Sfide del tempo o sfide del Vangelo?



Il diaconato in Italia n° 181
(luglio/agosto 2013)

EDITORIALE


Sfide del tempo o sfide del Vangelo?
di Giuseppe Bellia

Il termine "sfida", soprattutto se associato a "il nostro tempo", è diventato una sorta di tormentone pastorale che ha finito per contagiare anche altri ambiti come la società, la politica, l'economia e la scuola, per citarne solo alcuni. In realtà tensioni, nemmeno tanto sotterranee e nascoste, traversano e inquietano credenti e chiese perché si ha la sensazione che qualcosa si è inceppato o peggio che qualcosa sta scricchiolando dall'interno della «casa di Dio che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15), È a servizio di questa verità che non è teorema, slogan o dottrina che si vuole prendere sul serio quanto lo Spirito Santo non cessa di dire alle chiese anche attraverso il grido e le domande sincere degli uomini del nostro tempo, nostri compagni di viaggio verso quel senso ultimo dell'esistere umano che noi cristiani diciamo di conoscere e di perseguire.
Una sfida antropologica dunque come l'aveva interpretata il vescovo di Milano inventando la "cattedra dei non credenti"; non voleva assegnare ai laici un ruolo magisteriale ma creare un luogo dove mettersi in ascolto dei lontani, dell'altro, prendendo sul serio le loro istanze esistenziali, se è vero che tutto ciò che è umano ci riguarda in quanto testimoni dell'umanità del Cristo. Non si tratta dunque di prendere in considerazione l'agitarsi affannoso del cuore dei credenti per scandali e condotte discutibili che hanno disegnato un volto tanto dissennato quanto pervasivo dell'intera cristianità. La fuga verso un passato proposto idealmente come il tempo della certezza e della solidità sembrava una risorsa comoda, consegnando con disinvoltura ai tempi antichi e lontani un'aureola di stagione dorata che né la storia, né la Scrittura in verità hanno mai confermato, come ricorda Qoelet il saggio (vedi Qo 7,10), Nondimeno come non prendere atto che il tempo in cui viviamo ci affligge per questioni e domande cui, per il momento, non siamo in grado di trovare risposte adeguate?
Si deve inoltre chiarire che non tutte le difficoltà che incontriamo nei nostri giorni costituiscono delle vere sfide. Stabilire una scala di intensità e di realismo negli ostacoli che si devono affrontare aiuterebbe a evitare incomprensioni su intralci di facciata e veri e propri impedimenti nella vita delle chiese e nella testimonianza dei cristiani. Oggi, specialmente in Italia, c'è un grande fervore nella pubblicazione «di scritti teologici o del pensiero rinato o appena formato, ma si di teologumeni - affermava Dossetti due decenni addietro - non è vangelo, "elucubrazioni su", magari anche vere ma sempre meno esistenzialmente vere, sempre meno rapportate a quella che è la realtà della vita della Chiesa e anche del mondo». Un punto di riferimento autorevole potrebbe trovarsi nelle riflessioni ultime che alcuni grandi protagonisti della vita della chiesa ci hanno affidato come testamento spirituale. La memoria va alle parole profeti che consegnateci dal vescovo Tonino Bello, da don Pino Puglisi, da don Giuseppe Dossetti e dal cardinale Martini.
Si possono trovare linee comuni o convergenti nel loro pensiero? Proviamo a mettere ordine in questo territorio frastagliato, riprendendo riflessioni e letture che ci permettono di orientarci in questi nostri giorni segnati da invincibile stanchezza. Ecco, proprio la mancanza di forze e di entusiasmo sembra caratterizzare la condizione presente della cristianità nel nostro occidente. «La Chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America - dice Martini - La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi». Queste cose però non esprimono la complessità della nostra vita ecclesiale. Si devono cercare uomini liberi, «più vicini al prossimo, figure come il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador».
Si chiede però il cardinale: «Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell'istituzione». Si dovrebbero escogitare soluzioni, coraggiose più che nuove, in ogni caso frutto di menti giovani e creative in grado di affrontare con santa incoscienza le difficili prove del nostro tempo. Così proponeva Dossetti che vedeva nella questione del ricambio generazionale e culturale ritardi ingiustificabili e colpe scandalose dei cristiani. «La grande tragedia, infatti, è che in tutti questi decenni, in un certo modo nel sud e nel nord in un certo altro, le classi dirigenti hanno impedito l'emergere di vere e solide individualità». Questo è il giudizio storico del monaco Dossetti e continua: «Si è esercitata all'infinito la cooptazione. Nel ricambio delle generazioni di politici e di classi dirigenti, e forse anche di sacerdoti, si sono assunti elementi omogenei, soffocando invece quelli disomogenei che dovevano salire e che potevano salire. Questo è il sistema orribile della cooptazione, di circuito mafioso per così dire, in senso largo, comunque interessato, non gratuito. Ritengo di dovere testimoniare che non si è dato che uomini di responsabilità, in tutti gli ambiti, abbiano elevato personalità vigorose, illuminate, intense, capaci di dare effettivamente un apporto; hanno preso figure comode, squallide, ancora più deviate di loro, e con questo sistema hanno soffocato l'emergere delle nuove generazioni e delle nuove possibilità». Ci sono strumenti, s'intravedono soluzioni adatte a risvegliare la Chiesa da questo torpore epocale dove benessere e sazietà di beni materiali hanno finito per rendere tutti pigri e indolenti nel seguire il Signore? Il cardinale e il monaco su più di un punto sono concordi e non hanno dubbi: l'esigenza primaria per un effettivo cambiamento è la conversione.
«La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?». Sullo stesso piano Dossetti ricorda che via inevitabile per il cammino di conversione è: «Riconoscere la propria miseria: con un realismo sempre più acuto e sempre più sofferto, ma anche sempre più sereno nel fondo. Confessare i labirinti del proprio egoismo; le tortuosità delle proprie immondezze; le inguaribili sottigliezze della propria ignavia; i tumulti della propria ira e l'acuità delle proprie invidie; la ragnatela della propria doppiezza; gli accecamenti del proprio orgoglio».
Un secondo strumento è la Parola di Dio che per Dossetti deve essere ascoltata «così com'è, senza glossa, come diceva san Francesco, continuamente, in maniera che raschi il vostro cervello e vi plasmi invece lo spirito. Raschi il cervello e vi plasmi lo spirito, senza che ve ne accorgiate». La Scrittura ha «una profondità infinita, inesausta e inesauribile; e continuamente ci plasma, ci sostiene, ci forma, ci crea, prima di tutto come cristiani», rafforzando nella fede «che non solo è la parola di Dio, ma è la Parola incarnata e che si incarna in voi». E conclude: «Abbiamo tutti bisogno di questa continua incarnazione della Parola». E Martini da parte sua ribadisce che «solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti. Né il clero, né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti».
Un terzo strumento di guarigione condiviso sono i sacramenti e in particolare l'eucaristia, da intendersi non come mezzi da utilizzare per crescere nella vita virtuosa, ma come terminali di quelle azioni salvifiche compiute da Cristo nel breve tempo del suo manifestarsi tra noi e adesso offerti agli uomini per sostenerli nel cammino e nelle debolezze della vita. Per l'anziano cardinale si devono portare i sacramenti agli uomini che necessitano di nuove energie: «Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale». I divorziati possono fare la Comunione? Il cardinale risponde che la domanda dovrebbe essere capovolta. «Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?».

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