Ministerium Verbi


Il diaconato in Italia n° 178
(gennaio/febbraio 2013)

PASTORALE


Ministerium Verbi
di Enzo Petrolino


La profezia nella Chiesa
Nella Costituzione Conciliare sulla Chiesa la Lumen Gentium si afferma: «Il Popolo santo di Dio partecipa pure all'ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un sacrificio di lode». Questa constatazione ci porta a riflettere e a comprendere quanto sia grave la nostra responsabilità di testimoni di Cristo, portatori della salvezza e annunciatori di speranza. «Tramite lo Spirito promesso alla Chiesa, la Parola di Dio si manifestata una volta per tutte si fa continuamente viva e presente nella Chiesa». Il Concilio dice: «Così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cf. Col 3,16)».
La Chiesa non può gestire e amministrare la Parola di Dio. Solo come Chiesa che ascolta ciò che lo Spirito ha da dire alle comunità essa può essere Chiesa che proclama la Parola. Lo Spirito Santo ci ricorda continuamente la Parola di Dio, pronunciata una volta per tutte, e ci guida in modo sempre più profondo alla verità tutta intera. Questo è l'ascolto cattolico della Parola di Dio, nel senso originario del termine. Testimonianza biblica, nello Spirito Santo, tramite il quale la Parola di Dio è scritta nel cuore dei fedeli. La Tradizione è dunque la presenza della Parola di Dio nella Chiesa, una presenza che rimane nello Spirito e che si rinnova incessantemente. Per questo essa è intesa, nella tradizione ecclesiale orientale, come epiclesi della storia della salvezza.
La Parola di Dio, quindi, appartiene a tutti. Tutti i cristiani hanno una missione profetica in virtù del battesimo e della cresima, ossia in virtù della loro unione a Cristo-profeta, e per la grazia che deriva loro dagli altri sacramenti, hanno la capacità, e quindi il diritto e il dovere, di esplicare una vera missione profetica. Quando Cristo diceva: «Voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo», non si rivolgeva soltanto ai dodici apostoli e agli altri discepoli, ma a tutti coloro che ascoltavano la sua parola e, realizzandola in sé stessi, la manifestavano. Così pure Pietro, dopo aver mirabilmente definito il Popolo di Dio quale stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo chiamato dalle tenebre alla luce per proclamare la grandezza di Dio, esorta i cristiani a comportarsi bene in mezzo ai pagani affinché, rendendosi conto delle loro opere buone, anch'essi glorifichino Dio. I cristiani sono dunque anzitutto chiamati a testimoniale parlando di Dio con la loro vita, ma sono inoltre sollecitati a trasmettere a viva voce la Parola di Dio, ossia a parlare di Dio in suo nome. Nel nuovo popolo eletto si realizza veramente la nota profezia di Gioele: «Io diffonderò il mio Spirito su ogni mortale. I figli vostri e le vostre figlie profeteranno...».
È opportuno qui ricordare il senso che ha il profetismo soprattutto nel Nuovo Testamento: non di annunciare cose future, ma di manifestare la realtà di Dio e il suo piano di salvezza. In altri termini, la Parola che la Chiesa dà è sempre parola viva, perché sempre animata dallo Spirito Santo. È Lui che agisce, che la illumina, che la vuole. Ed è proprio nell'esercizio di questa funzione profetica che la Chiesa si auto-costruisce. È evidente che i cristiani riuniti insieme per la preghiera e per la celebrazione liturgica esprimono nel modo più perfetto ed efficace la Parola di Dio, poiché, allora specialmente, il Cristo è presente in mezzo a loro e parla attraverso la loro voce.
È la parola di Dio che ci convoca; e convoca non soltanto noi di casa, noi «domestici», ma convoca da ogni parte del mondo - dello spazio -, e convoca in ogni tempo - in ogni momento. Non è possibile una funzione ecclesiale se la parola di Dio è in certo modo "congelata": è sempre la Parola di Dio che convoca la Chiesa, e il distacco da questa Parola, il non confrontarsi con questa Parola, è sempre un distaccarsi dalla propria matrice autentica impedendo un'autentica costruzione del tessuto ecclesiale.
Si tratta di ripensare la pastorale e la missione evangelizzatrice della Chiesa in stretto collegamento con l'idea che la missione è azione trasformatrice della storia; nella linea di un maggiore rapporto tra evangelizzazione e promozione umana e nella visione di una interpretazione integrale della esperienza di salvezza. Lo scopo dell'agire di Dio è la salvezza integrale e a tale obiettivo è finalizzata l'opera dello Spirito che dà forma all'agire di Dio nella Creazione, nella Liberazione, nella Profezia e nella Nuova o Definitiva Creazione.
