Gaudium et spes - Parte II - Capitolo III - Sezione II




Costituzione Pastorale "Gaudium et spes"
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
7 dicembre 1965


Commento mediante il Catechismo della Chiesa Cattolica


PARTE II
ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI

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Capitolo III
VITA ECONOMICO-SOCIALE

Sezione II
ALCUNI PRINCIPI RELATIVI ALL'INSIEME DELLA VITA ECONOMICO-SOCIALE


Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero (n. 67)
     [67a] Il lavoro umano è superiore agli altri elementi della vita economica
     [67b] Il lavoro procede direttamente dalla persona
     [67c] Il lavoro associa l'uomo all'opera redentiva di Cristo
     [67d] Il lavoro va rimunerato in modo da garantire una vita dignitosa
     [67e] Adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona
     [67f] I lavoratori debbono godere di sufficiente riposo e tempo libero

Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo economico generale;
conflitti di lavoro (n. 68)
     [68a] Nelle imprese economiche persone libere e autonome immagine di Dio
     [68b] Lavoratori parte attiva nelle decisioni da cui dipende il loro avvenire
     [68c] Diritto dei lavoratori: fondare liberamente associazioni per rappresentarli
     [68d] Lo sciopero può rimanere un mezzo necessario benché estremo

I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini (n. 69)
     [69a] Dio ha destinato la terra e quanto contiene all'uso di tutti gli uomini
     [69b] Si deve sempre tener conto della destinazione universale dei beni
     [69c] A tutti spetta il diritto di una parte di beni sufficienti a sé e alla famiglia
     [69d] Mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni
     [69e] Oneste consuetudini non cessano di essere assai utili
     [69f] Istituzioni sociali per previdenza, sicurezza e servizi familiari

Investimenti e moneta (n. 70)
     [70a] Contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente
     [70b] Si provveda ai beni necessari per una vita decorosa
     [70c] Si abbiano sempre presenti nazioni e regioni meno sviluppate
     [70d] I deboli non siano danneggiati dai mutamenti di valore della moneta

Accesso alla proprietà e dominio privato dei beni; problemi dei latifondi (n. 71)
     [71a] Favorire l'accesso d'individui e gruppi al potere sui beni esterni
     [71b] Proprietà privata e potere sui beni indispensabili all'autonomia
                           personale e familiare
     [71c] Proprietà dei beni materiali e anche immateriali
                           come le capacità professionali
     [71d] Spetta alla pubblica autorità impedire gli abusi della proprietà privata
     [71e] Ogni proprietà privata ha per sua natura un carattere sociale
     [71f] In molti paesi la maggioranza della popolazione è sprovvista di terreni
     [71g] I dipendenti da proprietari ricevono salari o rimunerazioni indegne
     [71h] Riforme per migliorare le condizioni di lavoro
                           e aumentare la sicurezza dell'impiego
     [71i] Nell'espropriare la proprietà calcolare l'indennizzo secondo equità

L'attività economico-sociale e il regno di Cristo (n. 72)
     [72a] I cristiani che partecipano allo sviluppo economico-sociale
                           brillino per l'esempio
     [72b] Amore per aiutare i fratelli e realizzare le opere della giustizia




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Capitolo III

Vita economico-sociale

 

Sezione I

Sviluppo economico

 

 


n. 67 - Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero

 


Il lavoro umano è superiore agli altri elementi della vita economica

 

[GS 67a] Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.
(CCC 2432) I responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37]. Hanno il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti. Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.

 


Il lavoro procede direttamente dalla persona

 

[GS 67b] Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al completamento della divina creazione.
(CCC 378) Il segno della familiarità dell'uomo con Dio è il fatto che Dio lo colloca nel giardino [Gen 2,8], dove egli vive "per coltivarlo e custodirlo" (Gen 2,15): il lavoro non è una fatica penosa [Gen 3,17-19], ma la collaborazione dell'uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile. (CCC 531) Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della stragrande maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita di lavoro manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio [Gal 4,4], vita nella comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era sottomesso [Lc 2,51] ai suoi genitori e che "cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52). (CCC 2434) Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia [Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. "Il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario.

