La missione di servizio che edifica la Chiesa


Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)

ANALISI


La missione di servizio che edifica la Chiesa
di Enzo Petrolino

Se la realtà della Chiesa è ministero, non c'è nessuno dei suoi membri che non sia coinvolto nel ministero che essa, nel suo insieme, esercita. Questa realtà originaria è stata recuperata e riaffermala dal Concilio, che dopo aver sottolineato il carattere di mistero-sacramento, della Chiesa ha voluto introdurre, prima ancora di qualunque diversificazione interna, un concetto che comprendesse tutti i battezzati. Ha scelto perciò, a tal fine, la categoria di «popolo di Dio», recuperando la dimensione biblica di storia, alleanza, elezione, missione e di cammino escatologico.
La felice intuizione ha avuto il pregio di mettere in rilievo il mutuo rapporto tra il «sacerdozio ministeriale» e «quello comune», che si incentrano entrambi nell'unico «sacerdozio di Cristo» (LG 10). Questo «popolo messianico» è inviato al mondo intero, e tutti gli uomini, in qualche modo, sono ad esso chiamati (LG 9; 13).
La concezione del Vaticano II riguardo al «popolo di Dio» è pervasa dall'esigenza di partecipazione e comunione di tutti i battezzati al servizio «profetico, sacerdotale e regale» di Cristo (LG 10; 12), il che si traduce nell'inserimento attivo nei vari servizi ecclesiali dei carismi donati per l'utilità comune (LG 12). Comune dunque, all'intero popolo di Dio è la «ministerialità». La LG sottolinea che «deve essere... riconosciuta e promossa dentro e per il popolo di Dio la responsabilità di tutti e di ciascuno, quindi anche quella dei fedeli laici» (n. 25); ed ancora aggiunge che, nell'arricchente diversificazione, «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo» (cf. LG 52).
Dunque, il ruolo dei ministeri è quello di consentire (da con-sentire), significare, attualizzare il fatto che Cristo è il fondamento della Chiesa e che tutti i battezzati, nel loro insieme, sono edificati su di lui, struttura portante dell'intera costruzione. Questi dati ecclesiologici sono molto importanti, anche perché pongono in luce che la Chiesa non è fonte autonoma di salvezza; proprio nel suo essere comunità della Parola, essa non appartiene a se stessa ma vive in rapporto all'evento fondante del Cristo, che permane in lei per mezzo dello Spirito come la norma che la convoca e la giudica. Dunque la Chiesa, combattendo ogni forma ricorrente e idolatrica di «ecclesiocentrismo», sia di vertice che di base, che lungo la storia si è riproposto in varie forme, deve sentire l'esigenza di rientrasi sul Cristo. È la legge «cristologica» che accompagna, fonda e domina necessariamente la Chiesa. In questa luce, come «comunità di persone» (ecclesia ex hominibus), la Chiesa scorge la sua condizione essenziale di ministerialità, attraverso un continuo cammino di crescita che si compie simultaneamente nei due sensi: verso il Cristo e verso il mondo. Questa «ministerialità missionaria» della Chiesa impegnata a tradurre in forma appropriata il messaggio evangelico, secondo il principio dell'incarnazione, rivela ancora che è lo Spirito il grande protagonista della salvezza. Allora la missione affidatagli dallo Spirito Santo impegna il popolo di Dio in un ministero che esige fedeltà, perseveranza ed efficacia. Esigenze, le prime due, che rinviano al ministero di Cristo; la terza rinvia ad un criterio storico-profetico della lettura dei «segni dei tempi» (cf. GS 4).
La missione comune della Chiesa (evangelizzazione, servizio al mondo, edificazione della comunità) richiede attività assai diverse, permanenti o temporanee, spontanee o istituzionali. Quindi lo Spirito Santo sollecita, ispirando e chiamando nel popolo di Dio uomini e donne, per assicurare servizi diversi e complementari. La testimonianza di Cristo ed il servizio della missione esigono a tal fine la corresponsabilità di tutti i cristiani.
