncio della buona notizia del Vangelo di Gesù Cristo poggia proprio su un Regno di cui nessuno è re come gli uomini vorrebbero.

Il racconto della concitata scena della crocifissione ha dunque per Luca valore discriminante. Secondo lui, i tre poteri, quello religioso, quello militare e quello giudiziario reagiscono nell'unico modo consono a chi si sente insidiato e messo in discussione dall'annuncio dell'unico supremo potere, quello di Dio. I capi religiosi hanno gli argomenti per fare dell'annuncio di Gesù e della sua stessa persona una caricatura e farne così oggetto di scherno: conoscono la Bibbia, sanno usare parole forbite per ridicolizzarlo. È l'atteggiamento che prendono coloro che esercitano il potere della parola quando si trovano di fronte alla forza disarmante dello spirito profetico.
Il potere militare conta, invece, più sulla violenza dei fatti che su quella delle parole. Come sempre, i due poteri, quello religioso e quello militare, mostrano di non aver appreso nulla dalla storia che, per loro, è fatta solo di presente. Infine, il potere giudiziario scrive con furbizia sentenze ambigue, e per questo il cartello posto sopra la croce dice qualcosa che va ben oltre la vicenda singolare di quel profeta galileo che parla di Regno senza voler essere re, ma che il popolo vorrebbe fare re senza capire cosa sia il regno di Dio.

A questa prima scena Luca ne fa seguire una seconda in cui la polemica intorno alla regalità di Gesù tocca da vicino due persone precise, condannate con lui al supplizio. Il confronto, anzi lo scontro, tra due malfattori crocifissi e il loro diverso modo di rapportarsi a Gesù sfocia in un nuovo annuncio del Regno. Un annuncio efficace, che immediatamente compie quanto proclama, perché per Luca la parola di Gesù sulla croce ha ormai una forza sacramentale, compie cioè quello che promette. La Scrittura aveva intravisto che il Messia sarebbe stato crocifisso tra i malfattori. Luca anima la scena, e i malfattori giocano un ruolo esemplare. Fino alla fine egli predilige la tecnica narrativa della contrapposizione tra due personaggi. Forte e chiaro è il richiamo che l'evangelista rivolge ai suoi cristiani: il tempo della fede è tempo della scelta. O da una parte o dall'altra.
La croce diviene così il discrimen tra due possibilità di scelta: la bestemmia e il rifiuto oppure il timore di Dio e l'abbandono fiducioso. Si può attribuire a Gesù una regalità che è una bestemmia nei confronti del Regno che egli ha annunciato e per il quale non si è sottratto al supplizio e si può riconoscere a Gesù la sovranità di Dio su un Regno che non è di questo mondo. Questa festa che suggella l'anno liturgico mette in guardia i credenti sui tanti modi in cui fascinazioni trionfalistiche mortificano la fede, spengono la speranza, adulterano la carità.

VITA PASTORALE N. 9/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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