Celebrò la fede e servì nella carità




Il diaconato in Italia n° 180
(maggio/giugno 2013)

EMERGENZE


Celebrò la fede e servì nella carità
di Giuseppe Bellia


Il percorso storico-spirituale di un martire della speranza
Quotidianità, inevidenza e gloria, caratterizzano sia il servizio dei ministri di Cristo sia la testimonianza dei discepoli, congiunti in questo nella fedele imitazione della missione di Cristo. Saper cogliere nell'insigicanza della fedeltà quotidiana, nello spreco di una vita donata in martyría a causa di Cristo e del Vangelo (Mc 8,35), i segni gloriosi delle grandi opere di Dio, si deve ancora ribadirlo, non è alla portata della vanità della carne, ma solo opera dello Spirito Santo, perché «la carne non giova a nulla» (Gv 6,63).
Proprio la difficoltà di questo percorso ci spinge a ricercare quali sono state le stazioni o le svolte principali del cammino storico-spirituale di don Pino Puglisi, piccolo parroco siciliano. Quali gli elementi basilari della sua diaconia di martire della speranza in terra di mafia? Quali i tratti costitutivi della sua esistenza teologica1? Guardando al suo tracciato interiore più solido e costante, mi pare che emergono tre punti di forza: il primato della Parola di Dio, la centralità dell'eucaristia domenicale e la forte tensione caritativa che lo sospingeva a ricercare il bene della comunità fraterna.
Per padre Puglisi la vita ecclesiale è imperniata dunque attorno al percorso della Parola che, mediante l'ascolto credente, diviene per mezzo dei sacramenti carne, storia, vita vissuta per manifestarsi nel servizio della carità, nell'amore reciproco, come vera testimonianza di discepoli di Cristo2. Solo così si può essere veri testimoni della speranza cristiana «in un amore che cerca l'unione definitiva con l'amato [...] e gli manifesta questo amore nel servizio a lui visto presente nella Parola e nel Sacramento, nella Comunità e nel singolo uomo, specialmente nel più povero finché non si compia per tutti il suo Regno e lui sia tutto in tutti»3.
La parola di Dio è stata per lui il cuore pulsante della sua vita interiore e del suo ministero, da Godrano al Brancaccio e in tutti gli incarichi ecclesiali da lui espletati; con disciplina e passione si era procurato una conoscenza biblica adeguata, andando ben oltre l'insegnamento scritturistico avuto nel tempo del Seminario. I biblisti della facoltà teologica di Palermo lo vedevano frequentare i corsi specialistici e nella sua biblioteca di oltre 3500 volumi, la metà dei suoi libri, ci è stato detto, erano testi di alto livello di teologia e di Sacra Scrittura4. Non solo nelle omelie ma in tutti i suoi incontri la parola di Dio era l'elemento di base che sosteneva e dava forza al suo impegno di parroco e di educatore. «Dacci il nostro Pane quotidiano», che cosa significa? E spiegava che per l'uomo è pane anche ciò che nutre la sua vita intellettuale, «quindi è il pane della Parola; dacci il Pane della Parola». Parola ispirata e paternità di Dio erano per don Pino una realtà teologale inscindibile e un dato esistenziale sperimentabile, come si evince dalle sue omelie e dai suoi commenti ai brani della Scrittura oltre che dalla metodologia usata nei colloqui personali. Raccontava spesso un aneddoto: «Un giorno venne da me un amico ed era come infuriato. Mi guardò fisso ed esclamò: "Ma perché voi preti non ci dite mai che siamo figli di Dio?" Poi si allontanò e sembrava più alto, come se camminasse raddrizzato, con una nuova consapevolezza».
Nella parola di Dio c'è tutto quello che possiamo conoscere di un Dio padre vicino a ogni uomo ma che si rivela di preferenza ai poveri, cioè a «quelli che ponevano al primo posto Dio e la sua Parola». Una visione trasfigurante e realistica insieme della Parola che punta all'esegesi spirituale, senza mai forzare la lettera. Viveva «senza enfasi, senza retorica, il suo impegno radicale con la Parola di Dio», in una ordinarietà che gli permetteva di vivere la dimensione evangelica come «straordinaria normalità»5. Che la Bibbia non fosse per lui dottrina ma conoscenza viva, dialogo vitale lo si può facilmente apprendere dal suo modo semplice e toccante di presentare le stesse espressioni più conosciute della Scrittura. «Come pregava dunque Gesù?» si chiede e precisa «Con grande senso di confidenza verso il Padre; gli si rivolge infatti con quella parola aramaica tramandataci da Marco e Paolo, nelle sue epistole: "Abbà", "papuccio mio"».
