VII Domenica del Tempo ordinario (A)

ANNO A - 23 febbraio 2014
VII Domenica del Tempo ordinario

Lv 19,1-2.17-18
1Cor 3,16-23
Mt 5,38-48
UNA SCELTA CHE
APRE ALLA TOTALITÀ

Continua il lungo discorso della montagna nel brano evangelico odierno: un'autentica miniera del cristianesimo, proposto nella sua linearità e novità di dettato. La frequente ripetizione dell'antitesi: «Avete inteso che fu detto... ma io vi dico» non mira certo a presentare la prima alleanza come superata, ma piuttosto a prospettare l'insegnamento evangelico come nuovo, perché rappresenta il criterio di verifica del comportamento dei credenti.
Il richiamo esplicito al dettato della legge del taglione («Occhio per occhio e dente per dente») viene spesso presentato nella predicazione in antitesi al Vangelo. In realtà, si rifà alla formulazione contenuta nel "codice dell'alleanza" del Primo Testamento (cf Es 21,23-25) e allo stesso codice di Hammurabi (XVIII sec. a.c.). Si tratta di una disposizione di giustizia altamente positiva, in difesa dell'uguaglianza tra le persone umane, per cercare di reprimere ogni forma di vendetta.
Non è assolutamente fuori luogo richiamare questo aspetto meramente umano, perché troppe volte, nell'agire ecclesiale, con la scusa del "di più" evangelico si trascura, se non si seppellisce, la giustizia concreta, assecondata solo a livello di principio nell'agire quotidiano.

La proposta evangelica, senza dubbio inedita, si apre alla rivelazione di Cristo e al perfetto compimento della volontà di Dio, che il Figlio dell'uomo ha reso possibile. Le esemplificazioni addotte sono quanto mai efficaci. Così il manrovescio sulla guancia ha, come risposta difensiva, non altrettanta violenza, ma, addirittura, il "porgere l'altra guancia": espressione, questa, divenuta proverbiale, anzi, ridicolizzata nella letteratura "laica". Si tratta, in altri termini, non certo di prestarsi a un'indebita minchioneria, tenendo conto della risposta di Gesù all'ingiusto schiaffo ricevuto da una guardia durante l'interrogatorio davanti al sommo sacerdote: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23).
Piuttosto si è chiamati a superare la spirale di violenza innescata, anche senza volerlo esplicitamente, dall'osservanza della legge del taglione. C'è una giustizia "superiore", che non è più garantita dalla semplice osservanza della legge: ora s'instaura una logica di non violenza, almeno a livello di tentativo, che rende possibili i rapporti tra le persone, oltre che tra le istituzioni, proprio perché esiste il perdono. Difatti, questo non può essere legiferato e non sussiste in alcun codice, antico o nuovo che sia.
Anche la successiva esemplificazione, riassumibile nell'imperativo: «Da' a chiunque ti chiede», concretizza quella sovrabbondanza di donazione, a tutti i livelli, che esprime sempre la volontà del Padre, manifestata in concreto da Cristo: la Chiesa è chiamata a tradurla, con fantasia creatrice, in tutte le circostanze di vita che i suoi figli sano chiamati a cogliere nella quotidianità del loro operato.

Un ulteriore salto di qualità è fornito dal successivo imperativo. Nella sua formulazione può essere accostato - senza il comando dell'odio per il nemico, conosciuto solo in questo passo evangelico - al testo del Levitico, che recita: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Nella formulazione del «più grande comandamento», tipica dei sinottici (cf Mt 22,34-40 e par.), questo testo viene congiunto con la totalità dell'amore divino e prospetta la misura di quello verso l'altro: amare il prossimo come sé stessi. Giovanni, invece, la modula direttamente su Cristo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
In ogni caso, il salto qualitativo è notevole, perché spinge ad accogliere con piena disponibilità anche coloro che ci odiano e ci perseguitano. La motivazione viene collegata al comportamento di Dio, che non fa differenza di persone nella sua continua azione creatrice: «Fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». E, onestamente, tanto nelle condizioni di prosperità, quanto nelle calamità si è accomunati nella sorte: lo si può sperimentare ogni volta che si prospettano belle stagioni, come anche nelle varie calamità. Ma quanti, nella quotidianità, sanno apprezzare tale linearità di comportamento, che giustifica il superamento della qualifica di "nemico", evangelicamente distorta e sconvolgente?

Anzi, quelli che s'identificano nell'insegnamento evangelico ancor più sono chiamati a perseguire simile strada, incalzati dal pungente interrogativo: «E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?». Davvero l'insegnamento evangelico non delinea tracciati parziali, ma apre sempre più alla totalità nei rapporti. Da qui l'imperativo finale di essere perfetti, che costituisce il riferimento imprescindibile per tutti coloro che s'incamminano su questa via, soprattutto nella scelta della professione religiosa.
Tale perfezione è dono e imperativo nello stesso tempo, che può essere realizzato solo in Cristo, in quanto capolavoro di perfezione divina. Ne scaturisce la necessità di attingere all'eucaristia la forza per simili scelte, tanto nella preghiera quanto nella testimonianza di vita, perché, a cominciare dagli stessi credenti, non si creino barriere, né, tantomeno, ostilità, ma soltanto rapporti di autentica amicizia. Anzi, ricalcando l'odierno insegnamento paolino, diventiamo nel mondo il tempio stesso di Dio, in quanto tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.

VITA PASTORALE N. 2/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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