 


Il lavoro associa l'uomo all'opera redentiva di Cristo

 

[GS 67c] Ancor più: sappiamo per fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro.
(CCC 1907) In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto "alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 26]. (CCC 1929) La giustizia sociale non si può ottenere se non nel rispetto della dignità trascendente dell'uomo. La persona rappresenta il fine ultimo della società, la quale è ad essa ordinata: "La difesa e la promozione della dignità della persona umana ci sono state affidate dal Creatore; di essa sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia" [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 47]. (CCC 1930) Il rispetto della persona umana implica il rispetto dei diritti che scaturiscono dalla sua dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori alla società e ad essa si impongono. Essi sono il fondamento della legittimità morale di ogni autorità: una società che li irrida o rifiuti di riconoscerli nella propria legislazione positiva, mina la propria legittimità morale [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 61]. Se manca tale rispetto, un'autorità non può che appoggiarsi sulla forza o sulla violenza per ottenere l'obbedienza dei propri sudditi. E' compito della Chiesa richiamare alla memoria degli uomini di buona volontà questi diritti e distinguerli dalle rivendicazioni abusive o false.

 


Il lavoro va rimunerato in modo da garantire una vita dignitosa

 

[GS 67d] Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa e del bene comune (145).

(145) Cf. LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: AAS 23 (1890-91), pp. 649-662 [in parte Dz 3268ss]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 200-201; ID, Encicl. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937), p. 92 [Dz 3774]; PIO XII, Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942: Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943), p. 20; ID., Discorso 13 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 172; ID., Messaggio radiofonico diretto agli operai di Spagna, 11 marzo 1951: AAS 43 (1951), p. 215; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 419 [Dz 3944].
(CDS 291) I problemi dell'occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete il dovere di promuovere politiche attive del lavoro, cioè tali da favorire la creazione di opportunità lavorative all'interno del territorio nazionale, incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non consiste tanto nell'assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, irreggimentando l'intera vita economica e mortificando la libera iniziativa dei singoli, quanto piuttosto nell'«assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 853).

 


Adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona

 

[GS 67e] Poiché l'attività economica è per lo più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano a danno di chi vi operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di ciascuno.
(CDS 295) Il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, perciò va garantita la presenza delle donne anche in ambito lavorativo. Il primo indispensabile passo in tale direzione è la concreta possibilità di accesso alla formazione professionale. Il riconoscimento e la tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo dipendono, in generale, dall'organizzazione del lavoro, che deve tener conto della dignità e della vocazione della donna, la cui «vera promozione... esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 628). È una questione su cui si misurano la qualità della società e l'effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne. La persistenza di molte forme di discriminazione offensive della dignità e vocazione della donna nella sfera del lavoro è dovuta ad una lunga serie di condizionamenti penalizzanti per la donna, che è stata ed è ancora «travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù» (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), 3: AAS 87 (1995) 804). Queste difficoltà, purtroppo, non sono superate, come dimostrano ovunque le diverse situazioni che avviliscono le donne, assoggettandole anche a forme di vero e proprio sfruttamento. L'urgenza di un effettivo riconoscimento dei diritti delle donne nel lavoro si avverte specialmente sotto l'aspetto retributivo, assicurativo e previdenziale (Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 24: AAS 74 (1982) 109-110).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


I lavoratori debbono godere di sufficiente riposo e tempo libero

 

[GS 67f] Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro lavoro professionale.
(CDS 294) Il lavoro è «il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600): esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600-602; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 23: AAS 74 (1982) 107-109). Famiglia e lavoro, così strettamente interdipendenti nell'esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un'attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro. A questo riguardo, è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo. Il pendolarismo, il doppio lavoro e la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare (Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 10, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14); le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie, così come le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 

n. 68 - Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo economico generale;
conflitti di lavoro

 


Nelle imprese economiche persone libere e autonome immagine di Dio

 

[GS 68a] Nelle imprese economiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di Dio. Perciò, prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno - sia proprietari, sia imprenditori, sia dirigenti, sia operai - e salva la necessaria unità di direzione dell'impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, la attiva partecipazione di tutti alla gestione dell'impresa (146).

