San Lorenzo, diacono e martire


Bozza di articolo per il mensile diocesano "Ecclesia in cammino" della diocesi di Velletri-Segni, non andato in stampa per cambio di programmazione.
(Luigi Vidoni)


San Lorenzo, diacono e martire, è uno dei santi più illustri e venerati a Roma e nel mondo. Non è facile ricostruire con precisione i contorni storici di questa grande figura, data la distanza del tempo in cui è vissuto e la mancanza di documentazione al riguardo. Tuttavia, nonostante mancassero gli Atti autentici del martirio e qualsiasi altro documento strettamente storico, fiorì una letteratura piuttosto ricca. Il primo e più importante Padre della Chiesa ad offrirci un racconto pressoché completo del martirio di san Lorenzo è sant'Ambrogio. Ma più ricca di contenuti e di episodi è la "Passio di Policromio", che narra della "Passione" del papa Sisto II e del diacono Lorenzo e degli altri martiri.
Non abbiamo certezza sul luogo di nascita di Lorenzo, se a Roma o in Spagna. La tradizione più attendibile ci porta in Spagna, ad Osca, cittadina dell'Aragogna alle falde dei Pirenei. Ancor giovane, per continuare gli studi umanistici e teologici viene mandato nella città di Saragozza, dove conosce il futuro papa Sisto II. Questi, originario della Grecia, svolgeva il suo ufficio di insegnate in quello che era, all'epoca, uno dei più noti centri di studi e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati.
Da parte sua Lorenzo, che un giorno sarebbe diventato il capo dei diaconi della Chiesa di Roma, si imponeva per le sue doti umane, per la delicatezza d'animo e l'ingegno.
Sisto e Lorenzo, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, lasciarono la Spagna per la città dove l'apostolo Pietro avevo posto la sua cattedra, a Roma. Così, nel cuore della cristianità avrebbero potuto realizzare il loro ideale di evangelizzazione e missionarietà… fino all'effusione del sangue.
Il servizio a cui era chiamato il diacono Lorenzo richiedeva grandi qualità umane e morali, nonché una profonda spiritualità evangelica impregnata di carità. Tra lui ed il Papa Sisto non vi era solo, come vedremo in seguito, un rapporto richiesto dal ministero che svolgevano, ma vi era una profonda stima e amore reciproco. Lorenzo onorava Sisto non solamente come un diacono onora il suo vescovo, ma anche come un figlio onora suo padre, un discepolo il suo maestro.
Siamo nel III secolo e l'Impero, a causa di scosse politiche ed economiche, era entrato in una forte crisi, mentre invece l'organizzazione della Chiesa attorno all'anno 250 era così progredita che ormai lo stato pagano per la prima volta dovette riconoscere chiaramente il pericolo che gli veniva dal cristianesimo. Roma avrebbe anche tollerata la religione cristiana, ma una Chiesa organizzata e costituita gerarchicamente non poteva essere tollerata, anzi doveva essere distrutta. Inoltre l'imperatore Decio (249-251) voleva ordinare a nuovo l'impero su una ricuperabile comune base religiosa. Lo scoppiare della persecuzione poi dipese dal fatto che i cristiani si erano rifiutati di prendere parte ai sacrifici nazionali che erano stati indetti in tutto l'Impero per impetrare la protezione contro un'epidemia. Chi si rifiutava doveva essere forzato a farlo. I martiri furono molti. La persecuzione di Decio finì con l'invasione dei Goti nella Dacia, dove lo stesso imperatore trovò la morte. Gli succedette Valeriano (253-260) che continuò le ostilità contro i cristiani. Ma un attacco vero e proprio contro di essi fu sferzato solo nel 258, quando l'imperatore ordinò la messa a morte di vescovi, preti e diaconi. Anche i senatori ed i notabili cristiani furono privati di ogni dignità ed anche dei beni; pure le matrone cristiane subirono la confisca dei beni e mandate in esilio.
Così papa Sisto, solo dopo undici mesi dalla sua elezione, ai primi di agosto del 258, fu arrestato di notte, mentre celebrava l'Eucaristia, nelle catacombe di san Callisto insieme a quattro diaconi. Lorenzo, dal momento della sua elezione a diacono, non aveva mai abbandonato il pontefice. Sant'Ambrogio, nella sua narrazione, scrive che Lorenzo, «vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma perché egli doveva sopravvivergli. Comincia dunque a dirgli a gran voce: "Dove vai, padre, senza tuo figlio? Dove ti affretti santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offri mai il sacrificio senza ministro…". Allora Sisto gli rispose: "Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai…».
Sisto raccomandò a Lorenzo di distribuire tutte le ricchezze della Chiesa ai poveri, affinché non cadessero nelle mani dei persecutori.
Valeriano, che era sì nemico di Cristo, ma più ancora amico della ricchezza, voleva a tutti i costi mettere mano sui tesori della Chiesa, che dovevano essere considerevoli se si doveva provvedere ai suoi ministri, alle necessità di un buon numero di vedove e di vergini, oltre a tutti i poveri che non possedevano nulla. Siccome Lorenzo ne era il custode, l'Imperatore più che preoccupato di indurlo a rinnegare la fede era preoccupato a che gli consegnasse tutti i beni ed il denaro della Chiesa, tesori che, in virtù dell'editto dello stesso Valeriano, dovevano essere consegnati al fisco imperiale.
Lorenzo si affrettò a distribuire tutto ai poveri ed infine, comparso davanti al prefetto, gli mostrò la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagnava ed esclamò: «Ecco i tesori della Chiesa, che non vengono mai meno e che crescono sempre». L'imperatore, allora, di fronte a tale spettacolo e vistosi deriso, comandò che Lorenzo venisse messo a morte. Un'antica "passione", raccontata da sant'Ambrogio, precisa che fu "bruciato sopra una graticola", un supplizio che ispirerà opere d'arte e testi di pietà popolari lungo i secoli. Studi recenti, però, dichiararono leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Si può quindi ritenere che Lorenzo, al pari di Sisto, Cipriano e tanti altri, sia stato decapitato. Subirà il martirio quattro giorni dopo il papa Sisto, il 10 agosto del 258.
Il corpo poi venne deposto in una tomba sulla via Tiburtina, nell'Agro Verano. Su di essa Costantino costruirà una basilica che lungo i secoli fu ampliata e resa sempre più solenne: l'attuale Basilica Patriarcale di san Lorenzo fuori le Mura. La città di Roma, che gli attribuiva la definitiva vittoria sul paganesimo, lo ricambiò eleggendolo suo terzo patrono, dopo gli apostoli Pietro e Paolo.