Dal primato della Parola alla centralità dell'eucaristia il passo per don Pino è stato naturale e costante. La sua visione eucaristica, nutrita da una solida formazione liturgica era sotto gli occhi di tutti. La gioia grata con cui aveva assimilato la grazia della riforma liturgica del Concilio Vaticano II lo portava a celebrare l'eucaristia non tanto con fervore intimistico, quanto piuttosto con una celebrazione sobria e vissuta, anche in mezzo alle baracche di Montevago o nei boschi di Godrano al termine di giornate d'intensa spiritualità. Padre Puglisi voleva i fedeli partecipi e non spettatori della celebrazione, ma sapeva bene quanto fosse lunga la strada di una sana educazione liturgica in un contesto religioso arretrato e devozionale, non di rado confinante con un mondo saturo di pratiche idolatriche. «La liturgia non invita a riflettere a meditare dei temi (non è una teoria), ma a vivere il mistero celebrato. Non si occupa di una successione di fatti, perché ne sappiamo di più (non è una storia), ma vuole che ne siamo coinvolti, compromessi».
Veramente per lui l'eucaristia era la fons e il culmen del suo ministero apostolico e della stessa vita ecclesiale, come anche della sua coraggiosa sequela di discepolo6. Padre Puglisi vive e insegna che «la liturgia è il culmine di tutta l'azione della chiesa, è il luogo della sua manifestazione; nella liturgia ciascuno è chiamato e mandato dallo Spirito per l'opera alla quale è destinato (At 13,2) [...]. Per questo nella chiesa, i chiamati ad un ministero particolare vedono nella liturgia il punto di riferimento e la sorgente della loro azione ecclesiale ed apostolica». In questa visione eucaristicocentrica, la parola «quotidiano» del Padre nostro a lui sembra più corretto tradurla con «sovrasostanziale», perché si chiedeva, insieme al «pane della Parola, il Pane eucaristico, non per il singolo, ma per la pluralità della famiglia cristiana». In questa forte orientazione liturgica si trasfigurava anche il segno dell'ambone, il posto dal quale si proclama il Vangelo, che ai suoi occhi, come si vede nella Cappella Palatina, avendo la forma di un sepolcro vuoto, gli ricordava gli Angeli della risurrezione come figure che annunziavano la signoria di Cristo: «"Gesù è risorto!" Ecco il canto dell'Alleluia; è il canto della vittoria di Cristo sulla morte».
Il percorso che dalla Parola conduce all'eucaristia aveva per lui come punto di approdo il bene grande della vita fraterna, della comunione dei figli che condividono la vita e i beni dell'unico Padre che invita a vivere il mondo e ad abitare la storia nel segno di una comunione donata nel Figlio7. «L'azione che la Chiesa e quindi ogni comunità cristiana deve promuovere è di rendere cosciente ciascun battezzato della sua vocazione, alla comunione con la Trinità e con la comunità dei fratelli». E questo perché «c'è dentro di noi il desiderio di un'infinita comunicazione e comunione totale; ma c'è, anche nelle amicizie, più profonde, qualcosa che non si riesce a dare o a dire di noi stessi. Anche se lo vogliamo, non riusciamo a sentirci pienamente, a capire il mistero dell'altro e resta dentro di noi questo desiderio di entrare in una comunione più profonda, totalizzante e totale, infinita. È allora Dio che ci viene incontro mandando suo Figlio; con Lui possiamo entrare in comunione, è Lui infinito che entra in comunione con il nostro essere finito che ha desiderio d'infinito».
Desiderio di comunione che comincia come naturale aspirazione a incontrare l'altro, ad ascoltarlo, perché «sapere ascoltare significa andare oltre le parole per entrare nel mondo interiore dell'altro e apprezzare le cose dal suo punto di vista». In questa capacità di «accogliere e comprendere i fragili e delicati frammenti interiori che un individuo trasmette si incoraggia l'altro ad esplorare il suo mondo e a trasformare la sua paura in libertà, la disperazione in speranza, la sua solitudine in condivisione».
Una forma di attenzione e di accoglienza che procura una sensibilità generosa e altruistica che cresce fino a diventare partecipazione e impegno sociale, addirittura dovere politico che spinge il cristiano a impegnarsi con intelligenza e prudenza a favore della giustizia, come riflesso di una condotta che obbedisce allo stesso volere divino; «Gesù ha voluto dirci che la giustizia deve essere qualcosa che ognuno di noi sente profondamente come ciò di cui non si può fare a meno, che costituisce la nostra stessa natura, un bisogno insopprimibile, come la fame e la sete che vengono dall'intimo dell'uomo. Giustizia, nel linguaggio di Gesù, significa ricerca interiore ed esistenziale della volontà di Dio». Bene della fraternità da ricercare quindi con intelligenza e passione infinita, soprattutto verso gli ultimi e i poveri, proclamati beati nella Bibbia «non tanto perché non avevano niente - ricorda don Pino - ma piuttosto perché non si fidavano di se stessi, della propria sapienza, della propria potenza». Comunione fraterna che, «in una società dove prevale la violenza, l'arrivismo, la lotta degli uni contro gli altri, la lotta per il benessere, diventa segno, soprattutto per i giovani, che vanno cercando proprio la giustizia, la parità, la fraternità».