(146) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 408, 424 [Dz 3948], 427; il termine "curatione" [conduzione] è desunto dal testo latino Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 199 [Dz 3733]. Riguardo all'evoluzione del problema cf. anche: PIO XII, Discorso 3 giugno 1950: AAS 42 (1950), pp. 485-488; PAOLO VI, Discorso, 8 giugno 1964: AAS 56 (1964), pp. 574-579.
(CCC 2430) La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 11]. Si farà di tutto per comporre tali conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale: i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le organizzazioni sindacali, ed, eventualmente, i pubblici poteri. (CCC 1939) Il principio di solidarietà, designato pure con il nome di "amicizia" o di "carità sociale", è un'esigenza diretta della fraternità umana e cristiana [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38-40; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 10]: Un errore "oggi largamente diffuso è la dimenticanza della legge della solidarietà umana e della carità, legge dettata e imposta tanto dalla comunità di origine e dall'uguaglianza della natura ragionevole, propria di tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, quanto dal sacrificio offerto da Gesù Cristo sull'altare della croce, al Padre suo celeste, in favore dell'umanità peccatrice" [Pio XII, Lett. enc. Summi pontificatus]. (CCC 1940) La solidarietà si esprime innanzitutto nella ripartizione dei beni e nella remunerazione del lavoro. Suppone anche l'impegno per un ordine sociale più giusto, nel quale le tensioni potrebbero essere meglio riassorbite e i conflitti troverebbero più facilmente la loro soluzione negoziata.

 


Lavoratori parte attiva nelle decisioni da cui dipende il loro avvenire

 

[GS 68b] Poiché, tuttavia, in molti casi non è più a livello dell'impresa, ma a livello superiore in istituzioni di ordine più elevato, che si prendono le decisioni economiche e sociali da cui dipende l'avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna che essi siano parte attiva anche in tali decisioni, direttamente o per mezzo di rappresentanti liberamente eletti.
(CCC 2459) L'uomo stesso è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale. Il nodo decisivo della questione sociale è che i beni creati da Dio per tutti, in effetti arrivino a tutti, secondo la giustizia e con l'aiuto della carità. (CCC 2460) Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, il quale ne è l'autore e il destinatario. Mediante il lavoro, l'uomo partecipa all'opera della creazione. Compiuto in unione con Cristo, il lavoro può essere redentivo. (CCC 2461) Il vero sviluppo è quello dell'uomo nella sua integralità. Si tratta di far crescere la capacità di ogni persona a rispondere alla propria vocazione, quindi alla chiamata di Dio [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 29].

 


Diritto dei lavoratori: fondare liberamente associazioni per rappresentarli

 

[GS 68c] Tra i diritti fondamentali della persona umana bisogna annoverare il diritto dei lavoratori di fondare liberamente proprie associazioni, che possano veramente rappresentarli e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonché il diritto di partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorrere nel rischio di rappresaglie. Grazie a tale partecipazione organizzata, congiunta con una formazione economica e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in tutti la coscienza della propria funzione e responsabilità: essi saranno così portati a sentirsi parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della realizzazione del bene comune universale.
(CCC 2434) Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia [Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. "Il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario. (CCC 2435) Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune. (CCC 2436) E' ingiusto non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle legittime autorità. La disoccupazione, per carenza di lavoro, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua famiglia [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18].

 

Lo sciopero può rimanere un mezzo necessario benché estremo

 

[GS 68d] In caso di conflitti economico-sociali, si deve fare ogni sforzo per giungere a una soluzione pacifica. Benché sempre si debba ricorrere innanzitutto a un dialogo sincero tra le parti, lo sciopero può tuttavia rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo necessario, benché estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei lavoratori. Bisogna però cercare quanto prima le vie atte a riprendere il dialogo per le trattative e la conciliazione.
(CCC 2435) Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune.

 

n. 69 - I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini

 


Dio ha destinato la terra e quanto contiene all'uso di tutti gli uomini

 

[GS 69a] Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità (147).

(147) Cf. PIO XII, Encicl. Sertum laetitiae: AAS 31 (1939), p. 642; GIOVANNI XXIII, Discorso concistoriale: AAS 52 (1960), pp. 5-11; ID., Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 411.
(CCC 2402) All'inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell'umanità, affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti [Gen 1,26-29]. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata dalla violenza. L'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra gli uomini.

