Il diacono con l'occhio rivolto al mondo



Il diaconato in Italia n° 181
(luglio/agosto 2013)

IL PUNTO


Il diacono con l'occhio rivolto al mondo
di Andrea Spinelli


Le rivoluzioni del tempo odierno
Che il nostro tempo ci presenti sfide ben determinate credo non abbia bisogno di essere dimostrato: ci troviamo, volenti o nolenti, di fronte a situazioni inedite, almeno nella loro forma concreta, e ciò senza dubbio procura smarrimento a noi cattolici, abituati ad essere maggioranza e ad avere le idee chiare sulle scelte da compiere e su relativo comportamento. Ormai non è più così, tutto o quasi sembra sconvolto da idee "moderne", apparentemente indiscutibili sul piano della libertà dell'individuo e sull'orizzonte fondamentale del vivere sociale. Non sono un esperto sociologo, ma la mia età anagrafica mi ha reso spettatore (forse non attore) di un cambiamento così radicale da credere che tutto sia avvenuto in un lungo intervallo di tempo invece che assai breve, come di fatto è capitato.
In tale situazione le reazioni sono state e sono varie e tra loro diversificate: chi si è stracciato (e si straccia) le vesti, affermando che "non c'è più religione"; chi ha creduto finalmente terminato il tempo della soggezione e dell'obbedienza indiscussa, respirando aria di "vera libertà"; chi si è rifugiato nel privato, rinunciando a sporcarsi le mani con la società degradata a tutti i livelli; chi si è buttato a capo fitto nell'attività sociale per promuovere le nuove istanze o, al contrario, per combatterle... insomma la società si è frammentata e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Naturalmente anche a livello ecclesiale il colpo si è sentito e le reazioni sono state e sono molteplici. Per carattere non è mia intenzione elencare gli aspetti negativi pertanto pongo l'accento su ciò che, nel buio del passaggio epoca le, è stato un faro di luce, pietra miliare nel cammino della Chiesa e dei suoi rapporti con il mondo contemporaneo: il Concilio Ecumenico Vaticano II.
A cinquant'anni di distanza ci siamo accorti o, meglio, abbiamo preso vera coscienza delle sollecitazioni "spirituali" dell'avvenimento, oggi bisognose di essere riconsiderate e prese sul serio, lontani dall'euforia e altrettanto lontani della paura del cambiamento. Mezzo secolo di lotta, in cui il Maligno ha sostenuto i profeti di sventura e dall'altra lo Spirito ha suscitato tanti profeti secondo il cuore di Dio, a cominciare da Giovanni XXII, il promotore del Concilio. Riascoltiamo le sue parole proprio l'11 ottobre 1962, giorno di apertura: «Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell'adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo».
Non è consentito dunque cedere al pessimismo. Il diacono, fedele e ministro ad un tempo, inserito in un contesto sociale il più ampio possibile, sente che le sfide del nostro tempo non lo lasciano indifferente e gli chiedono di rispondere con la vita: il diacono non presume di essere capace di dare tutte le risposte, quasi un esperto, un tecnico specializzato, ma sa che il suo coinvolgimento con i fratelli nelle varie situazioni è indispensabile. Gli impegni del suo stato di vita, le gratificazioni e i successi, le tentazioni e gli insuccessi lo fanno sentire tanto vicino ai laici, impegnati come lui nelle lotte positive del vivere quotidiano. Egli come loro sente spesso il peso delle scelte e delle decisioni improrogabili, come loro non manca della forza dello Spirito, ricevuta nel Battesimo, confermata nella Cresima e irrobustita ogni giorno dalla partecipazione all'Eucaristia.
E il sacramento dell'Ordine? Certo che non rimane inattivo nel diacono e gli permette di configurare tutto nel servizio, nella diaconia della Parola e della Carità, capace di rinvigorire la sua debolezza. Oggi dunque quali sono le sfide cui il diacono non può sottrarsi, pena la debole incidenza del suo ministero? Comincerei dalla famiglia, realtà sottoposta a tanti assalti, tesi a lasciarne solo il nome per una pluralità di contenuti, frutto della fantasia dell'individuo, giudicata insindacabile corollario della libertà! Il diacono è giunto al ministero innanzitutto inserito nella famiglia d'origine, dove ha imparato i rudimenti del servire, per passare poi alla propria famiglia con il ruolo di marito e di padre ed essere così a pieno titolo soggetto di diritti e di doveri a favore dell'intera società, famiglia di famiglie.