Il punto di partenza verso una situazione nuova di Chiesa è innanzitutto il ritorno al binomio in auge già negli anni '70, quello di "ministeri e comunione". Nel percorso che intendo proporre - se pur breve e sintetico - voglio rovesciare l'itinerario e partire dalla categoria di comunione non tanto per scandagliarla da un punto di vista biblico o da un punto di vista storico, quanto per affermarne la "trasversalità" relativamente al mistero della Chiesa. Come si sa, non esiste un paragrafo nella LG o nei diversi documenti conciliari che metta esplicitamente a tema la Chiesa come comunione. Che la Chiesa sia comunione è sentire, affermazione che soggiace a qualsiasi categoria ecclesiologica che di volta in volta viene assunta per esprimerne il mistero. Dunque la comunione è al cuore del mistero. La Chiesa altro non è se non il popolo dei chiamati, dei convocati, il corpo dei chiamati e dei convocati a partecipare al mistero stesso, alla vita stessa di Dio Padre Figlio Spirito.

La radice pneumatica della Chiesa
Ciò detto potremmo certo accostarci alla Chiesa, alle sue forme storiche, alla sua articolazione interna, sotto preoccupazioni molteplici. A me preme appellare a un elemento assolutamente fondamentale. Mi riferisco alla presenza in seno alla comunità, che per ciò stesso si riconosce come tale, dello Spirito Santo; il quale, proprio perché predicato come Donatore e Dono, alla comunità, alle sue singole membra, elargisce i suoi propri doni. La LG al n° 4 ha ricordato come i doni sono doni dello Spirito e come doni siano tanto quelli ministeriali che quelli gerarchici. Il problema, dunque, è prendere atto che alla radice della diaconia c'è fondamentalmente l'intreccio dei doni e la loro necessità di tradursi in ministeri. Doni e ministeri non contrapposti o distinti sino al punto da poter essere pensati separatamente. La Chiesa nasce con il fine di «dilatare il regno di Cristo in tutta la terra, per la gloria di Dio Padre», il cui disegno salvifico o «progetto si compie» mediante il servizio della sua «azione missionaria», che inizia precisamente nella stessa Chiesa. Tutta la vita o l'esistenza della Chiesa ha, perciò, come missione principale servire la gloria di Dio. Egli, difatti, ci «liberò dai nostri nemici» spirituali - dal peccato e dal diabolico «tentatore» - per «servirlo senza timore, in santità e giustizia, tutti i nostri giorni» (Lc 1,74 s.).
Un servizio divino, d'altronde, esercitato dalla Chiesa in modo culminante nella sua liturgia, la quale è il vertice cui «tende la sua [servizievole] attività ed insieme è la fonte da cui promana tutta la sua [servizievole] forza». Per il suo stesso significato etimologico, infatti, la «liturgia» è «servizio»; «La liturgia o della Chiesa è, quindi, «come l'esercizio [servizievole] del sacerdozio di Gesù Cristo, cioè, il Capo e le sue membra». Ciò significa: tutta la comunità ecclesiale, unita a Cristo ossia al «Ministro del santuario» celeste (Eb 8,2), serve liturgicamente il Dio trino, tributandogli il servizio divino proprio del pasquale «sacrificio eucaristico», come anche della continua lode di Dio o alla Trinità, che costituisce «la vocazione intima della Chiesa». La Chiesa, pertanto, nella liturgia realizza principalmente il suo «sacerdozio regale», la sua diakonìa divina, cioè, come «regno di sacerdoti per il nostro Dio».
Essa amministra i suoi sacramenti mediante i consacrati dall'unzione dello Spirito - vescovi, presbiteri, diaconi -, come «ministri di Dio»: da Lui eletti perché siano i servitori dei suoi misteri di salvezza, ossia, dei segni salvifici [= sacramenti] del suo dono salvatore agli uomini. La Chiesa serve Dio, inoltre, servendo Cristo in qualità di sua serva. Il Risorto, in effetti, l'inviò nel mondo perché fosse sua «testimone» davanti agli uomini, per offrirgli, cioè, il servizio di testimoniare loro il suo perdono e la sua vittoria su ogni realtà di sofferenza e di morte. La missione della Chiesa è, anche ed essenzialmente, un servizio a Cristo.