 


Si deve sempre tener conto della destinazione universale dei beni

 

[GS 69b] Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri (148).

(148) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-1891), p. 651 [Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941: AAS 23 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico natalizio Ecce ego declinabo 1954: AAS 47 (1955), p. 27.
(CCC 2403) Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio.

 


A tutti spetta il diritto di una parte di beni sufficienti a sé e alla famiglia

 

[GS 69c] Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo (149). Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui (150).

(149) Cf. S. BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76, 1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a. 3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio radiotelevisivo 11 sett. 1962: AAS 54 (1962), p. 682: "Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l'amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti".
(150) Vale in tal caso l'antico principio: "In estrema necessità tutto è in comune, cioè da comunicare". D'altra parte, per il criterio, l'estensione e il modo con cui si applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com'è evidente, per una corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni moralmente richieste.
(CCC 2404) "L'uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 69]. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti.

 


Mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni

 

[GS 69d] Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza dei Padri: «Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso» (151) realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi.

(151) Cf. Gratiani Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.
(CCC 2405) I beni di produzione - materiali o immateriali - come terreni o stabilimenti, competenze o arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a vantaggio del maggior numero di persone. Coloro che possiedono beni d'uso e di consumo devono usarne con moderazione, riservando la parte migliore all'ospite, al malato, al povero. (CCC 2406) L'autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 71; Lett. enc. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 42; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 40; 48]. (CCC 2429) Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32; 34].

 


Oneste consuetudini non cessano di essere assai utili

 

[GS.69e] Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze.
(CDS 332) La dimensione morale dell'economia fa cogliere come finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno sviluppo solidale dell'umanità. La morale, costitutiva della vita economica, non è né oppositiva, né neutrale: se ispirata alla giustizia e alla solidarietà, costituisce un fattore di efficienza sociale della stessa economia. È un dovere svolgere in maniera efficiente l'attività di produzione dei beni, altrimenti si sprecano risorse; ma non è accettabile una crescita economica ottenuta a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione. L'espansione della ricchezza, visibile nella disponibilità di beni e di servizi, e l'esigenza morale di una equa diffusione di questi ultimi devono stimolare l'uomo e la società nel suo insieme a praticare la virtù essenziale della solidarietà (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 568-569) per combattere, nello spirito della giustizia e della carità, ovunque ne sia rivelata la presenza, quelle «strutture di peccato» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36: AAS 80 (1988) 561) che generano e mantengono povertà, sottosviluppo e degradazione. Tali strutture sono edificate e consolidate da molti atti concreti di egoismo umano.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Istituzioni sociali per previdenza, sicurezza e servizi familiari

 

[GS 69f] Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.
(CDS 333) Per assumere un profilo morale, l'attività economica deve avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell'intera famiglia umana (Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 65: AAS 58 (1966) 1086-1087). Se, in qualche misura, tutti sono responsabili di tutti, ciascuno ha il dovere di impegnarsi per lo sviluppo economico di tutti (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32: AAS 80 (1988) 556-557): è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l'intera umanità. Se vissuta moralmente, l'economia è dunque prestazione di un servizio reciproco, mediante la produzione di beni e servizi utili alla crescita di ognuno, e diventa opportunità per ogni uomo di vivere la solidarietà e la vocazione alla «comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844). Lo sforzo di concepire e realizzare progetti economico-sociali capaci di favorire una società più equa e un mondo più umano rappresenta una sfida aspra, ma anche un dovere stimolante, per tutti gli operatori economici e per i cultori delle scienze economiche (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 15-16: AAS 92 (2000) 366-367).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 

n. 70 - Investimenti e moneta

 


Contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente

 