È in tale orizzonte che si colloca l'agire di Cristo come "forma" e "contenuto" della salvezza e in quanto tale si presenta come rivelazione della salvezza in una storia di rivelazione. Per questo la prassi di Gesù di Nazareth è il grande segno dei tempi: è la pienezza del tempo (Mc 1,15; Lc 4,16ss; Gal 4,4). Soprattutto la pastorale è chiamata a superare il formalismo religioso proprio delle nostre comunità. In questa prospettiva la dimensione profetica della comunità dovrà abilitare gli adulti a saper gestire il discernimento dei tempi attraverso un'adeguata predicazione e catechesi per i segni dei tempi.
L'espressione "segni dei tempi" nasce con il magistero di Giovanni XXIII e si rafforza con i testi conciliari UR 4; DH 15; PO 9. Ma è stata soprattutto GS (4, 11, 44) a consacrare il termine. La Chiesa per compiere la sua missione deve scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo perché il Vangelo possa rispondere ad ogni generazione.
Se i segni dei tempi hanno fondamento nel continuo e sempre nuovo agire di Dio nella storia, allora l'espressione non può significare principalmente (in senso teologico) le caratteristiche socio culturali di un tempo. Oppure ne descrivono le caratteristiche ma nel senso profondo di una richiesta di salvezza come nella espressione "bisogno di salvezza". Ma teologicamente l'espressione deve significare maggiormente: situazioni, persone, avvenimenti, etc. che rendono presente l'agire libero dello Spirito e la salvezza operata da Cristo. Proprio per questo mi sembra opportuna l'affermazione che preferisce dire "segni per i tempi".
Nella prospettiva di questa profezia è necessaria una formazione del diacono alla competenza profetica. Il diacono che nella comunità si trova a svolgere il doppio ruolo di responsabile della profezia all'interno della comunità ma anche responsabile della dimensione profetica del proprio battesimo avrà bisogno di sviluppare in modo particolare la propria competenza ministeriale in ordine alla profezia nella Chiesa.
In primo luogo è importante riaffermare la qualità dei processi di discernimento circa la motivazione vocazionale di ogni diacono, sia nel momento della decisione iniziale sia nel cammino del proprio ministero. Lo sviluppo di questa competenza ha bisogno di un continuo aggiornamento circa la competenza biblica del diacono. Sia nel momento iniziale della formazione sia nell'aggiornamento ministeriale compito fondamentale sarà quello dello sviluppo della capacità di una lettura sapienziale della Scrittura. Se da una parte occorre essere felici per il recupero della modalità comunitaria e personale del metodo della Lectio, tuttavia non è fuori luogo mettere in evidenza che la maggior parte delle pubblicazioni in circolazione tendono a sviluppare solamente la dimensione individualistica che porta ad una spiritualità separata dalla storia.

La diaconia della parola
Se il luogo originario della formazione al discernimento profetico potrà essere il momento accademico, si deve affermare che lo sviluppo di tale competenza ha come luogo principale la fraternità diaconale. È in questo luogo (senza escludere i luoghi di partecipazione comunitaria più ampia) che il diacono può essere aiutato a sviluppare tale capacità. Allo stesso modo sarebbe molto utile che le diverse forme di aggiornamento (ritiri, riunioni, assemblee, sussidi, riviste, etc.) offrissero momenti e possibilità per sviluppare vere e proprie competenze profetiche. Se la Chiesa è generata dal mistero pasquale dell'eucaristia, si comprende come il diacono, attraverso il suo servizio all'altare e ai poveri, diventa il punto concreto e irrinunciabile di raccordo tra il servizio liturgico-eucaristico - che è la fonte di ogni diaconia - e la vita concreta di ogni comunità neotestamentaria. Ma l'eucaristia si compone di due mense inseparabili che l'azione del diacono ha il compito di realizzare nella liturgia come nella vita.
Se il popolo di Dio e il mondo devono percepire che la diaconia ministeriale è altra cosa rispetto alla filantropia e ad ogni forma di generica solidarietà, questo accadrà non soltanto per l'autenticità disinteressata del servizio dei diaconi, ma anche a motivo della sapienza della loro parola di consolazione. Come indicano i segni liturgici compiuti dal diacono nella celebrazione eucaristica, proclamazione del vangelo e dispensazione del calice sono non solo la fonte e il punto di arrivo della sua diaconia, ma anche l'esemplificazione normativa cui egli deve ispirare la sua condotta. Dunque, se dalla diaconia eucaristica deriva, per naturale dilatazione sacramentale, il servizio alle mense reso ai fratelli e a tutti i poveri, allo stesso modo anche dalla diaconia Verbi viene un ministero della Parola vero e proprio che ha nell'opera di evangelizzazione degli ultimi e dei marginali la sua sorgente biblica e la sua precisa identità ecclesiale.
