Cuauhtemalan, il Paese dei tanti santi



Il diaconato in Italia n° 180
(maggio/giugno 2013)

TESTIMONIANZA


Cuauhtemalan, il Paese dei tanti santi
di Enzo Petrolino

La sera del 13 marzo, quando papa Francesco si affacciò alla Loggia della Basilica di San Pietro ci disse, con il suo fare semplice e spontaneo, che i cardinali erano andati a scegliere il nuovo pontefice «dalla fine del mondo!». Ho ripensato a lungo a queste poche parole nelle lunghe ore di volo che mi hanno condotto in una terra ugualmente lontana: il Guatemala. La maggior parte delle ore del viaggio, dodici, trascorse quasi sospesi sull'Oceano Atlantico, Il mare sotto di noi e il cielo sulle nostre teste.
Una sensazione unica che ti prepara, in un certo senso, a spogliarti del superfluo per abbracciare la realtà che si presenta in tutta la sua verità appena tocchi terra e ti verrebbe veramente di chinarti, di prostrarti a baciarla come ci ha insegnato il beato Giovanni Paolo II. La mia mèta era la visita alle comunità della Pia Società San Gaetano, fondate da don Ottorino Zanon, un santo sacerdote vicentino che, nella scia del Concilio Vaticano II sognò e realizzò questa Famiglia Religiosa formata da comunità di preti e diaconi permanenti uniti nella carità, che si inseriscono nelle chiese particolari, con preferenza per le più bisognose e che suscitano e guidano comunità ecclesiali al fine di portare gli uomini ad amare Dio con tutto il cuore, a santificare il lavoro quotidiano e a mettere i doni ricevuti a servizio degli altri, in particolare dei poveri, testimoniando così che si può essere apostoli efficaci vivendo secondo vangelo la vita religiosa pastorale. È preziosa la loro presenza in Calabria a Crotone e ad Africo.
Amava dire sempre don Ottorino: «Avete osservato cosa produce il nostro giardino: da una parte i cachi, dall'altra uva, da un'altra ancora rose, ma sempre dalla stessa terra. Dalla stessa terra escono prodotti diversi, belli come le rose e buoni come i frutti. Quando vi dico che dovete farvi santi, non intendo dire che dovete diventare tutti cachi o tutti uva, ma che dovete maturarvi secondo il doni che Dio vi ha dato. Se voi maturerete così, diverrete quei frutti e il Signore ha stabilito». Una semplice ed efficace lezione sulla bellezza del Corpo Mistico che è la Chiesa e sulla necessità che ogni membro funzioni per la parte che gli compete!
In Guatemala ero stato più volte invitato da Albino, diacono di questa Famiglia religiosa che ha prestato il suo servizio per venti anni nella diocesi di Locri, che nei giorni del mio arrivo si trovava in El Salvador per dare una mano ai fratelli delle comunità lì presenti. E lì l'ho raggiunto per una provvidenziale coincidenza che mi ha dato la possibilità di visitare e celebrare, domenica di Pentecoste, sulla tomba di mons. Oscar Romero, il vescovo assassinato il 24 marzo 1980 mentre celebrava l'eucaristia e dopo aver denunciato per l'ennesima volta le ingiustizie che, con troppa facilità, si consumavano nel territorio a danno dei poveri e dei bambini.
Non si può rimanere indifferenti in questi luoghi, soprattutto non si può evitare la commozione. Più volte durante la celebrazione e l'omelia che Albino mi ha chiesto di fare, mi sono tornate alla memoria del cuore le parole che David Maria Turoldo dedica al vescovo assassinato: «Ucciso per tutti gli uccisi. Ucciso perché fatto popolo: ucciso perché facevi cascare le braccia ai poveri armati, più poveri degli stessi uccisi: per questo ancora e sempre ucciso. Sarà sempre così, Signore?». Guardavo gli occhi ridenti dei bambini che circondavano l'altare, che sono venuti ad abbracciarmi al momento della pace, li guardavo e pensavo ai nostri bambini, che forse sono meno poveri, ma non sanno più sorridere così. Li guardavo e sorridendo mi spuntava qualche lacrima perché solo il Signore è capace di far nascere il sorriso dalle tenebre del male e della morte. Ti rendi conto che fino a quando ci sarà in quelle terre un bimbo che sorride, la speranza non potrà mai morire perché continuerà a scrivere la propria storia negli occhi di luce di un innocente.
Dopo questa iniziale esperienza di fede e gioia ci siamo trasferiti a Zacapa, uno dei 22 dipartimenti del Guatemala e precisamente nella città di Estanzuela dove vive il diacono Albino con altri due religiosi italiani e di lì ci siamo poi mossi per la nostra missione diaconale. Non è assolutamente facile spostarsi tra le famose carreteras guatemalteche che rendono disagevole e spesso pericoloso il percorso per raggiungere la mèta. Questa terra legata alla memoria dei Maya e degli Aztechi conserva un fascino naturale che supera ogni bellezza, ma anche la povertà, il disagio e la delinquenza superano, purtroppo, ogni possibile realtà. Ho incontrato tanti volti e sguardi, percorso chilometri di strada per raggiungere ogni luogo, ho parlato con i vescovi di quella terra per soste neri i nell'avvio del cammino del diaconato: a Coban il presidente della Conferenza Episcopale del Guatemala, mons. Valenzuela; mons. Rosolino Bianchetti, vescovo italiano, presidente della Commissione Episcopale per gli Affari Sociali e della Caritas guatemalteca della diocesi Quiché.