[GS 70a] Gli investimenti, da parte loro, devono contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi, quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali investimenti e della organizzazione della vita economica globale - sia singoli che gruppi o pubbliche autorità - devono aver presenti questi fini e mostrarsi consapevoli del loro grave obbligo:
(CDS 338) L'impresa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfacimento degli interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la società: non solo per i proprietari, ma anche per gli altri soggetti interessati alla sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l'impresa svolge anche una funzione sociale, creando opportunità d'incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Nell'impresa, pertanto, la dimensione economica è condizione per il raggiungimento di obiettivi non solo economici, ma anche sociali e morali, da perseguire congiuntamente. L'obiettivo dell'impresa deve essere realizzato in termini e con criteri economici, ma non devono essere trascurati gli autentici valori che permettono lo sviluppo concreto della persona e della società. In questa visione personalista e comunitaria, «l'azienda non può essere considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Si provveda ai beni necessari per una vita decorosa

 

[GS 70b] da una parte di vigilare affinché si provveda ai beni necessari richiesti per una vita decorosa sia dei singoli che di tutta la comunità; d'altra parte di prevedere le situazioni future e di assicurare il giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo, sia individuale che collettivo, e le esigenze di investimenti per la generazione successiva.
(CDS 340) La dottrina sociale riconosce la giusta funzione del profitto, come primo indicatore del buon andamento dell'azienda: «quando un'azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837). Ciò non offusca la consapevolezza del fatto che non sempre il profitto segnala che l'azienda stia servendo adeguatamente la società (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2424). È possibile, ad esempio, «che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837). È quanto avviene quando l'impresa è inserita in sistemi socio-culturali improntati allo sfruttamento delle persone, inclini a sfuggire agli obblighi di giustizia sociale e a violare i diritti dei lavoratori. È indispensabile che, all'interno dell'impresa, il legittimo perseguimento del profitto si armonizzi con l'irrinunciabile tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano nella stessa impresa. Le due esigenze non sono affatto in contrasto l'una con l'altra, dal momento che, da una parte, non sarebbe realistico pensare di garantire il futuro dell'impresa senza la produzione di beni e servizi e senza conseguire profitti che siano il frutto dell'attività economica svolta; d'altra parte, consentendo alla persona che lavora di crescere, si favorisce una maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso. L'impresa deve essere una comunità solidale (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 846-848) non chiusa negli interessi corporativi, tendere ad un'«ecologia sociale» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38: AAS 83 (1991) 841) del lavoro, e contribuire al bene comune anche mediante la salvaguardia dell'ambiente naturale.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Si abbiano sempre presenti nazioni e regioni meno sviluppate

 

[GS 70c] Si abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti necessità delle nazioni o regioni economicamente meno sviluppate.
(CDS 363) La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Fondazione «Centesimus Annus» (9 maggio 1998), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998) 873-874): «La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 3: AAS 90 (1998) 150). Lo stesso progresso tecnologico rischia di ripartire iniquamente tra i Paesi i propri effetti positivi. Le innovazioni, infatti, possono penetrare e diffondersi all'interno di una determinata collettività, se i loro potenziali beneficiari raggiungono una soglia minima di sapere e di risorse finanziarie: è evidente che, in presenza di forti disparità tra i Paesi nell'accesso alle conoscenze tecnico-scientifiche e ai più recenti prodotti tecnologici, il processo di globalizzazione finisce per allargare, anziché ridurre, le disuguaglianze tra i Paesi in termini di sviluppo economico e sociale. Data la natura delle dinamiche in atto, la libera circolazione di capitali non è di per sé sufficiente a favorire l'avvicinamento dei Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


I deboli non siano danneggiati dai mutamenti di valore della moneta

 