Servizio realizzato da tutti i suoi credenti - fedeli e pastori -, ossia da coloro che, come suoi «servi», fedelmente lo «servono». Per di più, lo realizzano anzitutto nel recinto spaziale della propria storia: sottomettendo la loro esistenza - salute e famiglia, professione e lavoro, denaro e cultura... - al dominio liberante del Signore risorto, orientando la propria vita conformemente alla sua volontà o secondo «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16), interpretando gli eventi quotidiani alla luce del suo messaggio, ossia valutandoli e vivendoli non con i criteri del mondo, ma con il metro del Vangelo. Tale servizio esistenziale esige, primariamente e principalmente, Cristo dai suoi liberi servi! Servizio da loro offerto non «con tutta umiltà» e «di buona voglia», ma anche «con la letizia della speranza finale». E poiché la «diversità dei ministeri», cioè dei servizi ecclesiali, proviene dal «Signore» Gesù (1Cor 12,5), servono a Lui coloro che li esercitano nel suo nome. Anzitutto i vescovi o successori degli Apostoli, cui il Signore affidò il compito di essere «i pastori del suo popolo», ossia prestare «un vero servizio» a Cristo in favore della Chiesa, poiché la «sacra potestà» di reggere la sua comunità ecclesiale, la «esercitano nel nome di Cristo» e come suoi «testimoni davanti a tutti gli uomini»: servono Cristo per il bene della Chiesa.
Allo stesso modo lo compiono i presbiteri: consacrati «per servire Cristo», per «partecipare del suo ministero» nella missione servizievole di edificare la Chiesa, costoro esercitano «l'ufficio [= ministero] sacerdotale per gli uomini nel nome di Cristo», rappresentandolo «distintamente nel servizio eucaristico e, in generale, in tutta la sua missione, giacché «Cristo agisce [nella Chiesa] mediante i suoi ministri». E dunque: il servizio operato dal Signore attraverso i diaconi, consacrati per «servire i misteri di Cristo».
Non v'è alcun dubbio: il mistero ecclesiale è essenzialmente un servizio al Signore glorificato che, mediante esso, continua esercitando la sua presenza salvifica in e per la Chiesa, essendo, per tal motivo, «tutti i ministeri pienamente... al servizio di Cristo». Il servizio divino della Chiesa, cioè da essa prestato a Dio si completa, quindi, con il servizio liberamente offerto al suo Signore da parte di tutti i suoi fedeli - sia dai laici come dai religiosi e dai sacri ministri -, membri della libera serva di Cristo: tutta la vita o esistenza della Chiesa è, a ragion a rigar di termini, una diakonia, un servizio a Cristo. La Chiesa offre altresì un servizio allo Spirito Santo come sua libera serva. La sua azione, difatti, si compendia «nel servizio dello Spirito» (2Cor 3,8). Servizio esercitato non solamente dai «servitori della Parola» (Lc 1,2) divinamente ispirata, ossia da coloro che «predicano il Vangelo nello Spirito Santo» (1Pt 1,12), ma anche da coloro che Dio «rese capaci per essere ministri della nuova alleanza» (2Cor 3,6) cioè a dire, suoi servitori nel «ministero della diaconia della nuova alleanza». Inoltre, la Chiesa, quale «tempio» dello Spirito e «Corpo» da Lui vivificato, gli serve da strumento nel suo rivelante e santificatore influsso su tutti i fedeli: su quanti servono Dio, nella propria storia, con il servizio di «un culto secondo lo Spirito» (Fil 3,3).