Quest'anno nella messa crismale ha chiuso il processo canonico diocesano per la beatificazione dei martiri chiamato "Han dato la vita - II'', mi ha colpito il racconto del vescovo del martirio del piccolo Juan catechista di 12 anni, trucidato dall'esercito; il vescovo di Città del Guatemala, mons. Oscar Julio Vian Morales salesiano, che ha studiato in Italia presso il Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo ed il nuovo Nunzio Apostolico, mons. Nicolas Henrv Marie Denis Thevenin, anche lui ha vissuto per tanto tempo nella diocesi di Genova. Ho avuto vari incontri con i candidati al diaconato e le loro spose, persone umili e semplici nella loro fede e pronti ad ascoltare ogni insegnamento, desiderosi di essere testimoni di Cristo Servo. Tutto questo e altro ancora è stato il mio viaggio in Guatemala, e ringrazio di cuore per l'ospitalità fraterna dei padri gaetanini. Ma vorrei più di ogni altra cosa raccontarvi e soffermarmi su due momenti che mi hanno segnato nel profondo. Vi consegno questi attimi come cosa santa perché anche voi che leggete possiate conoscere quanto è grande il cuore di Dio nel cuore degli uomini e delle donne che accettano di seguirlo, di amarlo e di servirlo senza limiti.
Nel cuore di questa terra c'è il lago Atitlan, dicono il più bello oltre che il più grande della zona. È chiamato il lago dei sette colori perché il suo nome derida una parola maya che significa il luogo dove l'arcobaleno prende i suoi lori. Si trova a più di 1.500 metri di altezza ed è circondato da 3 vulcani (33 tutto il paese) e da 12 piccoli paesini, ciascuno dei quali porta il nome di uno dei 12 apostoli. Sulle montagne che circondano questo lago, a circa 2000 metri, sorge la città di Patzùn e, in essa, un orfanotrofio curato dalle suore missionarie francescane che nutrono con il loro affetto materno i tanti bambini abbandonati, malati o maltrattati che sono sempre numerosi.
Quanti abbracci e baci ho ricevuto da questi piccoli, sorridenti come il sole bacia le loro montagne quando non piove. Con loro ho pregato il rosario nella cappella, ho pranzato e dormito. Le suore sono eccezionali, instancabili ancelle dell'amore che viene dal più profondo del loro essere madri, dalla passione stessa del cuore di Dio, dalla tenerezza donata a chi ha conosciuto solo sguardi duri e minacciosi. Quei bambini mi hanno stretto tra le braccia chiedendomi affetto, ma senza saperlo sono stati loro a riempire il mio cuore, a dare vita ai miei occhi purificati continuamente dalla commozione e dall'ammirazione. Mi hanno donato il sorriso di Dio e di Maria, Madre della Consolazione e della Tenerezza, mi hanno detto con i loro baci che sono grati a qualcuno che li ama, che li ha tolti dalla strada e li fa vivere. Sì, la vita! Quante volte ci fermiamo in una giornata a pensare che siamo vivi e dobbiamo ringraziare Dio?
A Patzùn tutto ciò accade spontaneamente perché vedi e tocchi con mano che povertà e la malattia non hanno sempre l'ultima parola e che ciascuno può essere protagonista nella salvezza di un altro fratello, di un bambino... volto splendente di umanità. Il panorama più bello in questo luogo non è quello e si scorge dalle alte montagne, ma sono i volti di questi bambini tra le braccia di suore operose e follemente innamorate come mamme verso i propri figli. L'altra esperienza che vi voglio consegnare è quella dei nove battesimi che ho amministrato ai bambini e ragazzi delle Aldee, quartieri piccoli e disagiati dei borghi del Guatemala, dove tutto ciò che arriva è un dono per chi non possiede nulla, ma non rinuncia mai a sorridere. In Guatemala piove molto, io stesso ne ho presa tanta di pioggia. Queste gocce sono come perle che scendono al suolo colorando questa terra dai mille volti e dai tanti colori, dai sapori caratteristici e dai vestiti fantasiosi. Sono come le lacrime di Dio che ricorda costantemente a questo popolo che non lo ha dimenticato e continua incessantemente e premurosamente a custodirlo amorevolmente suscitando in mezzo a loro persone sante capaci di dono fino all'ultimo e nello scorrere, spesso faticosissimo, di una vita povera e stentata. Guatemala: terra antica, terra di primitiva fede, terra dove appaiono spesso le tenebre del male... ma basta guardare il sorriso di un bimbo per ritrovare la speranza, perla antica e sempre nuova per chi vuole ancora credere ed amare. Anche questa è diaconia.


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