Io, moglie di un diacono


Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)

TESTIMONIANZA


Io, moglie di un diacono
di Ornella Di Simone

Io e mio marito siamo tornati a Napoli dopo sei anni di matrimonio e, con un po' di dispiacere, siamo andati ad abitare in un quartiere diverso da quello di origine, lontano da parenti, amici, e dalla parrocchia che ci ha visti crescere, in cui per tanti anni avevamo lavorato, ed in cui ci eravamo sentiti amati e protetti. Non ci eravamo ancora presentati al parroco del nuovo quartiere, quando, in nostra assenza, egli si presenta a casa per la benedizione pasquale delle famiglie.
Qui trova mia madre che, si sa come sono certe mamme, gli racconta tutti gli antefatti della nostra precedente vita parrocchiale. Di qui ad andarlo a trovare, il passo è stato breve, così come è stato breve il tempo trascorso, dopo il quale mio marito viene invitato da lui ad intraprendere il percorso di formazione al diaconato permanente. Come al parroco sia venuto in mente di proporlo proprio a lui che non conosceva bene, che non svolgeva alcuna attività nella parrocchia e che per il lavoro aveva pochissimo tempo a disposizione, per me è ancora un mistero.
Dopo qualche periodo di riflessione, l'invito viene accettato, anche perché iniziare questo percorso non doveva necessariamente significare raggiungerne l'obiettivo. Mentre mio marito si è trovato alla scoperta di un mondo nuovo (l'I.D.I.M., i compagni di percorso, lo studio), io mi sono ritrovata piena di perplessità. Il non poter seguire insieme i corsi costituiva per me un allontanamento da lui nel percorso spirituale che fino ad allora avevamo sempre fatto insieme: lui era lo shuttle che andava alla scoperta di nuovi mondi, io l'aereo che cercava di andargli dietro.
Per me, che avevo sempre svolto con lui qualsiasi attività, studio o percorso spirituale, questa divisione costituiva un pasto difficile da digerire, perché per la prima volta sentivo che qualcosa minacciava la comunione di vita tra di noi. Per fortuna mio marito è stato molto bravo ad aiutarmi perché riusciva quasi a farmi sentire presente ai corsi, raccontandomi non solo quanto veniva detto, ma soprattutto le emozioni, le riflessioni e i cambiamenti che quanto viveva suscitava in lui. Con l'andare avanti dei corsi e delle riflessioni, è emèrso un nuovo problema: in che modo il sacramento dell'ordine avrebbe potuto inserirsi in quello già esistente del matrimonio? E quale cambiamento avrebbe potuto portare tale sacramento nella nostra vita di sposi e di genitori? Non potrò mai dimenticare le parole che mi disse un amico sacerdote che ci seguiva insieme al gruppo famiglia che frequentavamo: «Attenta che tuo marito non diventi un mezzo prete!». Che cosa si preparava a diventare mio marito? Nel ricercare la risposta a tutte queste domande abbiamo coinvolto amici e sacerdoti, abbiamo cercato e letto libri, ma nessuna risposta ci è sembrata abbastanza convincente.
Ci preoccupavamo anche del fatto che, poiché il lavoro di mio marito si protrae per l'intera giornata, poco poteva restare per un impegno a tempo pieno in parrocchia, a meno che tale tempo non fosse stato tolto a quello già esiguo dedicato alla famiglia.
Un giorno un vescovo ha detto a mio marito: «Sii te stesso», e questa è stata la risposta più convincente che abbiamo potuto avere. Abbiamo finalmente capito, non solo a parole, ma nel profondo del nostro cuore, che il diaconato non è una questione di tempo, di compiti o di doveri, insomma non è una questione di "fare" ma di "essere" conformandosi a Cristo, ed in particolare a Cristo Servo.
Abbiamo capito che noi siamo già di Cristo perché siamo battezzati, che siamo già di Cristo come una cosa sola nella comunione, perché siamo sposati, che il sacramento dell'ordine specifica ed arricchisce ulteriormente una vocazione e che, anche se viene dato alla singola persona, porta una grande ricchezza a tutta la famiglia, così come quando una persona riceve un regalo talmente bello che non può tenerlo solo per se, ma ne fa godere a tutti coloro che ama.

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