Anno A – 10a domenica del Tempo Ordinario


Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010


Anno A – 10a domenica del Tempo Ordinario

• Osea 6,3-6 • Romani 4,18-25 • Matteo 9,9-13

MISERICORDIA IO VOGLIO E NON SACRIFICIO

Gesù è ormai nel pieno del suo ministero pubblico in Galilea. Ha dietro a sé alcuni discepoli, da lui chiamati, insegna alle folle, annuncia il regno di Dio con parole e gesti di guarigione e di remissione di peccati. Insomma, come diranno gli Atti, egli «passa facendo il bene e guarendo, perché Dio è con lui» (cfr. At 10,38).

Ed ecco che, nei dintorni di Cafarnao, Gesù vede seduto al banco delle imposte un uomo il cui nome è Matteo - cioè «dono del Signore» - ma che tutti conoscono come «il pubblicano» (Mt 10,3), a causa del suo mestiere spregevole agli occhi degli ebrei: egli trae ingiusti profitti dalla riscossione delle tasse, collabora con le forze di occupazione e, per questi suoi contatti con i pagani e gli impuri, è escluso dalla vita religiosa del suo popolo. Ma Dio, che «non fa preferenza di persone» (At 10,34; cfr. Dt 10,17), attraverso Gesù gli si fa vicino e gli offre la salvezza. Gesù innanzitutto «vede» quest'uomo, gli rivolge il suo sguardo pieno d'amore e si interessa a lui; poi lo chiama con autorevolezza, riaprendo per lui la possibilità di un futuro radicalmente nuovo: «Seguimi», cammina dietro a me nella via della vita! «Ed egli si alzò e lo seguì». La prontezza della risposta dipende certamente dalla forza della parola di Gesù, in grado di risanare e di rimettere i peccati (cfr. Mt 9,2); nello stesso tempo è un segno della volontà da parte del chiamato di ricominciare, distogliendo lo sguardo da sé e dai propri fallimenti per rivolgerlo al Signore Gesù. Matteo perde la sua vita a causa di Gesù e in questo modo la trova (cfr. Mt 10,39; 16,25): verrà scelto come uno dei Dodici e diverrà addirittura l'autore di uno dei vangeli.

Poi egli imbandisce in casa sua un banchetto d'addio al quale, oltre a Gesù e ai suoi discepoli, partecipano molti pubblicani e peccatori. Gesù ama sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere questo gesto di estrema comunione con persone esposte al biasimo altrui e dunque più facilmente indotte a un desiderio di cambiamento, ad avere in sé un «cuore spezzato» (Sal 51,19), sensibile alla chiamata di Dio alla conversione. Ma questo comportamento di Gesù scandalizza i benpensanti farisei, che subito cercano di turbare i suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». E sono sempre questi uomini religiosi che dall'interrogativo insinuante passeranno direttamente all'accusa: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!» (Mt 11,19)...

Ma Gesù risponde alla loro domanda in prima persona: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati... Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». È un'affermazione a prima vista paradossale, se si considera che nell'Antico Testamento il giusto è definito «figlio di Dio» (Sap 2,18) e che addirittura, secondo Luca, di fronte alla morte di Gesù in croce il centurione esclama: «Veramente quest'uomo era giusto!» (Lc 23,47). Ebbene, Gesù non condanna i giusti in quanto tali, anzi chiede ai suoi discepoli che la loro giustizia superi quella di scribi e farisei (cfr. Mt 5,20). No, egli prende di mira quanti si credono giusti e, per questo, non si sentono più solidali con gli altri uomini ma giungono a vantarsi davanti a Dio di tale sdegnosa solitudine, fino a teorizzare la necessità di separarsi dai peccatori perché «Dio lo vuole». Come il fariseo descritto in una parabola (cfr. Lc 18,9-14), essi disprezzano gli altri solo perché non vogliono riconoscersi peccatori come loro, e così sono incapaci di confessare con gratitudine: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io!» (1Tm 1,15).

Gesù illumina e conferma le sue parole con una citazione del profeta Osea a lui particolarmente cara (cfr. Mt 12,7): «Andate e imparate che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrificio"» (Os 6,6). Sì, il vero culto che noi uomini dobbiamo offrire a Dio non consiste in una pratica religiosa esteriore e legalistica, ma nel riconoscerei peccatori e dunque nell'accogliere la sua misericordia preveniente: solo così saremo capaci di esercitarla a nostra volta verso i fratelli, tutti solidali con noi nel peccato, tutti chiamati con noi alla comunione. E allora sperimenteremo la beatitudine promessa da Gesù: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).



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