Questo mistero è grande


Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)

RIFLESSIONI


Questo mistero è grande
di Giovanni Chifari


«Ama e fa ciò che vuoi» (Om. 7,8 del 20 aprile 407 d.C.). La celebre affermazione di Sant'Agostino, forse più citata che compresa, sintetizza bene lo stato di chi ha gustato quanto è buono il Signore (cf. Sal 34,9; 1Pt 2,3), e ha riconosciuto che il Dio che è amore (cf. 1Gv 4,8) è anche «la radice della carità», cioè l'unica sorgente dalla quale «non può procedere se non il bene» e quindi anche il servizio. Per le famiglie cristiane e per la singolare testimonianza dei diaconi sposati e delle loro famiglie fare memoria dell'esperienza di tale amore sarà occasione propizia e opportuna per purificare e rinnovare il proprio servizio, e offrire un apporto profetico in una stagione che sembra delineare un profilo di famiglia che non riuscendo a nascondere i limiti evidenti di uno stato di disorientamento e di empasse, ha smarrito il senso di ciò che doveva essere la differenza cristiana, sempre più spesso appiattita e omologata, silente e distratta.
Ci chiediamo cioè quale possa essere la volontà di Dio e quale apporto profetico sia richiesto in un tempo in cui la crisi della famiglia lascia intendere il livello della decadenza spirituale cui si è giunti, manifestando, come sottolineano teologi e filosofi, e con sfumature diverse sociologi e antropologi, una sorta di perdita di contatto con il presente, che non è più compreso e vissuto. Appare nella rapidità e mutevolezza delle cose, la crisi della mediazione relazionale e interpersonale, assorbita dallo scorrere cronologico e inevitabile degli eventi: la comprensione del passato e la visione del futuro è come privo di ogni carica di speranza.
Visto cos'è,diventata la famiglia oggi, nell'epoca delle "passioni tristi" e senza legami, nel tempo dell'oblio del desiderio, confluito nell'indifferente apatia relazionale e ancora nella stagione dell'analfabetismo affettivo, quale valore può assumere anche all'interno della riflessione ecclesiale e pastorale, l'esperienza matrimoniale dei diaconi? Quale possibile rapporto inoltre fra sacramento del matrimonio e sacramento dell'ordine sacro, nel suo primo livello?
L'amore degli sposi, e la loro nuzialità, esprimono il grande mistero dell'amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa. È questo il tema portante del capitolo 5,21-32 della Lettera agli Efesini, testo che esprime la sacramentalità del matrimonio cristiano e che qui è forse utile proporre, in alcuni passaggi, per offrire alcune riflessioni sulla spiritualità del diacono sposato. Egli, infatti, è prima sposo e poi diacono anche nella stessa scansione temporale delle scelte di fede che ne hanno contrassegnato l'esistenza. La prima scena che si presenta nel testo, a un primo livello empatico, può evocare un lungo repertorio di facili fraintendimenti o simpatiche diatribe di coppia. La frase della "discordia" è la nota affermazione riguardante le nostre gentili signore, quando si dice: «La moglie sia sottomessa al marito». A chi non sarà capitato, personalmente o osservando altri, di cogliere lo sguardo inorgoglito del marito verso la moglie, come per dire: «Hai sentito?». Distrazione fatale, capace di far passare in secondo piano quanto è detto dopo: «E voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei».
Scene abituali anche piacevoli che possono introdurci al tema della spiritualità della coppia cristiana, anche di quella del diacono sposato. Lì è vero, si dirà, i due coniugi sono distanti fisicamente durante la messa. Una è fra i banchi l'altro è all'altare, ma sappiamo bene che non è la prossimità fisica a indicare il livello di complicità o meglio di comunione della coppia, ma il loro essere uno dinanzi all'altro in Cristo, così come il Verbo è di fronte al Padre (cf. Gv 1,1). E anzi in questo senso, la distanza spaziale fra i due coniugi è annullata dal loro essere uno nello stesso tempo, quello della liturgia, il tempo di un sacrificio che è anche festa.
Ogni coppia che voglia dirsi cristiana, prima o poi avvertirà l'esigenza di ricercare e discernere la verità della propria storia, cioè i motivi per cui i due si sono scelti. Il passaggio decisivo sarà tuttavia quello di legare questa comprensione e saggezza umana della vita della coppia, che potremmo anche chiamare antropologia di base, con quella novità costituita dall'incontro con Cristo e dalla conoscenza di Lui e del suo amore. Per far questo è necessario porsi in ascolto della Parola per imparare a discernere i tempi di Dio, quello della prova e della sofferenza, come quello della gioia e della festa. Cammino evidente nella rilettura che propone il deuteronomista.
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant'anni. Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te» (Dt 8,2-5).
Sapere quello che la coppia ha nel cuore, o chi ha nel cuore, è allora una conoscenza necessaria per comprendere la diaconia della famiglia. Essa inizia per i coniugi con l'essere ministri uno dell'altro, in una diaconia che si esprimerà nella comune sottomissione. Realtà impossibile da sostenere senza quella pace che solo Cristo può donare. Essere sottomessi nel timore del Signore, per i saggi «principio stesso della sapienza» (cf. Pr 9,10), indica allora il sì della coppia alla signoria di Cristo, amato e conosciuto come il proprio Signore, come Colui attraverso il quale la salvezza entra nella propria storia e . nel proprio vissuto di coppia. In questa comune disponibilità mi sembra possa condensarsi la storia di un cammino inizialmente carico di individualità così come di attese e pretese che poi però s'intrecciano fra loro per ricollocarsi nella luce della conoscenza di Cristo e del suo. amore.
Percorso che sembra fotografare la storia di tante giovani coppie che potrebbero molto giovarsi dalla testimonianza di coppie "rodate" nel comune servizio in Cristo, come quelle dei diaconi sposati che con le loro famiglie dovranno sentirsi chiamati ad assolvere il delicato compito della mediazione e anche a un apporto di natura maieutica, in una pastorale sensibile all'accompagnamento di tutte quelle coppie che sono alla ricerca di un'identità matrimoniale e anche cristiana.
Per essi una testimonianza capace di annunciare l'intimo legame fra diaconia e sponsalità, potrà essere strumento perché anche altri facciano esperienza di quel Dio nascosto che si lascia tuttavia rivelare nell'umile servizio dei piccoli. Una diaconia che dovrà tuttavia confrontarsi con quelle che i sociologi definiscono "identità funzionali o modulari", cioè identità non più stabili e fisse. Questo significa che la famiglia alla quale si è annunciata la Parola oggi, domani potrà essere trovata divisa o separata anche legalmente. Il diacono sposato con la sua famiglia appaiono in questo contesto una risorsa forse ancora poco esplorata dalla Chiesa e poco considerata nell'elaborazione di itinerari pastorali e percorsi per le famiglie.

