Ascoltare per servire


Il diaconato in Italia n° 178
(gennaio/febbraio 2013)

APPROFONDIMENTO


Ascoltare per servire
di Daniele Fortuna

Accostare servizio e ascolto a molti può apparire un ossimoro, cioè, un accostamento di due termini contrastanti. L'ascolto, infatti, suggerisce un atteggiamento passivo, il servizio, al contrario, uno attivo. Lo stesso episodio evangelico di Marta e Maria sembrerebbe confermare quest'opposizione: l'una ascoltava la parola di Gesù, l'altra si adoperava per il servizio della mensa. C'è chi parteggia per Maria, ponendo al primo posto la vita spirituale come l'unica necessaria; c'è chi, invece, prende le difese di Marta, osservando che, se non fosse stato per lei, Gesù e i suoi discepoli quel giorno sarebbero rimasti digiuni! Ma è proprio vera quest'opposizione? E vero che ascolto e servizio sono due dimensioni intrinsecamente separate?
E se fossero, invece, i due lati di una stessa medaglia, i due aspetti di un unico atteggiamento di amore? Per cercare di rispondere a questa domanda, vedremo come si collegano i due atteggiamenti nell'agire di Dio, rivelato nell'AT, come Gesù li ha incarnati nella sua vita terrena e, di conseguenza, quale modello di comportamento viene richiesto ai suoi discepoli, quale modello di Chiesa viene proposto nel NT. Al principio della storia del popolo d'Israele, in quanto tale, troviamo l'ascolto come atteggiamento fondamentale di Dio stesso. Infatti, quando gli Ebrei erano schiavi in Egitto e alzarono le loro grida di dolore, «Dio ascoltò il loro gemito e si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe» (Es 2,24).
In altre parole, è l'ascolto che risveglia in Dio la memoria del legame di alleanza con cui egli stesso si è eternamente vincolato con i discendenti di Abramo (cf. Gen 17,4-8) e suscita in lui una serie di azioni conseguenti: «Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho ascoltato il loro grido a causa di coloro che l'opprimono, ho conosciuto i suoi dolori, sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo salire da quella terra verso una terra bella e larga...» (Es 3,7-8).
A partire dall'ascolto, registriamo in tutto sette verbi che esprimono l'atteggiamento profondo di Dio, il suo pieno coinvolgimento nelle vicende del popolo d'Israele, la sua volontà di uscire da sé per agire efficacemente a servizio degli Ebrei oppressi, in vista di una loro piena e definitiva liberazione. Sin dall'esperienza dell'esodo, dunque, Israele ha imparato che in Dio ascolto e servizio di liberazione degli uomini sono inscindibilmente congiunti: «Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce» (Sal 34,7).
Quando, poi, ciò che opprime è il peccato con le sue nefaste conseguenze, l'ascolto si traduce in un perdono efficace e redentivo (cf. 1Re 8,30 e Dn 9,19: «ascolta... perdona... e agisci»). E anche il tempo escatologico, in cui Dio realizzerà in pienezza le sue promesse di bene, scaturirà da una sua preveniente disposizione all'ascolto: «Prima che m'invochino... io già li avrò ascoltati» (Is 65,24). Proprio perché ascolto e servizio d'amore sono già vissuti da Dio nei confronti degli uomini, Yhwh può chiederli al suo popolo come risposta al dono dell'Alleanza: «Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio è l'unico Signore. Amerai, dunque, il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutto il tuo potere» (Dt 6,4-5).
Ascolto, amore e servizio sono intrinsecamente uniti anche poco dopo, all'inizio del secondo brano da cui è composto lo Shema' Yisra'el: «Ora, se ascolterete veramente i miei comandi che oggi vi do, amando il Signore vostro Dio e servendo lo con tutto il vostro cuore...» (Dt 11,13). In realtà, ciò che Dio chiede a Israele è un rapporto di reciprocità nella relazione di Alleanza, è imitare il suo comportamento, agire come lui: «Siate santi, perché santo sono io, il Signore vostro Dio» (Lv 19,2). E tutto questo va vissuto non solo nei confronti di Yhwh, ma, in modo particolare, anche nei confronti dei propri simili. È estremamente significativo che Dio ordini a ogni figlio d'Israele di amare come se stesso non solo il proprio prossimo, inteso come colui che appartiene allo stesso popolo (cf. Lv 19,18), ma anche lo straniero che dimora in mezzo a loro, il ger (cf. Lv 19,34), per il semplice fatto che Dio stesso lo ama e gli dà pane e vestito, come ha amato Israele quando era forestiero nella terra d'Egitto (cf. Dt 10,12-19).
Veniamo ora a Gesù e chiediamoci: in che modo il Maestro ha osservato il comandamento fondamentale dell'imitazione di Dio, come ha incarnato nella sua persona l'ascolto e il servizio d'amore di Yhwh verso il suo popolo? Gesù, il Figlio dell'ascolto1, si è nutrito sin dall'infanzia della parola del Padre per viverla (cf. Lc 2,49 e Mt 4,4), ha imparato da lui come un figlio d'arte impara dal padre i segreti del suo mestiere (cf. Gv 5,19). Per questo, quando inizia il ministero itinerante, Gesù non insegna altro che le parole ascoltate dal Padre suo, non fa altro che riviverne gli atteggiamenti e compiere le sue opere (cf. Gv 8,26-28 e 5,17).
Essendosi totalmente identificato col suo Abbà, ormai «Gesù sperimenta in se stesso, nel più intimo delle sue viscere, le emozioni e i dolori che affliggono le viscere materne (rahamîm) di Yhwh nell'Antico Testamento»2. Questa piena accoglienza della parola del Padre ha dunque plasmato profondamente Gesù, fino a renderlo capace di un "ascolto empatico" e di un servizio d'amore così grandi verso i suoi fratelli, soprattutto verso i poveri e gli afflitti, da assumere su di sé anche le loro sofferenze fisiche, psichiche e spirituali. Come ci riferisce Mt 8,16-17, «venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie"».
Esercitando questa diaconia dell'ascolto in un servizio d'amore sino alla fine, Gesù non si sente per nulla sminuito nella sua dignità messianica, bensì sa di rivelare proprio così il volto autentico del Padre. È quanto cerca di far capire ai suoi discepoli con il gesto della lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-17); è quanto ci riferisce il bellissimo inno cristologico di Fil 2,6-11, dove Gesù assume la forma di schiavo non «pur essendo» di natura divina, bensì proprio «sussistendo» nella condizione di Dio! Nel Figlio dell'ascolto, dunque, non solo accostare servizio e ascolto non è un ossimoro, ma anche ascolto del Padre e ascolto dell'uomo, amore verso il Padre e servizio rivolto all'uomo diventano uno.

