Antropologia e diaconia dell'ascolto


Il diaconato in Italia n° 178
(gennaio/febbraio 2013)

RIFLESSIONI


Antropologia e diaconia dell'ascolto
di Giovanni Chifari

La fede nasce dall'ascolto e possiede sempre una base umana di partenza. Cercare pertanto di analizzare e verificare l'incidenza dell'ascolto nelle attuali società, può essere un utile strumento per avere un'intelligenza spirituale del nostro tempo. La mancanza di ascolto sembra, infatti, caratterizzare politiche non più in grado di accogliere il grido dei poveri e degli ultimi e di servire il bene del Paese, il fallimento di relazioni affettive e interpersonali, l'annoso problema educativo, nonché il dilatarsi della distanza fra nuove e vecchie generazioni e altri aspetti ancora. A questa tendenza diffusa, nel tempo della società liquida e tecnologica, si aggiunge lo stile di una comunicazione rapida e mutevole, che però sa ascoltare poco. Se questa è un po' la situazione generale, si tratta adesso di osservare se questo stile si è riflesso nella vita, nella fede e nel servizio dei cristiani, con particolare attenzione al servizio dei diaconi, cercando di verificare se esistono compromessi con le logiche e le mode di questo mondo che spegnerebbero ogni sorta di profezia nell'esercizio della diaconia o se si percepisce ancora quella "differenza" cristiana che sta alla base del servizio dell'evangelizzazione.
La crisi dell'ascolto oggi è divenuta anche crisi della fede, mostrando i limiti di una vita che appare già sul piano antropologico, scarsamente umana, e quindi di conseguenza meno ricettiva alla costante e inesauribile azione dello Spirito Santo. Per questo è necessario educare alla fede. Se non c'è ascolto, infatti, non c'è conversione e la stessa fede diverrebbe solo un'ideologia, incapace di incidere nel vissuto, e relegata ad esprimere uno sterile formalismo, pronto all'ascolto di parole convenzionali ma non in grado di scendere nel cuore dei problemi veri della gente.
La crisi dell'ascolto svela inoltre nel nostro tempo la vacuità della parola e l'insostenibilità del silenzio che pervadono l'attuale società liquida, nel tempo del diktat dell'immagine e nell'era di una civiltà tecnologica che si scopre sempre più proiettata verso il post umano. La debolezza di una parola umana divenuta vuota e ingombrante, stancante e ripetitiva, genera, infatti, audizioni che non saranno mai ascolto ma solo un'intermittente ricezione di suoni e fonemi; per altro verso un'inflazione di parole cerca faticosamente di sopraelevarsi sulle parole di chi dovrebbe o potrebbe ascoltare ma non riesce a tacere, rimanendo schiavo della paura del silenzio. Potenziali silenzi sono così invasi da parole, e altre parole impediscono un vero ascolto. Questa drammatica esperienza che l'attuale società cerca di rimuovere attraverso la virtualità tecnologica, delinea spazi e luoghi che invocano l'esercizio di una diaconia capace di consolare e sanare le ferite inferte dal fallimento di una parola che non genera più ascolto. Accade così paradossalmente che ciò che è proprio dell'essere umano, appunto la parola, non essendo né generata dal silenzio e né accolta nel silenzio, diviene banalità, oppure abile e consumato esercizio strategico e diplomatico che traduce intenzionalità egoistiche e interessate, vulnerabili solo alle lusinghe della vanagloria e del consenso.
Accade quindi che ad ascolti assenti o incompleti, parziali o disturbati seguano altrettante relazioni inesistenti e inefficaci, limitate e confuse. L'ascolto è, infatti, la base di ogni dialogo e relazione umana, è disponibilità ad accogliere l'altro, è un terreno fertile nel quale potrà germogliare il seme accolto della parola, è un luogo che consente di custodire l'alterità dell'altro. Un primo esercizio testimoniale della diaconia dell'ascolto, traducendo una verità antropologica relazionale, potrà essere incisivo nell'ambito della nuova evangelizzazione.
Per i diaconi non si tratterà altro che vivere bene nel quotidiano il proprio discepolato, estendendo i frutti della comunione che essi vivono in Cristo nella Chiesa, a quanti sono loro posti dinanzi. Uomini che trasmettono pace, perché l'hanno nel cuore, ma anche servi che si pongono in ascolto di tutte quelle situazioni di marginalità che abitano questo mondo. Tuttavia per servire i fratelli mediante l'ascolto, bisogna dapprima rinnovare in se stessi la novità di tale evento, a partire dalla centralità della Parola di Dio, punto fermo per ogni spiritualità cristiana. La Scrittura, amata e studiata, conduce infatti a riconoscere Gesù come il Cristo e Signore nell'eucarestia (cf. Lc 24,13-35) e negli altri sacramenti (per il battesimo cf. At 8,29ss.) sostenendo il servizio verso i fratelli. Nella spiritualità diaconale possiamo allora individuare la costante circolarità fra il tempo dell'ascolto personale, nel quale il diacono cerca di discernere la volontà di Dio nell'oggi, e il tempo dell'ascolto dell'altro, della comunione e del servizio.
Una diaconia dell'ascolto è una terapia per il nostro tempo inquieto e tormentato, corroso dall'apparente consapevolezza di poter governare, gestire e ordinare ogni cosa, apparentemente forte e spavaldo, ma in realtà debole e fragile, incline com'è al non senso e alle nuove e vecchie forme di depressione. Fra gli altri segnali dell'odierna mancanza di ascolto, alla base della diffusa incomunicabilità, possiamo annoverare l'esercizio scomposto della collera e della violenza, rilanciato giornalmente dalla cronaca, e quella latente tristezza che appiattisce e avvelena ogni relazione. Se quindi è vero che la fede nasce dall'ascolto, comprendiamo perché oggi si può parlare di crisi della fede. Promuovere una nuova evangelizzazione se da un lato è necessario in vista dell'urgenza di "trasmettere" la fede, dall'altro dev'essere uno stimolo per educare ad una fede che nasce sempre dall'ascolto di una parola accolta, compresa e vissuta. Percorso non per solitari ma per uomini che vivono e servono la comunione della Chiesa, che si sono resi docili all'azione dello Spirito Santo, lasciandosi guidare verso la testimonianza di una fides qua creditur.