Il diacono infatti «è maestro, in quanto proclama e illustra la parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del battesimo, dell'eucaristia e i sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o di settori della vita ecclesiale». Insegnare, santificare e guidare costituiscono quel servizio diaconale che ha ambiti comuni a tutto l'ordine sacerdotale e, in certi casi, propriamente diaconali, sicché i nostri vescovi hanno sempre ritenuto parte integrante della diaconia ordinata che al diacono venga riconosciuta l'attitudine concreta ad essere animatore del servizio della Parola, e non solo della liturgia e della carità, nella comunità cristiana in cui è inserito. Parlando della diaconia della Parola, ancora una volta è la formula per l'ordinazione del diacono per la consegna del libro dei Vangeli che ci indica l'evidente legame tra il posto che occuperà il neo-diacono nella Chiesa ed il modo di esercitare il suo ministero.
Annunciare il Vangelo, vivere ciò che esso insegna: è in questi termini dinamici che la Chiesa affida la diaconia della Parola al nuovo ordinato. Solo una pratica prolungata e varia rivelerà il significato profondo di una parola proclamata da una persona ordinata sacramentalmente ma che non è, ciò nonostante, tolta alla sua famiglia, né al suo ambiente culturale, né al suo lavoro profano. La condizione di ordinato - per trovare il modello dovremmo risalire al IV secolo - rappresenta una realtà nuova per la Chiesa di oggi. Il ripristino del diaconato può aiutare a ricostruire il tessuto all'interno della Chiesa affinché sia vissuta in tutta la sua ampiezza l'ottica del Vaticano II alla quale il Popolo di Dio è la realtà ecclesiale fondamentale. Il diacono preso in una comunità di uomini e ordinato per il servizio di quella comunità, si pone, umanamente parlando, come il ministro ordinato più vicino ai fedeli. È possibile che questa vicinanza possa essere ulteriormente accentuata, se esso è sposato e/o impegnato nel mondo del lavoro. È per questo che nella sua predicazione, si dovrebbe sentire come l'effetto di una comunità di vita lungamente vissuta con gli uomini, sul piano dell'esperienza e delle condizioni comuni.
È proprio qui che viene rivelata tutta l'importanza del fatto che il diacono è una parola in atto non solo sul piano morale, ma sul piano sacramentale: quanto più la vita del diacono è espressione fedele della Parola che annuncia, tanto più egli stesso diventa segno dell'efficacia di questa Parola, che è sempre viva nel cuore degli uomini. Pertanto, non è la semplice presenza del diacono nella vita quotidiana degli uomini che assicura l'efficacia della Parola, ma piuttosto il contrario. È proprio quando il diacono si corrobora nella e della Parola che la sua presenza diventa segno efficace, segno capace di evocare uno più grande di lui.
È precisamente l'inserimento del diacono nel ministero apostolico che rende possibile questo significato. Esercitando un ministero che è proprio dell'episcopato, cioè la predicazione evangelica, il diacono rende presente una realtà ecclesiale di primaria importanza: il vescovo stesso, nella Parola che predica in forza del suo ruolo, è al servizio del Corpo di Cristo.
E proprio perché la sua predicazione della Parola deve fare risalire al carattere diaconale della predicazione episcopale, il diacono eviterà tutto ciò che potrebbe allontanarlo dal popolo, al servizio del quale è ordinato. Oggi, lo dicevamo sopra, il diacono fa un'opera di riavvicinamento: rende non soltanto più credibile la Parola che egli stesso annuncia, ma riavvicina al popolo di Dio i primi e principali responsabili della Parola che sono i vescovi, chiarendo così che la predicazione episcopale è al servizio del Vangelo per gli uomini.
Le concrete modalità di esercizio di questo ministero della Parola da parte del diacono passano attraverso la via maestra della lectio divina, proprio per ribadire il primato della Parola stessa, presentato come luogo ordinario e occasione reale di ministerialità diaconale.
È significativo che in molti documenti, a più riprese, venga sottolineato che alla proclamazione del Vangelo deve corrispondere nei diaconi non solo un sincero e fedele amore alla Parola, ma anche una effettiva attività di evangelizzazione. Questa si può esplicare nelle diverse forme di catechesi (dalla preparazione ai sacramenti, alla cosiddetta catechesi degli adulti, agli incontri con le coppie in difficoltà, ai colloqui con i non credenti o i non cristiani), ma non si può ridurre alla sola proclamazione liturgica del Vangelo. Il primato della Scrittura, quando è reale, tende a lievitare da ascolto docile e assiduo a partecipazione personale nel tempo liturgico della preghiera, per trovare finalmente nella diaconia della Parola il suo normale punto di approdo. Un posto particolare in questa pedagogia di ascolto-annuncio della Parola, viene assegnato in molti interventi alla preparazione comunitaria della liturgia domenicale e allo studio-preghiera delle letture festive.