Unità nella differenza
Alla luce di tutto ciò, possiamo ora tornare all'episodio di Marta e Maria narratoci da Lc 10,38-42, per verificare se, al di là dell'apparente opposizione tra il servizio dell'una e l'ascolto dell'altra, non ci sia piuttosto un'unità più profonda, che lo stesso evangelista c'invita a scoprire tra le righe. Per poter fare questo, dobbiamo anzitutto tener conto del contesto letterario prossimo del brano, che ci offre un prezioso orizzonte ermeneutico dentro il quale va interpretata la nostra scena. Esso è costituito dalle due pericopi precedenti (vv. 25-28 e 29-37) 3. Presentiamole in sintesi. In Lc 10,25-28 un dottore della legge, per saggiare l'insegnamento di Gesù, gli pone una questione molto dibattuta: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Invitato da Gesù a trovare una risposta nella Torah, egli accosta strettamente il precetto dell'amore di Dio di Dt 6,5 con quello dell'amore del prossimo di Lv 19,18. Gesù condivide pienamente la risposta del dottore della legge e aggiunge: «Fa' questo e vivrai» (cf. Lv 18,5).
La pericope successiva (29-37) è introdotta da un'ulteriore domanda che il dottore pone a Gesù su cosa debba intendersi per «prossimo», in modo tale da poter assolvere compiutamente il precetto. Gesù risponde raccontando la parabola del buon Samaritano, il quale, facendosi prossimo dell'uomo ferito sulla strada, ha osservato perfettamente il comandamento «amerai il prossimo tuo come te stesso». Quindi Gesù conclude, esortando il suo interlocutore: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
Se, dunque, nel buon Samaritano abbiamo trovato il modello di come si osserva la seconda parte del precetto, rimaniamo ancora in attesa di vedere quale sia il modello per la prima parte: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore...». Ed ecco allora che Luca, subito dopo la parabola del buon Samaritana, ci offre una scena di vita familiare apparentemente semplice e gustosa, ma certamente densa di significati sorprendenti e illuminanti. In cammino con i suoi discepoli verso Gerusalemme, Gesù entra in un villaggio e una donna di nome Marta lo accoglie nella sua casa. Accogliere adeguatamente un gruppo di uomini, adulti e probabilmente affamati, implica il preoccuparsi innanzitutto di preparar loro qualcosa da mangiare. Cosa che Marta si premura subito di fare, stando in piedi (cf. ephístemi) e occupandosi del molteplice servizio della mensa (diakonéo). Questi tre verbi qualificano il fare di Marta sul modello di quello di Abramo alle querce di Mamre (cf. Gen 18,1-15), dove il nostro patriarca, con uno squisito atteggiamento di ospitalità verso tre pellegrini, senza saperlo accolse Dio stesso (cf. Eb 13,2). Inoltre, col suo atteggiamento verso Gesù e i suoi discepoli, Marta prefigura già due ministeri fondamentali per la vita della Chiesa: l'accoglienza nelle case e il servizio delle mense (cf. Aquila e Prisca in 1Cor 16,19 e l'istituzione dei diaconi in At 6,1-6).
