Porta fidei, una lettera per la comunità



Il diaconato in Italia n° 176/177
(settembre/dicembre 2012)

ANNO DELLA FEDE


Porta fidei, una lettera per la comunità
di Paolo Giusto

Porta Fidei è questo il titolo della lettera apostolica, in forma di motu proprio, che il Santo Padre Benedetto XVI ha scritto e indirizzato al Popolo di Dio l'11 ottobre 2011, per indire quello che lui stesso ha definito l'Anno della Fede. Vale subito dire che è bello constatare, già a partire dalla forma di comunicazione scelta (motu proprio) come si tratti di una lettera circolare, dal tono famigliare, finalizzata - in forma diretta appunto - a stimolare nuova comunione di vita del Popolo di Dio. Non espressione di potere, dunque, ma di affiato apostolico diretto del Pastore al suo gregge. Ed è proprio così che si lascia leggere questo bel messaggio.
Il documento avrebbe dovuto essere stato oggetto di immediata riflessione: la sensazione è che, almeno fino alla fine della scorsa primavera, non abbia attratto grande attenzione se non le consuete immediate sintesi giornalistiche; solo da qualche tempo se ne comincia a parlare più diffusamente.
In occasione dell'Epifania la Congregazione per la Dottrina della Fede vi ha fatto seguito con una Nota con la quale vengono offerte indicazioni pastorali circa lo svolgimento concreto di questo anno; il 21 giugno mons. Rino Fisichella ha tenuto una Conferenza Stampa di presentazione, con la fissazione degli eventi più importanti e delle relative date.
Cercherò di tenere presenti anche questi due autorevoli interventi in questo modesto servizio di rilettura del testo finalizzato a stimolare e facilitare la lettura personale di tutti quelli che vorranno farlo, o quanto meno informare i più pigri o quelli che, sfortunatamente, non avessero ancora potuto venirne a conoscenza diretta.

Linee essenziali
Porta Fidei è un documento agile, di non difficile lettura. Si compone di quindici paragrafi (o numeri secondo la dizione a noi più consueta), oltre una breve conclusione, e si lascia leggere d'un fiato, pur essendo denso di contenuti teologici, scritturistici e patristici esposti con particolare riferimento al "vissuto cristiano" nel mondo contemporaneo, con particolare riferimento al tempo che va dal Concilio Vaticano II ai giorni nostri. I primi tre paragrafi (numeri) costituiscono un preambolo imprescindibile e quindi da leggere con la massima attenzione. Essi forniscono le motivazioni di quello che è lo scopo dell'intera lettera; «indire un anno - dall'11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013 - di riflessione, preghiera e approfondimento della Fede» Citando la Sacra Scrittura (At 14,27) il Santo Padre ricorda a tutti come la comunione con Dio (che si realizza nella vita di fede) ha una porta, la cui soglia, che la introduce, siamo chiamati a superare per «uscire dal deserto verso la vita», che è amicizia con Figlio di Dio. Capita, tuttavia, che i cristiani si diano più preoccupazioni per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla Fede come ad una ovvietà. Secondo il papa i tempi non consentono più questa ovvietà, visto che il tessuto sociale al suo interno non accoglie più, largamente come in passato, i contenuti della fede, non si rifà ai valori da essa ispirati e, in grandi settori della società, si vive una profonda crisi di fede (senza neanche accorgersene).
«Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce si spenga». Questa esclamazione (cf. Mt 5,13-16), con cui si apre il numero 3 della lettera, conclude la parte introduttiva e apre a motivazioni e riflessioni di altro ordine. È possibile ravvisarne almeno tre. I «punti di partenza» della riflessione; i «segni» che sosterranno lo svolgimento di questo tempo di grazia e infine gli «strumenti» disponibili per accompagnare la riflessione.
a) I punti di partenza. Il riferimento principe è il 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II Poi il 20° anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta di eventi che hanno costituito pietre miliari di grandissima importanza, e il papa cerca di sottolinearlo riproponendoli all'attenzione del gregge.