Il menzionato e molteplice servizio divino, esercitato dalla Chiesa nel suo medesimo recinto ecclesiale, fortifica e incoraggia il suo intra-ecclesiale servizio umano. Tale servizio, difatti, è adempito dai membri della comunità ecclesiale nella comunione di coloro che «hanno gli stessi sentimenti che ebbe Cristo» o il «Servo» sottomesso al Padre (Fil 2,5-8) e, perciò vivono «con uno stesso amore» e antepongono «al proprio interesse quello degli altri» (Fil 2,2-4): si servono, amandosi! Nella fraterna koinonìa [= comunione] si apprende e si esercita la diakonìa cristiana. Il servizio della carità occupa, quindi, nella Chiesa il primo posto. Questo servizio, in effetti, debbono, anzitutto, offrirsi mutua mente i ministri ordinati.
Per tal motivo, sono vivamente esortati a vivere la loro vocazione cristiana con sentimenti di «umiltà, mansuetudine e pazienza» propri solamente di coloro che «si sopportano mutuamente per amore» (Ef 4,2). Coloro, cioè, che sono altresì invitati caldamente a consumare la loro perfezione cristiana «servendosi mutuamente con amore» (Gal 5,13), cioè a sostenersi gli uni gli altri nel servizio dell'aiuto a «portare i propri pesi e a compiere così la legge di Cristo» ossia il suo precetto del gratuito e mutuo amore servizievole, «come» Egli servizievolmente ci amò. Un amore servizievole concretizzato, similmente, nella sollecitudine per i bisogni materiali dei fratelli, mediante il servizio dell'elemosina, o il servizio cultuale di provvedere alle loro necessità corporali (2Cor 9,12): i diaconi debbono esercitare tale «sollecito servizio ai fratelli».

A quale fonte abbeverarsi?
Dunque la missione della Chiesa è segnata dal servizio divino ed umano. Un duplice e complementare servizio, prefigurato già nella storia dell'antico Popolo eletto, esemplificato poi tanto dal suo divino modello (Gesù) come dal suo paradigma prossimo (Maria): a loro somiglianza, la Chiesa è libera serva di Dio, cui serve liberamente servendo gli uomini. Di conseguenza, tale servizio divino e umano deve essere animato e incessantemente rinnovato da una spiritualità servizievole. Quali sono le fondamenta o i pilastri che la sostengono? A quale fonte l'ecclesiale serva di Dio beve o nutre il suo spirito di servizio?
Il solido edificio della spiritualità servizievole del cristiano deve erigersi, pertanto, su basi sicure: sulla roccia ferma di tre pilastri! Uno di questi pilastri è la pietà sincera allo Spirito Santo. I diaconi in Cristo, infatti, «non hanno ricevuto uno spirito di schiavi», ma il liberante «spirito di figli» di Dio o «lo Spirito di Cristo» servo filiale del Padre per «essere guidati dallo Spirito di Dio» o «vivere secondo lo Spirito» ed essere «guidati da» lui. Lo Spirito di Cristo, anima della Chiesa, è, dunque, il fermo pilastro dell'esistenza di servizio del cristiano. Il diacono in Cristo è servo libero e liberamente opera come tale, nella misura che possiede il suo Spirito di servizio liberatore (cf. 2Cor 3,17). Lo Spirito ricevuto è l'«amore personale di Dio», che « è stato versato nei cuori» dei diaconi (Rm 5,5) come principio liberatore della radicale schiavitù imposta dalla «legge del peccato» e dal «timore della morte». Solo l'amore libera! Colui, quindi, che possiede il liberante Spirito di Dio già non è schiavo, ma strumento disponibile o suo libero servo; questi non agisce più con timore schiavizzante, ma con il liberatore amore servizievole dei figli di Dio. Il cristiano è, adunque, libero, essendo servo di Dio e operando con lo Spirito del Figlio suo. «Chi non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8,9) o non è suo servo! È il monito di Paolo ai fedeli di Roma, e, in loro, a tutti i figli della Chiesa. Ciò significa: soltanto il possesso dello Spirito fa del diacono un libero servo di Dio e di Cristo, capace di servire liberamente gli uomini. E questo perché solo l'«amore [personale] di Dio, effuso nei nostri cuori», può far sì che noi fedeli ci serviamo «con amore»; soltanto lo Spirito può far sì che, coloro che hanno ricevuto i suoi doni e carismi (1Cor 12,7-11), li mettano a servizio non del proprio vantaggio, ma «dell'utilità comune» o dell'«edificazione del Corpo di Cristo».