Se ora veniamo a Maria, sorella di Marta, ci accorgiamo facilmente come anche lei sia caratterizzata da tre verbi: «seduta presso» i piedi del Signore, «ascoltava» la sua parola. Così facendo, ella «ha scelto» la porzione buona. Il suo è, dunque, l'atteggiamento del discepolo che ha scelto il suo maestro4 e sta costantemente alla sua scuola. Un Maestro che non è soltanto un uomo, bensì il Signore, come sottolinea l'evangelista. Tratteggiata così, Maria, da un lato, rappresenta l'Israele fedele, popolo sacerdotale (cf. Es 19,5-6) che risponde ai desideri di Yhwh, perché ha scelto di ascoltare con tutto il cuore la sua voce (cf. Sal 81,9.14) e ha fame e sete della sua Parola (cf. Am 8,11); dall'altro, prefigura la Chiesa sposa dell'Agnello che, a partire dai Dodici, si dedica all'ascolto e all'annuncio della Parola del Signore, per vivere di essa (cf. At 6,2.4 e Ef 5,25-27).
Ed è proprio mettendo insieme gli atteggiamenti di Marta e di Maria che l'evangelista ci presenta il modello perfetto di compimento del primo e fondamentale comandamento (cf. Mc 12,28-30). Come abbiamo già visto, infatti, in Dt 6,4-5 ascolto e servizio di Dio sono intrinsecamente congiunti. Ma, a ben vedere, in quest'episodio sono perfettamente congiunti anche l'amore di Dio e l'amore del prossimo5. In Gesù, infatti, è un uomo che viene accolto con amore, ascoltato con cuore aperto e servito con squisita ospitalità. Accogliendo questo rabbi (e i suoi discepoli), tuttavia, è il Signore stesso che si accoglie (cf. Mt 10,40), come ha fatto Abramo alle querce di Mamre. Allo stesso modo, accogliendo tutti i suoi fratelli più piccoli in stato di necessità, è il Figlio dell'uomo, giudice divino, che si serve, è Dio stesso che si ama (cf. Mt 25,3146). In questo brano, però, Luca registra anche una criticità specifica, una difficoltà ad armonizzare i carismi e a suddividersi i servizi all'interno delle comunità ecclesiali, cosa che può generare una tensione simile a quella verificatasi tra Marta e Maria. Può capitare, ad esempio, che l'urgenza del servizio delle mense possa far trascurare la priorità dell'ascolto della Parola di Dio (cf. At 6,2); ma potrebbe capitare anche il contrario, e cioè che ci si accontenti di una fede celebrata e professata, senza poi tradurla in opere corrispondenti che la rendano visibile (cf. Gc 2,14-18).
Se in Marta e Maria l'ascolto e il servizio appaiono ancora disgiunti, essendo ciascuna delle due donne caratterizzata da uno solo dei due carismi, in At 16,14-15 Luca ci offre il ritratto di un'altra donna in cui le due dimensioni sono perfettamente congiunte. Si tratta di Lidia, primizia dell'Ecclesia in Europa, commerciante di porpora e credente in Dio. "Ascoltando" le parole di Paolo, infatti, il Signore le apre il cuore e, subito dopo il battesimo, la sua fede si manifesta in un'amabile "accoglienza" di almeno tre stranieri (Paolo e i suoi collaboratori) nella sua casa e, quindi, della stessa chiesa di Filippi (cf. At 16,40). L'esempio di Lidia, inoltre, ci dimostra come in realtà l'ascolto della Parola sia un momento estremamente attivo e fecondo, perché permette a Dio di operare quelle profonde trasformazioni nel nostro cuore che segneranno una svolta decisiva nella vita della Chiesa e nel corso della storia. D'altro lato, il servizio autentico, richiesto dal comandamento dell'amore, implica necessariamente una dimensione di passività, cioè un lasciare spazio dentro di sé alla presenza dell'altro, rispettandolo nella sua alterità e accettando che una tale accoglienza segni per sempre la mia vita.
Nella diaconia dell'ascolto, così come vissuta compiutamente da Lidia, si realizza, dunque, il comandamento dell'amore di Dio e del prossimo, si riproduce il modello di Gesù, Servo di Yhwh, e risplende la vocazione della sua Chiesa, chiamata a diventare sorella dell'uomo di oggi (cf. GS 1).