[GS 70d] In campo monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di valore della moneta.
(CDS 369) Un'economia finanziaria fine a se stessa è destinata a contraddire le sue finalità, poiché si priva delle proprie radici e della propria ragione costitutiva, ossia del suo ruolo originario ed essenziale di servizio all'economia reale e, in definitiva, di sviluppo delle persone e delle comunità umane. Il quadro complessivo risulta ancora più preoccupante alla luce della configurazione fortemente asimmetrica che contraddistingue il sistema finanziario internazionale: i processi di innovazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari tendono infatti a consolidarsi solo in alcune parti del globo. Ciò è fonte di gravi preoccupazioni di natura etica, perché i Paesi esclusi dai processi descritti, pur non godendo dei benefici da questi prodotti, non sono tuttavia al riparo da eventuali conseguenze negative dell'instabilità finanziaria sui loro sistemi economici reali, soprattutto se fragili e in ritardo di sviluppo (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (25 aprile 1997), 6: AAS 90 (1998) 141-142). L'improvvisa accelerazione di processi quali l'enorme incremento nel valore dei portafogli amministrati dalle istituzioni finanziarie e il rapido proliferare di nuovi e sofisticati strumenti finanziari rende quanto mai urgente l'individuazione di soluzioni istituzionali capaci di favorire efficacemente la stabilità del sistema, senza ridurne le potenzialità e l'efficienza. È indispensabile introdurre un quadro normativo che consenta di tutelare tale stabilità in tutte le sue complesse articolazioni, di promuovere la concorrenza tra gli intermediari e di assicurare la massima trasparenza a vantaggio degli investitori.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 

n. 71 - Accesso alla proprietà e dominio privato dei beni;
problemi dei latifondi

 


Favorire l'accesso d'individui e gruppi al potere sui beni esterni

 

[GS 71a] Poiché la proprietà e le altre forme di potere privato sui beni esteriori contribuiscono alla espressione della persona e danno occasione all'uomo di esercitare il suo responsabile apporto nella società e nella economia, è di grande interesse favorire l'accesso degli individui o dei gruppi ad un certo potere sui beni esterni.
(CDS 176) Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: «In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine della proprietà individuale» (368). La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni «assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità» (369). La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti (370), così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di «comune e promiscuo dominio» (371).

Note:
(368) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.
(369) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 71: AAS 58 (1966) 1092- 1093; cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103-104; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica «Rerum novarum»: AAS 33 (1941) 199; Id., Radiomessaggio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943) 17; Id., Radiomessaggio (1º settembre 1944): AAS 36 (1944) 253; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 428-429).
(370) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 6: AAS 83 (1991) 800-801).
(371) Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Proprietà privata e potere sui beni indispensabili
all'autonomia personale e familiare

 

[GS 71b] La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della responsabilità, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili (152).

(152) Cf. LEONE XII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 643-646 [in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191; PIO XII, Messaggio radiofonico 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942: Con sempre nuova freschezza AAS  35 (1943), p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944 Oggi al compiersi: AAS 36 (1944), p. 253; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS  53 (1961), pp. 428-429.
(CDS 177) La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: «Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613). Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità (Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2402-2406). Tale principio non si oppone al diritto di proprietà (Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102), ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo (Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22-23: AAS 59 (1967) 268-269).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Proprietà dei beni materiali e anche immateriali
come le capacità professionali

 

[GS 71c] Le forme di tale potere o di tale proprietà sono oggi varie e vanno modificandosi sempre di più di giorno in giorno. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i servizi garantiti dalla società, le forme di tale potere o di tale proprietà restano tuttavia una fonte non trascurabile di sicurezza. Tutto ciò non va riferito soltanto alla proprietà dei beni materiali, ma altresì dei beni immateriali, come sono ad esempio le capacità professionali.
(CDS 178) L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato (Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 430-431; Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4: AAS 71 (1979) 199-201), con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune (Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 191-192. 193-194. 196-197). L'uomo «deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri» (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090). La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Spetta alla pubblica autorità impedire gli abusi della proprietà privata

 

[GS 71d] La legittimità della proprietà privata non è in contrasto con quella delle varie forme di proprietà pubblica. Però il trasferimento dei beni in pubblica proprietà non può essere fatto che dalla autorità competente, secondo le esigenze ed entro i limiti del bene comune e con un equo indennizzo. Spetta inoltre alla pubblica autorità impedire che si abusi della proprietà privata agendo contro il bene comune (153).

(153) Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 214; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS  53 (1961), p. 429.
(CDS 179) L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa «si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 832). Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: «Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti - individui e Nazioni - le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Ogni proprietà privata ha per sua natura un carattere sociale

 

[GS 71e] Ogni proprietà privata ha per sua natura anche un carattere sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei beni (154). Se si trascura questo carattere sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto a quelli che contestano il diritto stesso di proprietà.

