Celebrare la fede, vivere la diaconia



Il diaconato in Italia n° 180
(maggio/giugno 2013)

LITURGIA


Celebrare la fede, vivere la diaconia
di Enzo Petrolino

Se la liturgia è l'azione più efficace della Chiesa essa è anche l'azione più efficace per trasmettere ancora oggi la fede della Chiesa. Allora il diacono cerca la carità sincera che viene dalla comunione al Corpo di Cristo. Il Concilio ci insegna che nel dono, l'eucaristia, ritroviamo il senso più profondo della liturgia cristiana e della vita della Chiesa (culmen et fons ricorda la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, n.10). Nella Sacrosanctum Concilium - che ha aperto il rinnovamento conciliare - ritroviamo alcuni aspetti che sottolineano un legame stretto tra liturgia e carità.
Già al n. 2 la costituzione conciliare afferma che «la liturgia infatti, mediante la quale specialmente nel divino Sacrificio dell'eucaristia "si attua l'opera della nostra Redenzione", contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa, che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina».
Questa sottolineatura dell'aspetto esperienziale e performativo della liturgia in funzione di un annuncio integrale del messaggio cristiano agli uomini dice il legame stretto, anzitutto, tra fede e vita. Al n. 9 la costituzione conciliare ricorda che «la sacra liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa. Infatti prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e si convertano»; inoltre, dopo che sono arrivati alla fede e che partecipano alla vita liturgica, i fedeli sono chiamati a esercitare «tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, attraverso le quali si renda manifesto che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e tendono gloria al Padre dinanzi agli uomini».
Il testo è interessante, perché segnala l'intreccio tra liturgia e carità; e se da una parte ricorda il valore delle opere di carità che confermano la verità della fede e della celebrazione, dall'altra richiama, alla luce della liturgia, il limite, la relatività delle opere di carità dentro un cammino storico destinato all'incontro con il Padre. In questo modo, se da una parte la verità della liturgia dipende dalle opere di carità; dall'altra, la verità delle opere di carità si scopre solo dentro una storia della salvezza che invita ad andare "oltre". Al n. 10 la SC segnala che la prima carità a cui educa la liturgia è la vita fraterna, «la vita in perfetta unione». La fraternità è il primo segno della verità della liturgia, da cui nasce anche l'offerta, la colletta che non può non estendersi oltre al prossimo anche ai fratelli lontani, alla famiglia umana. Pertanto, l'actuosa et plena partecipatio alla liturgia, per la quale la costituzione conciliare invita ad avere «una specialissima cura nel quadro della riforma» (n.14), non potrà essere ridotta al momento celebrativo, ma dovrà comprendere il momento della comunione, della vita fraterna e il momento dell'andate, della partenza, dell'agire quotidiano.
Per questo la liturgia deve essere celebrata in modo esemplare, perché, mentre manifesta l'intrinseca bellezza della fede, fa prendere coscienza della propria condizione morale, opera un salutare sconvolgimento interiore; arricchisce di doni di grazia; (cf. 1Cor 1,5-9); porta a condividere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (cf. Ef 2,3); insegna a riconoscerlo nei fratelli; spinge a conversione e scelte radicali di vita; accresce e fortifica la comunione e l'unità della Chiesa; fonda il ministero diaconale. Il rapporto del diacono con la liturgia è percepito oggi in modi diversi. Per alcuni, in esso si può ravvisare una sorta di evidenza: il diacono è associato al ministero dei sacerdoti nel servizio dell'altare, nella catechesi, nei sacramenti (è soprattutto il caso del diaconato esercitato nel contesto di una parrocchia). Per altri, si tratta di un rapporto che apre una serie di problemi. Nessuno, di fatto, penserebbe ormai di escludere dalla vita ecclesiale il ministero liturgico del diacono. Ma la questione del servizio liturgico del diacono è di natura teologica e pastorale, riguarda cioè l'equilibrio che caratterizza i compiti diaconali e l'immagine che questo ministero ordinato oggi presenta di sé.
Del resto, il ministero diaconale si è sviluppato secondo sensibilità differenti nei decenni che hanno seguito il Concilio Vaticano II, diversificandosi ulteriormente soprattutto negli ultimi 25 anni. Non è forse vero che l'immagine del diacono all'altare è ancora oggi quella che maggiormente si impone al grande pubblico, mentre altri aspetti di questo ministero - anch'essi essenziali - come la presenza presso i poveri e gli emarginati o la dimensione missionaria sono decisamente meno individuabili? È fondamentale quindi aiutare la comunità a comprendere che il ministero è, nella sua interezza, una realtà sacramentale, ossia una realtà-segno che invita a percepire la presenza di valori più profondi resi operanti dalla grazia.
Porre la questione del ministero liturgico del diacono non è dunque senza importanza. Ed è già percorrendo i vari libri liturgici e i testi ufficiali della Chiesa che tale questione si può affrontare e comprendere. Questi documenti si esprimono in maniera sintetica, senza entrare nei dettagli della vita quotidiana o fare eco alle mentalità del momento, ma - in quanto ufficiali - essi esprimono la fede della Chiesa e le sue scelte pastorali essenziali, evitando quanto di effimero potrebbe comportare un approccio poco approfondito. D'altra parte, essi lasciano anche spazio ad una certa inventiva e propongono una dinamica di realizzazione e dei riferimenti pastorali che potranno ispirare la vita della Chiesa negli anni a venire. È in tal senso che si può dire del rituale di ordinazione quanto vale anche per i testi del Vaticano II, e cioè che esso, pur essendo molto distante da noi quanto alla sua data di costituzione e di promulgazione, è nello stesso tempo "davanti" a noi proprio per la gradualità progressiva e differenziata che accompagna la ricezione di questo ministero nel dinamismo del vissuto ecclesiale.