b) I segni. Innanzitutto Benedetto XVI richiama il segno della «continuità della tradizione» (metodo ecclesiale sin dalle origini) ricordando come Paolo VI - pontefice di venerata memoria - nel 1967 volle indirne un altro (anno della fede) in clima "post Conciliare" e di grandi stravolgi menti epocali. Ma ulteriore segno importantissimo è e sarà la «testimonianza offerta dalla vita dei credenti (...) chiamati a far risplendere la Parola di Verità» (n. 6).
c) Gli strumenti essenziali non potranno che essere, dunque, i documenti conciliari e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
In questa prospettiva, l'anno della Fede diventa un invito ad «un'autentica conversione (...) nella libera disponibilità di ciascun credente (...) per una purificazione di pensieri, affetti, mentalità e comportamenti (...) divenendo così la Fede nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia la vita dell'uomo». Vorrei soffermarmi con voi un attimo a rileggere queste parole: spesso gli addetti ai lavori (teologi) cercano e ricercano definizioni della Fede. Mi pare che qui, senza dirlo apertamente, il papa ce ne fornisce una che, allo stesso tempo, è una sintesi meravigliosa non solo della Fede ma delle tre virtù teologali: movimento libero, accogliente e trasformante (dynamis vitale) di Cristo morto e risorto! Proseguendo (n. 7) Benedetto XVI evidenzia la testimonianza patristica (vita) di S. Agostino, al quale invita a guardare per trovare il «giusto percorso» che fa accedere alla Porta della Fede. Secondo Agostino «i credenti si fortificano credendo» (consapevolezza, adesione vigorosa, proclamazione, ovvero noi diremmo Catechesi, Liturgia, Vita). Per questo l'invito del Santo Padre (per tutti, a partire dai confratelli vescovi) è quello di intensificare la riflessione sulla Fede per renderla più consapevole (facendo memoria) e rinvigorire l'adesione al Vangelo, fino a rendere «pubblica professione del credo».
Il successivo sviluppo della lettera, partendo dalla constatazione/analisi di come nell'antichità il Credo (Simbolo) assumesse per il credente il valore dello Shemà Israel (cf. Agostino), giunge (cf. n. 9) ad esaminare e constatare attraverso un percorso biblico/teologico:
- cosa sia la professione di fede (Rm 10,10 e At 16,4);
- come la professione di fede sia atto personale e comunitario;
- come conoscenza e assenso costituiscano un necessario tutt'uno che introduce al Mistero della Salvezza rivelato da Dio;
- come in questo contesto culturale non manchi negli uomini la ricerca sincera del senso ultimo della vita inscritto nel cuore di ciascuno, stimolata come un «invito permanente per tutti a mettersi in cammino».
Da tutto questo scaturisce l'esigenza di utilizzare quelli che più sopra ho indicato come strumenti (il C.C.C., le Costituzioni Dogmatiche del Concilio e la Costituzione Apostolica Fidei depositum) ai quali il papa aggiunge la necessità di ripercorrere le tappe della Fede da Gesù e con Gesù (origine e compimento della Fede) attraverso Maria (donna della Fede) gli Apostoli, i discepoli, i martiri, tutti gli uomini e le donne (anelli della catena della fede) fino a Noi «parola del Dio vivente».
Siamo così giunti all'ultimo numero che contiene le conclusioni (n. 14). Il riferimento immediato scritturistico è: 1Cor 13,13 e Gc 2,14-18 (splendido accostamento che dovrebbe farci accapponare la pelle che fa risuonare le parole del n. 2 circa la ovvietà della Fede ai nostri giorni e alla confusione tra "fare" e "vivere"!): Fede e Carità non possono non andare a braccetto guardando alla Speranza (non «speriamo che io me la cavo», ma... noi scriviamo la Storia con Dio). Affidandoci a Maria - suggerisce il papa - rendiamo più saldo il nostro rapporto con Cristo Gesù, Signore nostro. Sì, mi permetto di aggiungere, perché solo Gesù, Cristo è la Speranza, la Fede, l'Amore.