Seminare speranza per continuare a sperare
In queste brevi considerazioni ritengo si possano trovare alcuni punti di riferimento utili a discernere il senso e il luogo ecclesiale della martyría ministeriale di quei ministri che sono divenuti "testimoni" fino al dono cruento della propria vita, come è accaduto al vescovo Oscar Romero, a padre Pino Puglisi o a don Giuseppe Diana. Non si deve immaginare un'esistenza credente fuori dal comune o un'indole religiosa eccezionale per diventare martiri di Cristo. Quando il cristiano, giorno dopo giorno, si dispone a custodire nel suo cuore la parola, assecondando l'opera misteriosa della grazia, diviene conforme al suo Signore fino a condividerne l'amore per i più piccoli e i più indifesi.
Il discepolo paziente e fedele si ritrova a donare agli uomini, contro ogni ingiustizia e sopraffazione, semi di speranza e allora, che lo sappia o no, sta facendo di se stesso, un testimone "fino al sangue". Scrive padre Puglisi pochi giorni prima di essere assassinato: «Il testimone sa che il suo annuncio risponde alle attese più intime e vere dell'umanità e dell'uomo singolo. L'uomo comune sperimenta che vivere è sperare; il presente è mediazione tra il già e il non ancora; speranza di un bene sempre maggiore, che arriva persino a trascendere le proprie possibilità».
Seminare la parola di speranza del Vangelo nelle terre del Sud, in una società mafiosa dove tutti i valori umani e i principi cristiani sono equivocati e distorti, può significare andare incontro al martirio8. Mirabile metamorfosi che trascende le possibilità umane realizzandosi spontaneamente, senza che l'uomo sappia come questo accada, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme della parola germoglia, cresce e giunge a compimento (cf. Mc 4,27-28).
Don Pino però non fu un martire inconsapevole perché ebbe lucida e crescente avvedutezza che lottare contro la barbarie della cultura mafiosa lo avrebbe portato a condividere la sorte di chi ha fame e sete di giustizia: «Il Giusto sicuramente troverà degli ostacoli. Lo stesso Luca dice: "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi" (Lc 6,26): significa che il nostro agire non ha inquietato nessuno, mentre le parole del Cristo sono parole disturbatrici, inquietanti che mettono dentro un travaglio che poi si trasforma in sofferenza che conduce a gioia e conversione». Riconoscere i martiri significa allora accogliere l'invito alla conversione che il loro esempio profetico non cessa di gridare alle chiese. Questa essenziale verità rivela però anche l'ottusità e la stoltezza dell'atteggiamento contrario di chi si illude di onorare i martiri del passato, senza riconoscere la potenza di Dio operante in quanti lo Spirito, oggi per noi, ha reso conformi a Cristo.
Cosa significa infatti coniugare ministero e martirio nella non evidenza della quotidianità, se non credere che nelle cose di Dio il primato spetta all'amore piuttosto che al progetto, come ricordava la piccola Teresa? Quando si applaudono rumorosamente i santi si corre il rischio di usare la loro testimonianza per distrarci dalla nostra impenitenza, per non prendere atto della durezza del nostro cuore. E se ancora nella carità è consentita oggi nella Chiesa l'esercizio della parresìa evangelica, sponsorizzare le celebrazioni di santità ed esibire mediaticamente conversioni, non corre il rischio di un conformarsi allo spirito del mondo che ama celebrare se stesso, per legittimare i propri giudizi o, addirittura, per approvare i propri comportamenti?
La testimonianza fino al sangue del servitore/discepolo è conseguenza e frutto di quell'amore grande suscitato dallo Spirito verso la persona di Gesù (Gv 15,13) che spinge a sacrificare la propria vita per amore di lui e del suo Vangelo (cf. Mc 8,35). Come insegnava il parroco di Brancaccio «La vita cristiana quindi è un rapporto di amore con questo Uomo Unico che vive oltre la morte, legando a sé, per la salvezza, ogni uomo che voglia aprirsi, nella fede e nell'amore, al suo influsso». Una circolarità mirabile tra ministero e martirio che nasce dunque da un'intensa relazione personale con Dio che non può trascurare i fratelli e il mondo perché si traduce in premurosa attenzione verso i piccoli e i poveri e verso ogni vittima inerme. Per don Pino questa ardua testimonianza è una vocazione e una missione che deve coinvolgere tutta la comunità cristiana.
«La Chiesa siciliana è chiamata, oggi come ieri, a condividere l'impegno, la fatica e i rischi di coloro che lottano, anche con discapito personale, per gettare le premesse di un futuro di progresso, di giustizia e di pace per l'intera Isola». Come il mistero dell'incarnazione, la passione amorosa del martire è un evento determinato dall'alto, deciso ab eterno nelle viscere di misericordia di Dio e non una conseguenza della protervia omicida del diavolo e di quanti gli appartengono (Sap 2,24). Un dettaglio questo non da poco se si vuole comprendere nel nostro tempo la lezione non gridata del cosiddetto "martirio bianco" di molti ministri di Cristo. Il dono della propria vita fino al sangue si deve interpretare secondo sapienza e non secondo asfittici criteri di prudenza curia le. Non un esterno e gelido odium fidei determina il valore della testimonianza cristiana, ma l'amore per Cristo Gesù9. E come l'amore del Figlio verso il Padre scatenò la lucida voglia omicida dei capi dei sacerdoti, degli anziani facoltosi e degli scribi, allo stesso modo è l'amore dei discepoli per Cristo che li espone allo stesso odio immotivato, alla stessa rappresaglia, rendendoli partecipi del suo stesso sacrificio. Proprio perché sono traccia dell'invincibile passione di Dio per la giustizia divengono segno di speranza per tutti; anche per la nostra chiesa, che si è mostrata pavida e asservita a miseri calcoli di rendita, come le vicende riguardo a scandali, poveri e immigrati hanno disegnato con sconfortante evidenza. L'assenza di voci profetiche ha ottuso menti e cuore e non si è stati più in grado di denunciare gli infiniti travestimenti del male se non con malcelato riserbo e con molto ritardo. Un invincibile ritegno ha impedito o ritardato la riprovazione e la condanna di quanto, in opere e parole, si contrapponeva a Cristo e al suo Vangelo (cf. Ef 5,11-13).