(154) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico per la Pent. 1941: AAS 33 (1941), p. 199; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS  53 (1961), p. 430 [Dz 3952].
(CDS 180) Se nel processo di sviluppo economico e sociale acquistano notevole rilievo forme di proprietà sconosciute in passato, non si possono dimenticare, tuttavia, quelle tradizionali. La proprietà individuale non è la sola forma legittima di possesso. Riveste particolare importanza anche l'antica forma di proprietà comunitaria che, pur presente anche nei Paesi economicamente avanzati, caratterizza, in modo peculiare, la struttura sociale di numerosi popoli indigeni. È una forma di proprietà che incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di quei popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere. La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria non devono escludere, tuttavia, la consapevolezza del fatto che anche questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi. Se si agisse in modo da garantire solo la sua conservazione, si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di comprometterla (Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092). Resta sempre cruciale, specie nei Paesi in via di sviluppo o che sono usciti da sistemi collettivistici o di colonizzazione, l'equa distribuzione della terra. Nelle zone rurali, la possibilità di accedere alla terra tramite le opportunità offerte anche dai mercati del lavoro e del credito è condizione necessaria per l'accesso agli altri beni e servizi; oltre a costituire una via efficace per la salvaguardia dell'ambiente, tale possibilità rappresenta un sistema di sicurezza sociale realizzabile anche nei Paesi che hanno una struttura amministrativa debole (Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 27-31, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 26-29).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


In molti paesi la maggioranza della popolazione è sprovvista di terreni

 

[GS.71f] In molti paesi economicamente meno sviluppati esistono proprietà agricole estese od anche immense, scarsamente o anche per nulla coltivate per motivi di speculazione; mentre la maggioranza della popolazione è sprovvista di terreni da lavorare o fruisce soltanto di poderi troppo limitati, e d'altra parte, l'accrescimento della produzione agricola presenta un carattere di evidente urgenza.
(CDS 181) Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici. L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13) ne viene più che mai posseduto e asservito (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-34. 37: AAS 80 (1988) 547-560. 563-564; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845). Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


I dipendenti da proprietari ricevono salari o rimunerazioni indegne

 

[GS 71g] Non è raro che coloro che sono assunti come lavoratori dipendenti dai proprietari di tali vasti possedimenti, ovvero coloro che ne coltivano una parte a titolo di locazione, ricevono un salario o altre forme di remunerazione indegne di un uomo, non dispongono di una abitazione decorosa o sono sfruttati da intermediari. Mancando così ogni sicurezza, vivono in tale stato di dipendenza personale, che viene loro interdetta quasi ogni possibilità di iniziativa e di responsabilità e viene loro impedita ogni promozione culturale ed ogni partecipazione attiva nella vita sociale e politica.
(CDS 182) Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata. A tale proposito va ribadita, in tutta la sua forza, l'opzione preferenziale per i poveri (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), I/8: AAS 71 (1979) 194-195): «È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 572-573; cfr. Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 32: AAS 87 (1995) 436-437; Id., Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 51: AAS 87 (1995) 36; Id., Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49-50: AAS 93 (2001) 302-303).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Riforme per migliorare le condizioni di lavoro
e aumentare la sicurezza dell'impiego

 

[GS 71h] Si impongono pertanto, secondo le varie situazioni, delle riforme intese ad accrescere i redditi, a migliorare le condizioni di lavoro, ad aumentare la sicurezza dell'impiego e a favorire l'iniziativa personale; ed anche riforme che diano modo di distribuire le proprietà non sufficientemente coltivate a beneficio di coloro che siano capaci di farle fruttificare. In questo caso, devono essere loro assicurate le risorse e gli strumenti indispensabili, in particolare i mezzi di educazione e le possibilità di una giusta organizzazione cooperativa.
(CDS 183) La miseria umana è il segno evidente della condizione di debolezza dell'uomo e del suo bisogno di salvezza (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448). Di essa ha avuto compassione Cristo Salvatore, che si è identificato con i Suoi «fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45): «Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. Allorché "ai poveri è predicata la buona novella" (Mt 11,5), è segno che Cristo è presente» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2443). Gesù dice: «I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete» (Mt 26,11; cfr. Mc 14,7; Gv 12,8) non per contrapporre al servizio dei poveri l'attenzione a Lui rivolta. Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall'altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l'illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46): «Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Nell'espropriare la proprietà calcolare l'indennizzo secondo equità

