Anno A - 26a domenica del Tempo Ordinario


Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010


Anno A - 26a domenica del Tempo Ordinario

• Ezechiele 18,25-28 • Filippesi 2, 1-11 • Matteo 21,28-32

I PUBBLICANI E LE PROSTITUTE VI PRECEDONO NEL REGNO DI DIO

Nel tempio di Gerusalemme Gesù è attorniato dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo, i quali detestano questo rabbi e profeta proveniente dalla Galilea, che narra un volto di Dio così estraneo alle loro categorie. Perciò lo mettono alla prova, chiedendogli con quale autorità egli insegni e operi guarigioni. Gesù, in risposta, domanda loro se il battesimo di Giovanni veniva dal cielo oppure dagli uomini; e di fronte alloro imbarazzato silenzio conclude: «Neppure io vi dico con quale autorità agisco» (Mt 21,27).

A questo punto egli pronuncia la prima di tre parabole incentrate sul rifiuto opposto dai capi religiosi di Israele a coloro che Dio ha inviato ad annunciare la sua salvezza. Un uomo ha due figli: chiede al primo di andare a lavorare nella vigna ed egli, dopo aver acconsentito a parole, non fa ciò che ha detto; l'altro risponde negativamente ma poi, pentitosi, va al lavoro. È il secondo ad aver compiuto la volontà del padre, ammettono gli interlocutori di Gesù. Ed egli commenta: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli». Con queste parole Gesù pone la propria missione in stretta relazione con quella di Giovanni, suo maestro e precursore: rifiutare l'uno è rifiutare anche l'altro (cfr. Mt 11,16-19). Egli rivela inoltre che la salvezza può essere accolta solo da chi è disponibile a fare ritorno a Dio, pentendosi del male fatto e abbandonando le proprie vie di peccato. In questo senso vale la pena analizzare più in profondità il senso del detto paradossale: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno» rivolto da Gesù agli uomini religiosi del suo tempo e, con loro, a ciascuno di noi.

Gesù sapeva bene che tutti gli uomini sono peccatori, se è vero che il giusto pecca sette volte al giorno (cfr. Pr 24,16): ma qual è il motivo della sua preferenza per la compagnia dei peccatori pubblici, riconosciuti tali dagli uomini? Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua a essere stimato per ciò che della sua persona appare all'esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la loro pretesa giustizia (cfr. Lc 18,9-14). Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento: nel pentimento che nasce da un «cuore spezzato» (Sal 34,19) egli può divenire sensibile alla presenza di Dio, quel Dio che non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che si converta e viva (cfr. Ez 18,23).

È proprio in forza di tale consapevolezza che Gesù amava sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere con loro questo gesto di estrema comunione. Il suo comportamento svela il cuore di Dio, mostra l'atteggiamento di Dio verso il peccatore, e per questo egli è contestato dagli uomini religiosi, che prima cercano di scandalizzare i suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?» (Mt 9,11), poi lo accusano in modo diretto: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt Il,19). Ma l'amicizia di Gesù verso le persone meno stimate all'interno della società, la sua cordiale simpatia per prostitute e peccatori ignora il disprezzo di quanti si sentono migliori dei peccatori manifesti, semplicemente perché non vogliono o non sanno riconoscersi peccatori come loro...

Sì, il vero miracolo - più grande che risuscitare i morti, diceva Isacco il Siro - consiste nel riconoscersi peccatori: siamo noi i pubblicani, siamo noi le prostitute! È davvero una fatica vana quella fatta per nascondere agli altri il proprio peccato: basterebbe riconoscerlo consapevolmente, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare che egli lo ricopra con la sua inesauribile misericordia.



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