Il primato dell'ascolto e della Parola
Il primo frutto dell'ascolto è però la conversione. È singolare che Dio scegliendo di auto-comunicarsi all'uomo abbia prediletto la via dell'ascolto, raggiungendo l'uomo in quella peculiarità che gli è più propria. In questo modo Egli ha aperto la strada alla relazione, alla comunione e al dialogo, offrendo all'uomo la sua amicizia, dono libero e gratuito, segno di un'alleanza ontologicamente asimmetrica e che invece fluisce come se fosse tra pari. Così all'invito di Dio: «Ascolta Israele» (cf. Dt 6,1.4-8) segue un ascolto dell'uomo che nella preghiera si fa invocazione ardita: «Ascolta Signore la mia supplica!» (Sal 17,1; 27,7; 39,13; 84,9; 102,2).
Peculiare dimensione della relazione, dove l'Uno desta l'altro, e l'altro, sentendosi amato, chiede a sua volta di essere ascoltato. Nell'autenticità di questa relazione dobbiamo poter leggere la possibilità del cambiamento, della conversione. L'ascolto, infatti, nell'antropologia biblica, è sempre accompagnato dalla possibilità di comprensione, di estendere cioè a mente e cuore quanto si è genuinamente vissuto nel dialogo orante, secondo un accrescimento che dona discernimento e senso all'alternarsi e scorrere del tempo, come ricorda il salmista: «Benedico il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce» (Sal 16,7).
Ascoltare significa quindi meditare la Parola, custodirla e conservarla affinché essa possa portare frutto. Azione mai conclusa che necessita sempre di conversione, perché insieme alla fatica di comprendere la Parola scritta e fissata nella lettera è sempre necessaria l'invocazione di luce e di grazia nella preghiera. Allora educarsi all'ascolto diviene condizione propedeutica per educarsi alla fede. Un utile strumento che può favorire questa graduale appropriazione è la pratica della Lectio Divina, un punto fermo nella formazione e nella spiritualità dei diaconi. In essa, studio e preghiera qualificano la disponibilità e l'impegno dei discepoli a lasciarsi condurre lì dove vuole Dio, nel luogo dove Egli intende far dono della sua Parola, nel deserto di un silenzio interiore nel quale Egli può parlare al cuore (cf. Os 2,16), sussurrando parole che educano alla carità. Amore e conversione sono, infatti, intimamente legati, se non fosse per la libera iniziativa di Dio, con il dono della sua Parola d'amore, Verbo (cf. Gv 1,1), che lo Spirito Santo ha riversato abbondantemente nei cuori dei credenti (cf. Rm 5,5), come l'uomo potrebbe credere? Senza la carità, infatti, tutto è vano (cf. 1 Cor 13,1 ss.), e se Dio stesso non crea ed edifica, mediante la sua Parola, tutto è solo fatica (cf. Sal 127,1ss.). La carità quindi amplifica l'ascolto, conducendo verso la certezza di essere amati di un amore che segue e accompagna dappertutto. Proprio alla scuola della Parola, comprendiamo che chi ama spesso tace, perché sa che anche il silenzio è parola, anzi, secondo l'intuizione agostiniana, più cresce la Parola e più diminuiscono le parole, quelle che sono pura vanità s'intende. L'ascolto della Parola, che è amore, conduce allora verso un silenzio che diviene attesa, una speranza che si fa preghiera, e una fede che sarà assenso intelligente e abbandono fiducioso.