Alcune indicazioni
Fin qui, almeno per la possibile ma certamente parziale lettura proposta, il documento Pontificio. Sembra dunque opportuno formulare delle domande, come credenti (e quindi personali) e come membri di una comunità di credenti (gruppo/parrocchia/diocesi... ecc), che tocchino in qualche modo le profondità del nostro essere nella Chiesa e quindi del nostro sentirci "chiamati" «ad una vita di fede nel nostro momento storico, nella nostra condizione di vita, nel luogo ove la vita ci ha posti o ci chiama ad andare»! Tutto ciò può e deve essere di ausilio a ciascuno di noi, nel suo stato di vita - personale e comunitario - per una opportuna riflessione e una decisa partecipazione costruttiva a questo tempo di nuova grazia che ci viene proposto: ognuno col suo talento da far maturare come carisma in favore di tutti.
La Congregazione ci ricorda innanzitutto che si tratta di una «occasione propizia» e quindi un grande dono offerto a tutti i «fedeli perché comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è l'incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Si tratta della citazione - che non deve sfuggirci - del N° 1 della Lettera Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI, citazione che qui appare come una pietra miliare per la riflessione personale e comunitaria di cui sopra.
Ricordando poi come l'inizio dell' Anno della Fede coincida - come abbiamo già avuto modo di dire - con il «ricordo riconoscente di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa», l'organismo ecclesiale ci aiuta a cogliere quell'inscindibile cammino personale (accoglienza) e comunitario (trasmissione) già a suo tempo delineato da papa Giovanni XXIII in occasione della solenne apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) attraverso l'indicazione che la dottrina «integra e pura, senza attenuazioni o travisamenti, certa e immutabile» indicata dal Concilio debba essere «rispettata, approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo».
Pare questo un caposaldo non trascurabile di tutta la costruzione del prossimo anno. Infatti, se, come più avanti la stessa Congregazione ricorda, «l'Anno della Fede vuol contribuire ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della Fede», è indiscutibile che il nostro sforzo debba dirigersi preliminarmente verso una migliore comprensione - personale e comunitaria - di chi siamo, chi seguiamo, come lo presentiamo.
È indiscusso che il battesimo conferisca non uno status monolitico ma un dono dinamico che, anche senza far conto delle capacità individuali del credente, lo pone in stato di "apostolo" dei suoi giorni: ma questo fa parte del bagaglio della coscienza del credente del terzo millennio? Forse l'immenso dono del "deposito della fede" trasmessoci dai Padri Conciliari non è stato messo in commercio (come l'unico talento) nel corso di questi cinquant'anni col dono della Profezia e così la luce si è affievolita, il sale ha perso sapore e il nostro tempo ha continuato a chiedere luce e sapore ai nuovi idoli, che come in ogni tempo, non hanno occhi lucenti e non hanno mani capaci di rimestare nella pentola della vita il buon sale. Ed è certo che, cosciente di tutto questo, la Congregazione afferma che lo scopo primario delle sue indicazioni pastorali va nel senso di «favorire l'incontro con Cristo» giacché la Fede è anzitutto una «adesione personale dell'Uomo a Dio» ma, allo stesso tempo è «assenso libero a tutta la verità rivelata». È evidentissimo in tutto questo il voler continuare sulla strada maestra - forse imboccata senza passare per la "porta della Fede" - indicata dal Concilio: passare con decisione da un concetto di rivelazione «scolastico/metafisico» a quello dell'«economia della salvezza», ben chiaro a livello teologico ma forse chiuso nelle spire del "dover fare" ciò che si può e incapace di "mostrare" ciò che si è a livello di Chiesa del quotidiano. Tutto questo in una società sempre più attenta all'idolo della immagine e dell'apparire e anche più propensa al dire con parole quella che ci sembra essere la Fede più che a farla emergere dal modo di relazionare quotidiano, in ogni luogo storico dell'operare umano, sia temporale che geografico.
Se diamo uno sguardo alle indicazioni a livello di parrocchie/comunità/associazioni e movimenti fornite dalla Congregazione (10 punti in tutto) cogliamo lo sforzo di voler mettere da parte le «grandi opere dell'uomo», che forse caratterizzano una certa Chiesa dei nostri tempi, per andare un po' più vicino all'uomo, soprattutto - almeno nella parte fondamentale - all'Uomo che si dice credente ma lo è solo per una tradizione talvolta priva di anelli di congiunzione solidi al Cristo.
In tal senso voglio leggere l'invito a «leggere e meditare attentamente la lettera Apostolica» (tutti i fedeli) a «dedicare maggior attenzione allo studio dei Documenti del C.V.II e del C.C.C. traendone frutto per la pastorale» (ministri ordinati), a celebrare la fede nella liturgia aiutando i fedeli a «prendervi parte consapevolmente, attivamente, fruttuosamente per essere autentici testimoni del Signore».
Qui potrebbe aprirsi, ma sarebbe oggetto di altro studio o intervento, una domanda sul laicato: come è stato formato negli ultimi 30/40 anni, cosa porta con sé, quale impegno può assumere, con una fede fragilissima e attaccabilissima, nelle tempestose vigne della politica, dell'economia della finanza? Si tratta, se vogliamo, di reindirizzare (termine caro agli utilizzatori di strumenti multimediali) i nostri cuori verso il centro della nostra Fede per affidarlo a Colui che è il centro, il compimento, la pienezza dell'Uomo, la sua vera e unica Libertà.
Con Lui e in Lui rifare un percorso che l'autore della lettera agli Efesini e la sua comunità forse prima di lui, aveva dossologicamente ben chiaro: «Kenosis e Anastasis». Dimenticare la falsa potenza dei nostri mostri tecnologici, delle torbide leggi economiche che ci siamo auto imposte, delle auto-affermazioni personalistiche che non conducono ad altro che a vuote relazioni prive di mordente (perché prive di un TU referenziale) e incapaci di incidere e scuotere chi è caduto nell'apatia del noto padrone della parabola evangelica le cui terre avevano prodotto tanto da consentirgli di tirare i remi in barca. Anche a noi «oggi stesso» viene chiesto il conto dalla storia.
Programmare questo Anno della Fede, dunque, al di là delle indicazioni e dei programmi già presentati e che certamente saranno ulteriormente implementati a livello locale, può significare innanzitutto tornare umilmente alle origini personali per chiederci:
- Quanto credo?
- In cosa credo?
- Come credo?
E solo dopo questo percorso aggiungere:
- Cosa trasmetto con la mia vita nel contesto in cui sono inserito?
- Quale impegno personale (nella mia condizione e posizione sociale ed ecclesiale) posso e devo prendere?
Credo che si tratti di riscoprire, sulla scia del Gesù, Cristo Figlio di Dio, l'essenza profonda di diakonia che Lui, venendo in noi col battesimo e riproponendosi con tutti i sacramenti (in primis l'eucaristia) ci ha infuso, invitandoci ad esercitarla essenzialmente ritrovando il gusto del profetismo nelle parole e nelle opere che fanno anche del nostro tempo la storia di Dio con noi.

(P. Giusto è diacono di Bari, già coordinatore della Consulta Nazionale Antiusura e componente del Comitato Antiraket e Antiusura presso il Ministero dell'Interno)

----------
torna su
torna all'indice
home