Dare se stessi
In Cristo conosciuto e amato, si potrà allora comprendere cosa significhi per la moglie essere sottomessa al proprio marito, come al Signore, e cosa significhi per l'uomo amare la propria moglie come Cristo ha amato la Chiesa, e nella consapevolezza che una certa conoscenza inorgoglisce mentre solo l'amore edifica (cf. 1Cor 8,1).
La famiglia diviene quindi luogo in cui le "relazioni calde" potranno inquietare le "relazioni liquide", incerte e frammentate di oggi. Il servizio vicendevole della famiglia del diacono sposato, possiede tuttavia un'ulteriore evidenza profetica forse ancora da esaminare. Ci domandiamo cioè cosa può significare per la sposa di un diacono essere sottomessa a un marito che per conformazione sacramentale e per grazia di stato è immagine del Cristo Servo, cioè di Colui che è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mc 10,43). Una tale sottomissione è forse da ricercare, come proprio ai diaconi ha ricordato Giovanni Paolo II a Detroit, nel contesto di un amore sacrificale che attira a sé perché radicato in Cristo: «L'arricchimento e l'approfondimento dell'amore sacrificale e reciproco tra marito e moglie costituisce forse il più significativo coinvolgimento della moglie del diacono nel ministero pubblico del proprio marito nella Chiesa».
Inoltre non è la conformazione al Cristo Servo quel sigillo di un servizio che per il diacono sposato troverà il suo primo locus proprio nella diaconia verso la sua sposa e verso i propri figli? Cosa allora può annunciare alla Chiesa e al mondo la spiritualità di una coppia e famiglia cristiana, dove il capo della famiglia, cioè un diacono, è icona del Servo? Potremmo spingerei ancora oltre. Com'è noto nelle origini cristiane, era pacifica la simultanea compresenza del sacramento del matrimonio e dell'ordine sacro. Così quando la lettera agli Efesini veniva proclamata nelle varie comunità, poiché spesso esse se le scambiavano a motivo di consolazione ed edificazione alla scuola della Parola, i destinatari di questo modello familiare e realtà sacramentale, non erano solo i "laici", ante litteram, ma i cristiani tutti, fra i quali coloro che svolgevano il ministero di episcopi, presbiteri e diaconi.
Ciò significa che ognuno secondo il suo stato di grazia, e nel proprio modo personale di essere in Cristo, diviene segno dell'unione e dell'amore di Cristo per la sua Chiesa. Similmente, a suo modo, anche il celibato ecclesiastico, è espressione di un'ulteriore modalità di essere in Cristo, anche se non concessa a tutti. Qui si vuole soltanto affermare che è indubbio che la grazia di stato, che sostiene i ministri sacri e il diacono in particolar modo, con la sua singolare conformazione a Cristo Servo, bene si coniuga con la realtà del matrimonio che implica l'essere ministro l'uno dell'altra, nella perseveranza, fino alla fine (cf. Gv 13,1; cf. Mc 13,1.3 e paralleli), suggerendo forse una strada per poter vivere in pienezza il senso di questa unione mistica che trova il suo sigillo anche nella debolezza della carne.