Conversione
L'accoglienza della Parola, esprimendo la propensione all'ascolto dell'uomo e discepolo, svela che alla base della conversione ci sono sempre delle componenti umane: l'attitudine ad ascoltare, il desiderio di conoscere, ma anche quell'umana consapevolezza di non essere bastevoli a se stessi. Questa disponibilità di base che segnala le precondizioni necessarie per ogni conversione, è apertura all'irruzione umile e discreta della grazia divina, che mediante lo Spirito Santo fa della conversione ciò che la Scrittura indica come principio della sapienza e del timore del Signore (cf. Pr 9,10). A ciò che può dare l'uomo, si aggiunge quanto Dio stesso dona liberamente in vista della fede. La conversione allora, in quanto opera della grazia divina, è esperienza di luce per l'intelletto e di amore per la volontà, che intervengono sull'uomo lasciando che egli comprenda le cose sperimentate e le viva. Scoperta che, antropologicamente, provoca il soggetto ad una decisione, ad una opzione che interpellerà l'esercizio della sua libertà.
Chi ha fatto esperienza di Dio e del suo amore, dovrà cioè scegliere se percorrere una via di autenticità o se accontentarsi di una via di compromessi e di mediocrità. Questo significa in un certo senso lasciarsi condurre, perché anche se la fede anticipa quello che sarà il cammino della ragione, il percorso è ancora tutto da scoprire per quell'imprevedibilità dell'agire divino nella storia, di cui il discepolo è ministro. La necessità della conversione spiega la compresenza, nella storia di ogni cristiano, di una fede percepita come dono per via sacramentale e la distanza del vissuto esperienziale.
Nella Scrittura appare evidente che la fede è preceduta dalla conversione. L'esperienza della fede possiede quindi delle componenti antropologiche che la strutturano. Fondandosi sull'ascolto possiamo dire che la fede è un actus che richiama la dimensione dell'esperienza, richiedendo una, altrettanto intensa, opera di oggettivazione, che si rivelerà un passaggio decisivo per imparare a discernere una fede guidata dal bisogno da una fede in grado di narrare la propria esperienza di Dio. Esprimendosi nella vita e quindi nel servizio, la fede testimonierà un mutato atteggiamento, fondato nell'interiorità dell'uomo, verso i frutti dello Spirito, trasmettendo nel servizio quella presenza stabile ma anche dinamica dei doni dell'amore, della gioia e della pace (cf. Gal 5,22) che portando a compimento la coscienza dell'uomo, delineano il profilo di una coscienza matura e convertita. La diaconia dell'ascolto, sintetizzando il cammino dell'uomo divenuto discepolo, del ministro che vive la sua grazia di stato, del diacono conformato a Cristo, sarà allora il servizio maturo di chi ha imparato a non avanzare alcuna pretesa di fronte a Dio e quindi nel suo servire non cerca di insuperbirsi dinanzi ai fratelli, ma si compiace solo dell'amore, perché legge il poco della sua umanità e il di più dell'azione della grazia. L'esperienza della propria fragilità e del proprio limite più che abbattere è allora condizione per riconoscere l'agire di Colui che ha ribaltato le logiche del mondo (cf. Lc 1,52).
Servire attraverso l'ascolto significherà per i diaconi essere mediatori della Parola, riuscendo sapientemente a dosare il tempo della custodia con quello dell'annuncio, consentendo ad essa di raggiungere l'obiettivo per cui è stata mandata (cf. Is 55,11). Uomini quindi capaci di gioire per la grazia dell'apostolato, che è data per l'obbedienza alla fede di tutte le genti (Rm 1,5; 16,25). Ciò significa che il Dio che si rivela mediante eventi e parole, accompagna il suo auto-comunicarsi con questa grazia che sostiene l'evangelizzazione e di cui ogni cristiano è strumento.
Una grazia certamente contenuta in vasi d'argilla, costretta anche a "faticare" (cf. 1Cor 15,10), che chiede solo la docilità del discepolo. Poi sarà Dio a completare la sua opera, per sostenere chi ascolta ad andare al di là della Parola che rimane sempre mediazione, per vivere la comunione con Lui, abisso originante, eterno irriducibile. Una diaconia dell'ascolto, plasmata e formata dall'amore, che si sperimenta nel cuore (cf. Rm 5,5) è così il luogo nel quale i fatti della quotidianità vengono riempiti dalla Parola di eternità.

(G. Chifari è docente di Teologia biblica presso l'Istituto Scienze Religiose "Giovanni Paolo II" di Foggia)

----------
torna su
torna all'indice
home