Si mette così in evidenza che, oltre a essere un luogo naturale di diaconia Verbi, questa antica forma di santificazione del giorno del Signore, potrebbe anche essere l'occasione per discernere in concreto la stessa attitudine del candidato a svolgere un effettivo ministero della Parola. Questa forma particolare ed irrinunciabile di diaconia può prendere l'aspetto di una vera liturgia vigiliare da organizzare in chiesa il sabato sera coinvolgendo tutta la comunità, o può svolgersi in modo più semplice nelle case, specie quando si vuol favorire la partecipazione delle singole persone, lontane o marginali, e degli stessi familiari e amici. I Centri di ascolto del Vangelo possono essere una delle iniziative più significative di presenza dei diaconi e possono indicare una strada di evangelizzazione e di incontro delle persone.
La natura e la finalità di tali Centri non sono soltanto occasione di semplice incontro ma di evangelizzazione e di "annuncio" cristiano. Ma per realizzare tali Centri che vogliano arrivare a tutte le persone del territorio parrocchiale, occorre tener conto di alcune realtà che caratterizzano la cultura di oggi e condizionano l'opera di evangelizzazione:
• In molti ambienti prevale «l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio» (Christifideles laici, 34).
• «Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali» (ib., 34).
• Nella cultura di oggi è presente una nuova ricerca di senso, per cui molta gente è disposta a cercare Dio insieme ad altri, senza dogmatismi; questo atteggiamento offre opportunità e disponibilità a confrontarsi con chi vive la sua fede in termini di ricerca di Dio e del senso della vita.
• Oggi si crede al testimoni, più che ai maestri; i Centri di ascolto del Vangelo si svolgono più nello stile della comunicazione spirituale dell'esperienza delle persone, che su grandi insegnamenti.
• I Centri di ascolto del Vangelo perché non rimangano un fatto sporadico che finisce in se stesso, vanno concepiti come proposta di un cammino di fede o di evangelizzazione che tende a coinvolgere tutti come soggetti e come destinatari e prosegue dopo la conclusione della Missione.
• L'ambiente sociale del nostro territorio ha bisogno di riscoprire il valore dell'incontro per superare l'anonimato che lo caratterizza, per dare risposta alla domanda di una convivenza più umana, per vivere un cristianesimo più ricco di relazioni, di fraternità e di comunicazione. La proclamazione della Parola nella celebrazione liturgica non è una semplice lettura di testi per far conoscere ai fedeli eventi passati della storia della salvezza. È una vera e propria celebrazione sacramentale e non una lezione di catechismo. La liturgia della Parola nella Messa costituisce con la liturgia eucaristica un unico atto di culto (cf. SC 56; OLM 10; OGMR 28). A tal punto che «alla mensa del pane del Signore non ci si deve accostare se non dopo aver sostato alla mensa della sua parola» (lnaestimabile Donum, 1). Non basta citare questa forte affermazione sottoscritta da Giovanni Paolo II per convincere i fedeli a partecipare alla Messa fin dall'inizio. Essi devono poter sperimentare con gioia che, durante la liturgia della Parola, Cristo stesso è presente e parla ai suoi discepoli di oggi come a quelli di ieri (cf. OGMR 55). Così ha scritto Giovanni Paolo II: «La proclamazione liturgica della parola di Dio, soprattutto nel contesto dell'assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio con il suo popolo» (Dies Domini, 41).
Non si tratta quindi semplicemente di "leggere", ma di celebrare con serietà, semplicità e bellezza (cf. CVMC 49). Non ci si deve mai scordare che fedeli all'antica tradizione della Chiesa si deve alla parola di Dio lo stesso rispetto che si ha verso il corpo del Signore (cf. DV 21). Per questo il Messale Romano scrive che nella liturgia della Parola «si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all'assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l'aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l'omelia» (OGMR 56).
Ma è ovvio che non basta fare momenti di silenzio se i lettori non sanno dare pregnanza alle parole che leggono (cf. OLM 55). Il salmo cantato o recitato deve essere comunque un intenso momento di preghiera. Per questo, di norma, è previsto un salmista, un ministro diverso dal lettore, per quanto possibile (cf. OLM 56; OGMR 61). «La lettura del vangelo costituisce il culmine della liturgia della Parola. La stessa liturgia insegna che si deve dare ad essa massima venerazione» (OGMR 60). L'evangeliario, i lumi, l'incenso nelle Messe più solenni sono segni che, nel giusto contesto che non sia semplicemente cerimoniale, comunicano più di tante parole. I fedeli si rendono conto della centralità della Parola non dalle affermazioni verbali, ma dalle modalità celebrative con le quali la si circonda e soprattutto dal modo con il quale la si commenta e attualizza.

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