 

[GS 71i] Ogni volta che il bene comune esige l'espropriazione della proprietà, l'indennizzo va calcolato secondo equità, tenendo conto di tutte le circostanze.
(CDS 281) Il rapporto tra lavoro e capitale trova espressione anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla sua gestione, ai suoi frutti. È questa un'esigenza troppo spesso trascurata, che occorre invece valorizzare al meglio: «ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il "comproprietario" del grande banco di lavoro, al quale s'impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 616).   La nuova organizzazione del lavoro, in cui il sapere conta di più della sola proprietà dei mezzi di produzione, attesta in maniera concreta che il lavoro, a motivo del suo carattere soggettivo, è titolo di partecipazione: è indispensabile ancorarsi a questa consapevolezza per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo e per trovare modalità di partecipazione consone alla soggettività del lavoro nelle peculiarità delle varie situazioni concrete (Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 9: AAS 58 (1966) 1031-1032).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 

n. 72 - L'attività economico-sociale e il regno di Cristo

 


I cristiani che partecipano allo sviluppo economico-sociale
brillino per l'esempio

 

[GS 72a] I cristiani che partecipano attivamente allo sviluppo economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la giustizia e la carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come associati, brillino per il loro esempio. A tal fine è di grande importanza che, acquisite la competenza e l'esperienza assolutamente indispensabili, mentre svolgono le attività terrestri conservino una giusta gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle beatitudini, specialmente dello spirito di povertà.
(CDS 41) La vita personale e sociale così come l'agire umano nel mondo sono sempre insidiati dal peccato, ma Gesù Cristo, «soffrendo per noi non solo ci ha lasciato un esempio perché ne seguiamo le orme, ma ci ha anche aperto una strada, percorrendo la quale la vita e la morte vengono santificate e acquistano un nuovo significato» (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043). Il discepolo di Cristo aderisce, nella fede e mediante i sacramenti, al mistero pasquale di Gesù, così che il suo uomo vecchio, con le sue inclinazioni cattive, viene crocifisso con Cristo. Quale nuova creatura egli allora viene abilitato nella grazia a «camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Tale cammino, tuttavia, «vale non soltanto per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la grazia. Poiché Cristo è morto per tutti, e poiché la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, cioè quella divina, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo offra a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, a questo mistero pasquale» (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043).

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

 


Amore per aiutare i fratelli e realizzare le opere della giustizia

 

[GS 72b] Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le opere della giustizia (155).

(155) Per il giusto uso dei beni secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc 3,11; 10,30ss; 11,41; 1Pt 5,3; Mc 8,36; 12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef 4,28; 2Cor 8,13ss; 1Gv 3,17-18.
(CDS 40) L'universalità e l'integralità della salvezza, donata in Gesù Cristo, rendono inscindibile il nesso tra il rapporto che la persona è chiamata ad avere con Dio e la responsabilità nei confronti del prossimo, nella concretezza delle situazioni storiche. Ciò è intuito, anche se confusamente e non senza errori, nell'universale ricerca umana di verità e di senso, ma diventa struttura portante dell'Alleanza di Dio con Israele, come testimoniano le tavole della Legge e la predicazione profetica. Tale nesso viene espresso con chiarezza e in perfetta sintesi nell'insegnamento di Gesù Cristo e confermato definitivamente dalla testimonianza suprema del dono della Sua vita, in obbedienza alla volontà del Padre e per amore verso i fratelli. Allo scriba che gli chiede: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28), Gesù risponde: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,29-31). Nel cuore della persona umana si intrecciano indissolubilmente la relazione con Dio, riconosciuto come Creatore e Padre, fonte e compimento della vita e della salvezza, e l'apertura all'amore concreto verso l'uomo, che deve essere trattato come un altro se stesso, anche se è un nemico (cfr. Mt 5,43-44). Nella dimensione interiore dell'uomo si radica, in definitiva, l'impegno per la giustizia e la solidarietà, per l'edificazione di una vita sociale, economica e politica conforme al disegno di Dio.

(Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa)



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