Non c'è, dunque, alcun dubbio: lo Spirito Santo, «anima della Chiesa» e di ciascun credente in Cristo e «motore della sua storia» è anche - e perciò solido pilastro ed efficace rigeneratore del servizio diaconale. Da qui segue la necessità d'invocare frequentemente, con la liturgia della Chiesa e con la preghiera spontanea, il suo illuminante e fortificante ausilio su tutte le nostre azioni - «vieni, Santo Spirito...!». Altro solido pilastro della spiritualità servizievole del diacono è, indubbiamente, l'imitazione di Cristo, come servo di Dio. Come abbiamo visto, sotto quest'aspetto, Gesù è il modello fontale dell'essere e della missione servizievole della Chiesa o del libero servizio del diacono: ogni diacono - animato dal suo Spirito - deve copiare in tutto questo perfetto paradigma del Maestro!
I discepoli, infatti, nella loro relazione intraecclesiale o comunitaria non devono aspirare ad «essere il più grande» o pretendere di essere «il primo» fra loro, ma ad occupare l'ultimo posto e a divenire «piccoli» e ad essere ognuno «il servo di tutti» gli altri, «come» il loro Maestro, «non venuto per essere servito, ma a servire» e a compiere il suo servizio con il «dono della sua vita in riscatto per tutti» gli uomini. Nuovamente si offrì loro come paradigma servizievole durante «la lavanda dei piedi» alla fine del suo ministero messianico e prima d'iniziare la sua passione: facendo con essi il gesto, allora vietato ad un servo ebreo e permesso solo ad un servo pagano, diede «esempio» della loro mutua relazione servizievole e li esortò ad agire tra loro «come» Egli «fece con essi».
Analoga imitazione o paradigma servizievole i capi delle prime comunità cristiane proposero ai loro fedeli e li esortarono caldamente ad imitarlo come Servo: ad «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo», nella sua condizione di Servo fedele a Dio e a Lui «obbediente fino alla morte... di croce»; a «seguire le orme» di colui che «soffrì» e «ci diede esempio» perché lo imitassimo e «seguissimo le sue orme», «portando ogni giorno la propria croce» (Lc 9,23). La croce è il luogo più adeguato dell'incontro salvifico con il Risorto. Per la croce alla gloria della risurrezione!: tale fu il cammino di Cristo, il sofferente e glorificato Servo di Dio; tale è l'unico sentiero da percorrere per i chiamati ad imitare «il suo esempio» e a «seguire le sue orme». È quindi, chiaro: l'imitazione di Cristo, come Servo di Dio, è un costitutivo essenziale della spiritualità diaconale, essendo, perciò e a maggior ragione, uno degli stabili pilastri o solide fondamenta della spiritualità di servizio della Chiesa e di ciascun cristiano e l'efficace assistenza dello Spirito, per di più, evita il rischio che i servi di Dio incorrano in una farisaica spiritualità di sforzo personale o di autosufficienza, come se l'imitazione del Servo di Dio dipendesse dalla propria volontà e dalla propria forza: è un dono del suo Spirito! Solamente chi «ha lo Spirito di Cristo» (Rm 8,9), può «imparare da» lui, imitare il suo esempio e servire «come» Egli servì! Soltanto il diacono vivificato dallo Spirito di Gesù è capace di «avere gli stessi sentimenti» del Servo e di «seguire le sue orme» servizievoli!