Per continuare la lettura:
G. Bellia, Il prete che seminava speranza - La storia semplice di padre Puglisi martire, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2013


Note
1. Una prima presentazione del profilo spirituale di padre Puglisi, si trova in S. Di Cristina, Spiritualità di un presbitero diocesano: don Pino Puglisi, in AA. VV, Don Pino Puglisi prete e martire, p. 63-79.
2. Da ricordare il suo fattivo impegno, preso fin dagli inizi, con gli associati a la "Crociata del Vangelo" di Placido Rivilli, divenuto in seguito "Presenza del Vangelo", dove si coniugava Parola di Dio e missione sociale: cf. M. Naro, Placido Rivilli e il movimento Presenza del Vangelo: spiritualità e missione, in AA. VV, Perché il libro resti aperto, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2006, p. 170.
3. G. Bellia, Il coraggio della speranza. 100 pagine di don Puglisi, Città Nuova, Roma 2005, p. 14. Gli scritti di padre Puglisi qui riportati, quando non è indicato diversamente, fanno riferimento a questa mia pubblicazione e provengono dall'Archivio Puglisi presso il Centro Ascolto Giovani "Don Giuseppe Puglisi" di Palermo, gentilmente messomi a disposizione da Agostina Aiello a.s.m.
4. Vedi F. Deliziosi, Don Puglisi. Vita del prete palermitano ucciso dalla mafia, Mondadori, Milano 2001, p. 160-164 e, dello stesso autore, P. Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia, Paoline, Milano 1994, p. 64-65.
5. È la illuminante testimonianza di Lia Cerrito, ispiratrice del Centro "Padre Nostro", creato da don Pino a Brancaccio: in Padre nostro e mafiosità. Proposta di catechesi per un itinerario di conversione cominciando da ognuno di noi, Presenza del Vangelo, Palermo 1993, p. 52.
6. Una visione orientativa di questa mirabile e fruttuosa contaminazione tra ministero, vita ecclesiale e ascesi personale in H.U. von Balthasar, Sequela e ministero, in Id., «Sponsa Verbi». Saggi teologici, II, Queriniana, Brescia 1969, p. 121-130.
7. Cf. Stabile, Pino Puglisi nella Chiesa siciliana, in AA. VV, Don Pino Puglisi prete e martire, p. 95-118.
8. Cf A. Dina, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, Laterza, Roma-Bari 2008.
9. Vedi l'analisi puntuale del martirio materiale e soprattutto del martirio formale, sia ex parte victimae sia ex parte persecutoris, fatta da M. Torcivia, Il martirio di don Giuseppe Puglisi. Una riflessione teologica, Monti, Varese 2009.


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