La testimonianza della vita e del martirio di san Lorenzo è per noi di grande attualità e fonte di luce per una maggior comprensione del ministero diaconale, ripristinato nella sua forma permanente dal Concilio Vaticano II.
Tale attualità si può peraltro riscontrare anche nei vari discorsi che si sono tenuti in occasione del Giubileo dei diaconi del 2000, al quale ho potuto partecipare. Uno di questi interventi è stato quello di mons. Moraglia. Cercherò qui di riportare alcuni appunti di quel discorso.
Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è essere ordinato per il servizio della carità, allora la "martyria", la testimonianza fino all'effusione del sangue, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o genericamente alle così dette opere di misericordia corporali o spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14). Nel caso di san Lorenzo, spiega sant'Ambrogio, nessun desiderio lo spingeva se non quello di immolarsi per il Signore; così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, è evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio al prossimo ridotto alle sole necessità materiali. Poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare una qual esperienza di Cristo che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo: questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile. Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé, fino al sacrificio della vita.
Il diacono poi si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, vive la "comunione ecclesiale" attraverso un servizio specifico proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa.
Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto. Il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono al vescovo, il diacono appare "uomo della comunione" proprio attraverso il servizio specifico al vescovo; servizio che si realizza concretamente nel fedele adempimento di ciò che il vescovo richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.
L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono.
Nella sua testimonianza, sant'Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, in forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e, in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata. E proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale.
Lorenzo, prima di morire, in spirito di servizio ed obbedienza al suo vescovo, per l'ultima volta amministrerà i beni della Chiesa, Sposa di Cristo, con un gesto che dice come nella Chiesa tutto è finalizzato e assume valore a partire dal servizio della carità.
A chi guarda da lontano, in modo approssimativo, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali (si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri). In realtà, l'atto che Lorenzo compie, in spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.
Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.




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