(D. Fortuna è docente di Sacra Scrittura presso l'ISSR di Reggio Calabria)

Note
1. Cf. D. Fortuna, Il Figlio dell'ascolto. L'autocomprensione del Gesù storico alla luce dello Shema' Yisra'el, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012; Id., Gesù, il Figlio dell'ascolto, in Ecclesia Mater, 3 (2012) 141-146.
2. M. C. Lucchetti Bingemer, Mascolinità e femminilità: due volti del mistero di Gesù Cristo, in Concilium, 44 (3/2008) 58-70, cit. a p. 66.
3. La sezione di Lc 10,1-24, infatti, è dedicata all'invio in missione e ritorno dei 72 discepoli, mentre da Lc 11,1 inizia un nuovo insegnamento sulla preghiera, che si prolungherà fino al v. 13.
4. L'iniziativa di Maria è doppiamente inusuale, sia perché una donna ebrea del suo tempo non poteva diventare discepola di un rabbi, sia perché, contrariamente ai rabbi, Gesù stesso sceglieva i suoi discepoli. Da qui la sorpresa e l'ammirazione di Gesù nei suoi confronti. La «parte migliore dell'eredità» (cf. Sal 16,5; 119,57), che Gesù le assicura, allude probabilmente a quella dei Leviti, l'unica tribù che non aveva la sua porzione di terra, perché la sua eredità era direttamente il culto di Yhwh (d. Nm 18,20 e Dt 10,9).
5. Va osservato, inoltre, che solo nella versione di Lc 10,27 Dio e il prossimo sono retti da un unico verbo amare e collegati da un semplice «kaì». Tutto ciò crea una congiunzione ancora più stretta tra le due istanze, che diventano così un solo comandamento dell'amore.

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