Il diacono non si mette in cattedra per insegnare agli altri come si vive in famiglia, ma con umiltà e spesso con fatica coltiva i rapporti di coniuge e di genitore, senza distogliere lo sguardo da Dio, Padre perfetto, in Gesù Cristo, figlio amato da sempre e nello Spirito, fonte vera dell'amore. Nel ministero sono tante le occasioni di incontro con le famiglie, con le quali il diacono stabilisce una sincera amicizia, un dialogo aperto e alle quali, con discrezione, cerca di far comprendere il progetto di Dio sulla famiglia: l'incontro con i genitori dei ragazzi dell'iniziazione cristiana; il dialogo, a volte serrato con i genitori dei ragazzi che frequentano l'oratorio; lo scambio dapprima incerto e poi più deciso, con i familiari dei malati e degli anziani, ai quali il diacono fa visita, e, richiesto, porta l'Eucaristia… In tali contesti il diacono introduce il discorso sulla fedeltà, caratteristica fondamentale di Dio, che si rivela base sicura della fedeltà dell'essere umano, in particolare dei coniugi. Dio non è un intruso, un sorvegliate pronto a condannare, ma l'ospite indispensabile della famiglia, l'unico in grado di insegnare la misericordia e il perdono. Il diacono, a partire dalla sua famiglia, i cui membri rimangono pur sempre liberi nelle loro scelte concrete, introduce la moglie e i figli a comprendere e a vivere le sfide della nostra epoca.
Senza voler dipingere un quadro esistenziale pieno di sfide, non possiamo dimenticare quella che viene dall'ambiente di lavoro, dove spesso i rapporti sono tesi e conflittuali, non solo fra chi possiede e chi presta opera, fra chi dirige e chi è diretto, ma anche tra chi è sullo stesso piano e da un'atmosfera pesante di rapporti è spinto a pensare per sé e per nessun altro. La presenza del diacono, ancorché fosse sconosciuta la sua identità ecclesiale, deve essere percepita come una presenza positiva, aperta, capace di mettere in relazione, pronta a servire più che a essere servita.
Dove poi la presenza fosse nota, stimata più o meno, è chiaro che il diacono ha un compito non semplice: essere testimone della gratuità, pur senza protagonismi, con umile disponibilità al servizio, aiutando i fratelli a mettersi in tale direzione. A proposito di tale discorso, ho avuto modo di ascoltare una relazione dal titolo: "Economia e gratuità: una sfida possibile?" la conclusione è stata: non solo possibile, ma indispensabile, se si vuole che l'economia non sia fredda, calcolatrice e in definitiva disumana. Gratuità non significa gratis, ossia lavorare senza la giusta remunerazione, bensì un atteggiamento interiore, che non fa del profitto a tutti i costi l'obbiettivo fondamentale.
Di questi tempi si sentono esempi di imprenditori, pochi forse ma non nulli, che accolgono la sfida della crisi economica come occasione per reimpostare il lavoro e il rapporto lavoratore-profitto. Forse ci sarà qualche diacono imprenditore, ma la sfida è valida nel contesto del lavoro puro e semplice, parte non piccola della vita del diacono. Le sfide sono all'ordine del giorno, ma sono certo che non troveranno il diacono impreparato, incapace di "reagire", al punto da deporre le armi, passi l'espressione, e dire: «Per questa sfida non ho i mezzi adatti per affrontarla». Allora le sfide sarebbero tentativi che il Maligno escogita per fiaccare la nostra fede e volgerla al pessimismo. Ecco ciò che le sfide metterebbero in gioco o addirittura in pericolo: la nostra fede. La Parola di Dio ci viene in aiuto e ci conforta: «Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4).


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