Una diaconia che svela l'eros e l'agape nuziale
Per questo la Scrittura insiste: «E voi mariti amate le vostre mogli» (Ef 5,25). Di quale amore si parla è detto subito dopo: «come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei». I diaconi sposati, che attraverso il loro servizio ministeriale, danno se stessi per tanti, dovranno cioè trovare la primizia di tale donazione in quello svuotamento e annullamento di sé che ogni giorno richiede il rapporto con il coniuge e con i figli, in modo inevidente ma graduale, quotidiano ma inconsapevole, offrendo solo la propria disponibilità e docilità all'azione della grazia, che poi completerà la sua opera. Un servizio magari encomiabile, rivolto verso tanti, ma in modo sporadico, è forse più illusorio e carico di una certa dose di altruismo capace, umanamente, di far star bene, rispetto ad una donazione senza maschere e filtri, costante e totale, forse recalcitrante o ingloriosa come quella vissuta in famiglia. Questa sarà certamente una delle "prove" cui allude la 1Tim 3,12-13.
Ciò non è detto in prospettiva etica ma per indicare come potersi disporre all'irruzione della grazia divina che opera il cambiamento mediante la conversione. Essa ogni giorno interpella l'uomo, nascondendosi nelle svariate vicissitudini della fatica quotidiana, non per scavare il solco di una sofferenza che distrugge, ma per edificare un giardino che possa produrre frutti. Essa agisce quindi amabilmente e docilmente, realizzando ciò che il diacono Francesco d'Assisi amava definire come perfetta letizia.
Se il marito riuscirà a testimoniare e trasmettere alla propria moglie la ricchezza di Cristo, ciò renderà bella, gloriosa, santa e immacolata la sua sposa (cf. Ef 5,27). Ma la ricchezza di Cristo, e i mariti diaconi lo sanno bene, è la povertà del suo servizio, il suo essere appunto diacono. Se allora all'interno della relazionalità di coppia si realizzerà tale osmosi, la bellezza delle relazioni interne pacificate dalla stabile dimora dell'amore trinitario, farà di quella famiglia una famiglia diaconale, aperta al servizio.
La multiforme varietà dei doni di Cristo sarà mediata dal diacono sposato, servo fedele, come dai colui che attinge dal cuore del Maestro la via per servire e salvare il corpo della sua sposa (cf. Ef 5,27). Questo è chiaramente detto di Cristo e della Chiesa, ma misticamente si estende anche nella realtà della coppia. La comunione della famiglia che vive il proprio amore come servizio per la comunità, con il singolare apporto del diacono sposato e della sua famiglia, mediante una grazia di stato che ne qualifica il servizio, si presenterà al mondo come strumento di Dio e della sua opera, come terapia per le attuali l società ferite.

(G. Chiari è docente di Teologia biblica presso l'Istituto di Scienze Religiose
"Giovanni Paolo II" di Foggia)


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