Natale del Signore (Messa del giorno)

ANNO A - 25 dicembre 2013
Natale del Signore (Messa del giorno)

Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
IL VOLTO DI DIO
IN FATTEZZE UMANE

La celebrazione natalizia possiede connotati del tutto particolari, sia per la presenza di persone non abituali alle liturgie domenicali, sia per l'abbondanza di scelte a disposizione, relativamente alla liturgia della Parola. Vi si può aggiungere il fatto che, data la stanchezza accumulata dai pastori a causa degli "straordinari" per celebrare il sacramento della riconciliazione, ci si affida con facilità a contenuti omiletici assai scontati, in quanto non ci si dà il tempo per l'approfondimento. Tra l'altro, il brano evangelico di Giovanni, che campeggia nella messa del giorno, non è tra i più facili. Tuttavia, al di là delle difficoltà oggettive e di queste interferenze pratiche, risulta quanto mai opportuno attenersi a qualche indicazione per un'omelia indirizzata alle assemblee peculiari di questa solennità.

Cristo viene celebrato come l'ultima e definitiva parola di Dio: l'esordio della lettera agli Ebrei, che costituisce la seconda lettura di questo formulario di messa, in totale sintonia con il brano evangelico, è quanto mai efficace per avvalorare simile convincimento. La celebrazione natalizia, d'altra parte, s'innesta in quella comunicazione di Dio all'umanità, che trova il suo alveo nella stessa natura: «I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia» (Sal 19 [18],2-3). Il Cristo si colloca nel bel mezzo di questa comunicazione divina, che traduce la sua volontà di parlare all'uomo attento ai molteplici segni di trasmissione della gloria divina, cioè dell'importanza di Dio nella sua vita, perché possa veramente dialogare con lui nella modalità più facile e consona con la sua identità. Posto al centro del cosmo, il Signore Gesù va cercato anzitutto nella ricchezza di parole, che spezza il silenzio dell'umanità, spesso con una modalità comunicativa fatta di verbosità, d'innumerevoli messaggini, di una molteplicità di mezzi, tutti trasmettitori in tempo reale, come si suol dire, ma non sempre coordinati a livello di autentica naturalezza, per cui risultano artificiosi.

La Parola si è fatta carne, cioè uomo debole: la pregnanza dell'affermazione di Giovanni traduce ancor più la concretezza storica di questa comunicazione divina. Inizia, infatti, un'era in cui ci si parla attraverso l'umanità: quella di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, Verbo eterno ora entrato nel tempo quale luce e vita degli uomini. È dunque la corporeità di Cristo, cioè il principio identificativo della sua persona, ad articolare il discorso con l'umanità. Una corporeità che si dona, che comunica mediante la parola, il cuore, l'atteggiamento..., insomma, la ricchezza del suo essere e del suo operare. Ciò induce anche i credenti a verificare come comunicano, con la loro lingua, con i loro sentimenti, con la loro disponibilità. In Cristo/Verbo l'uomo è chiamato a trasmettere se stesso secondo i codici più accessibili. E questa è anche la logica che dovrebbe ispirare la comunicazione della fede, mediante la peculiarità della persona. L'abitazione di Dio tra noi nella corporeità di Cristo, nella provvisorietà del tempo e della precarietà della storia, costituisce il criterio di autenticità del nostro vivere e del nostro operare. La familiarità e il clima natalizio si sostanziano di relazioni, mirate a scoprire sempre più gli autentici tesori di umanità presenti tra noi. I doni natalizi, pertanto, assumono pienezza di significato se esprimono la persona nel suo relazionarsi con gli altri, per comunicare sé stessa, con simpatia e affetto.

La celebrazione natalizia suscita stupore, meraviglia per tutto ciò che è esistente, vivente nell'uomo: davvero, allora, questi rappresenta la gloria di Dio, secondo il celebre insegnamento di Ireneo di Lione (II sec.). Venire alla luce, vivere, oggi costituisce già un miracolo, una meraviglia da contemplare. Il motivo del rendimento di grazie odierno si riconnette alla volontà di Dio di rimanere, mediante Cristo, in mezzo a questa umanità. La nostra riconoscenza diviene così disponibilità alla scoperta di questa presenza tra noi, soprattutto nei volti delle persone più vicine e familiari, spesso le più trascurate nella nostra considerazione e nel nostro amore. Allora siamo noi che, celebrando il Natale, ci sentiamo impegnati a pieno titolo a trasformare questo mondo, perché sia ancora «pieno di grazia e di verità».

VITA PASTORALE N. 10/2013
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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