Servire la liturgia
Quando il diacono serve, deve vedere se stesso come servo della liturgia e mai come suo padrone; deve servire l'altare con l'umiltà di Colui il cui corpo e sangue furono offerti sull'altare della croce. Quando proclama il vangelo, egli deve svuotare se stesso da tutta la sapienza delle sue parole in modo da potersi riempire solo della sapienza di Dio; deve diminuire, perché la Parola di Dio possa radicarsi in lui e quelli che ascoltano la sua voce possano ascoltare non lui, ma il Cristo Gesù che vive in lui; la sua acclamazione di «Parola del Signore» deve risuonare autentica e vera.
Quando proclama le intercessioni o invita il popolo alla preghiera, i fedeli devono riconoscere in lui l'uomo degno di fiducia e compassionevole al quale essi possono portare ogni loro bisogno: i poveri devono riconoscerlo come amico; gli orfani devono vederlo come loro padre e tutti coloro che sono soli, timorosi o confusi devono vedere in lui un rifugio secondo il modello di Cristo Gesù; tutti devono avere una tale fiducia nella sua prudenza e carità da rendere possibile che la sua guida sapiente venga accolta spontaneamente. Infine, tutti coloro che ricevono il prezioso sangue del Salvatore dalle sue mani devono ricevere il calice come da uno che conosce il significato del sacrificio, dell'essere versato per il popolo di Dio e dell'impegno per una vita santa. Il diacono deve anche prendere il calice della salvezza come uno la cui vita è un inno di lode al Signore, perché il calice che egli porta è la sua stessa salvezza e il modello di vita al quale, come diacono, egli è chiamato.
Ciò che la Chiesa chiede al diacono, quindi, e di conformarsi sempre più a Cristo. Partecipare alla sua morte e risurrezione pasquale: con il suo modo di vivere e di pregare, con il suo modo di agire e con ciò che egli è diventato.
Questo è il mistero del ministero diaconale dell'altare. È il mistero stesso della Chiesa; il mistero di coloro che sono chiamati alla Cena dell'Agnello! Certamente il Concilio Vaticano II ha posto l'accento sul significato fontale del culto cristiano, mediante «il quale si attua l'opera della nostra redenzione» (cf. SC n. 2), e sulla sua portata ecclesiale che è quella di azione di lode di tutta l'assemblea. Il diacono deve fare in modo che il suo servizio all'altare renda manifesto il legame essenziale tra il culto e la comunità apostolica, tra la liturgia e la diaconia di tutto il popolo, in altre parole egli è chiamato a colmare la frattura, purtroppo ancora esistente, tra liturgia e vita. Attraverso la «diaconia liturgica» le celebrazioni assumeranno la giusta concretezza essenziale proprio perché c'è questo continuo travaso del diacono dalla vita liturgica alla vita «profana» e viceversa che trasforma la liturgia «rituale» in liturgia della «vita».
Il diacono, certo, può ancora correre il rischio di adottare il modello del levita e di chiudersi nei compiti cultuali, senza preoccuparsi di fare incontrare il suo servizio all'altare con la vita degli uomini, incontro essenziale per esprimere più chiaramente e fedelmente alla Chiesa e al mondo ciò che egli è: il Cristo presente fra gli uomini per servire. Ma è sempre e comunque l'eucaristia che qualifica ed unifica il servizio del diacono, essendo il «centro della sua vita e fonte di ogni grazia per il suo ministero».
Anche se al diacono non compete la presidenza eucaristica, la sua spiritualità e il suo ministero sono e devono essere orientati all'eucarestia, fortemente radicati in essa e da essa promananti. La sua diaconia di evangelizzazione e di carità è infatti finalizzata alla convocazione eucaristica, epifania totale del mistero di Cristo e della Chiesa. I diaconi sono assimilabili ai servi della nota parabola evangelica, inviati a incontrare gli uomini, nei crocicchi e sulle strade - oggi diremmo anche nei palazzi e nei luoghi dove la gente vive e lavora - per portare ad essi il "lieto annuncio" consistente nel fatto che Dio ha preparato per loro un banchetto nuziale e quindi a prenderli per mano affinché tutti possano sedersi alla stessa mensa come una sola famiglia riunita per la grande festa del Regno di Dio.
L'eucarestia, dunque, è la manifestazione suprema della Chiesa, dove l'assemblea dei «benedetti da Dio con ogni benedizione spirituale» (Ef 1,3) diventa dossologia «in lode della sua gloria» (Ef 1,12) e quindi diaconia al Padre e ai fratelli, culmine e fonte, centro e cardine della comunità ecclesiale.
La grazia sacramentale da una parte e la sua condizione dall'altra di ministro ordinato e simultaneamente di uomo che vive le esperienze cosiddette "secolari" quali sono la famiglia, la professione, il lavoro, l'impegno sociale rendono particolarmente idoneo il diacono a rendere visibile il mistero dell'incarnazione soprattutto su quelle frontiere nelle quali si gioca il futuro dell'uomo e della società e in quei sentieri che la nuova evangelizzazione è chiamata oggi a percorrere.



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