Inseparabilmente unito al servizio di Gesù o del Figlio di Dio incarnato è il servizio offerto da sua madre. Nella spiritualità servizievole del diacono, pertanto, all'imitazione del Servo di Dio è complementare l'imitazione di Maria «serva del Signore». La sorgente, che deve nutrire incessantemente la spiritualità servizievole della Chiesa e dei diaconi, non è diversa dalla fonte di tutta la spiritualità genuinamente cristiana, e cioè la Parola di Dio, accompagnata dalla Liturgia, specialmente sacramentaria, e dalla preghiera personale: tre getti dell'unica fonte ecclesiale, da cui il Padre lascia fluire e comunica incessantemente ai suoi servi, nel Figlio suo, l'«acqua viva» del suo Spirito, per sostenerli nel loro servizio divino e umano!
La prima sorgente del servizio diaconale è necessariamente, l'assidua lettura e meditazione della Parola di Dio, «sostegno e vigore della Chiesa» di Cristo, come anche «sorgente pura e perenne della vita spirituale». Tutti i servi di Dio, dunque, devono, a questa fonte del servizievole Spirito di Cristo, bere ogni giorno. Inoltre, la Parola di Dio è, in maniera analoga, l'alimento specifico del diacono, di cui «ogni giorno» devono nutrire la loro divina filiazione o libero servizio, per non ricadere nella schiavitù antica, per non cadere, ma resistere vittoriosamente, alla diabolica «tentazione» di sostituire la liberatrice signoria di Dio con la schiavizzante pretesa di «essere come» lui. Precisamente in questa lotta, il servo di Dio ha necessità di munirsi continuamente delle sue «armi», tra cui si enumera la «Parola» o «la spada dello Spirito». Un'arma efficace! La Parola di Gesù, infatti, è esorcizzante; libera realmente dal peccato. Ugualmente la Parola è «più tagliente di una spada a doppio taglio» e, perciò, capace di «penetrare fino alle giunture dell'anima e dello spirito» - fino «all'anima dell'anima» (Omero), dove non arriva lo psichiatra o lo psicanalista! - «scrutando i sentimenti e i pensieri del cuore»(Eb 4,12) umano, per svelare al servo di Dio la sua identità diaconale, ossia mostrargli se ha o no «lo Spirito di Cristo» (Rm 8,9). Questa è l'alternativa! Un altro servizio specifico della Parola, da lui assiduamente letta, scrutata e meditata. Tutta la Parola.
Altra sorgente dell'«acqua viva» o fonte della spiritualità servizievole del cristiano, sono evidentemente i sacramenti della Chiesa o suoi efficaci segni servizievoli della grazia, comunicata dallo Spirito del Signore. La rinnovazione frequente dei sacramenti dell'iniziazione (battesimo + confermazione) e di stato (ordine + matrimonio), come anche la recezione assidua dei sacramenti della perfezione cristiana (riconciliazione + eucarestia), è costitutivo essenziale di ogni servo di Dio.
Non meno necessaria è la quotidiana memoria del sacramento dell'ordine per i ministri del Signore, ossia coloro che, attraverso quell'efficace segno sacramentale, sono consacrati al servizio di Cristo e del Popolo di Dio. Soltanto così riacquistano, quotidianamente, coscienza di essere ciò che sono: debbono «pascere il gregge di Dio» o il suo Popolo, «non spadroneggiando sui» fedeli, ma facendosi» loro modello e imitando l'amore servizievole del «Buon Pastore», che «dà la vita per le sue pecore». Devono amarle con l'amore servizievole, che dona senza esigere e libera senza dominare! Debbono, come il loro modello fontale, «servire e dare la loro vita in riscatto per tutti» gli uomini! «Pastori con l'odore delle pecore!» (papa Francesco all'omelia del Giovedì Santo).
La spiritualità servizievole anima e caratterizza, dunque, l'esistenza del diacono, liberato dallo Spirito di Cristo e chiamato dalla schiavitù alla «libertà dei figli di Dio» per servirlo liberamente come figlio suo e, in questo libero servizio, non solo servirsi mutuamente nell'amore, ma anche servire tutti gli uomini. Così la comunità ecclesiale, attraverso il ministero diaconale, prolunga la missione di servizio compiuta dal suo fondatore Gesù ed edifica la Chiesa.

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