Diaconi e migrantes



Il diaconato in Italia n° 181
(luglio/agosto 2013)

FOCUS


Diaconi e migrantes
di Raffaele Iaria

La Chiesa non deve «chiudersi in se stessa, nei propri uffici, gruppi, parrocchie, etc., ma andare "oltre" verso le "periferie esistenziali"». Non dobbiamo «chiudere dentro Gesù e non farlo uscire», ha detto papa Francesco aggiungendo che «oggi viviamo in una cultura dello scontro, della frammentarietà, dello scarto». E così, purtroppo, «non fa notizia quando muore un barbone per il freddo». Eppure «la povertà è una categoria teologale perché il Figlio di Dio si è abbassato per camminare per le strade».
Un invito non certamente nuovo, quello del papa. Da sempre la Chiesa ha invitato ad uscire e ad essere a fianco dei più bisognosi coinvolgendo l'intero "popolo di Dio" e quindi, ponendo, pur con le dovute e sostanziali diversità ministeriali e carismatiche, vescovi, sacerdoti e laici, sullo stesso piano passando da una concezione piramidale e fortemente gerarchica ad una concezione comunionale, poiché tutti corresponsabili nella testimonianza della Parola di Cristo a partire proprio dai più poveri.
Papa Francesco, agli inizi di luglio, ha voluto visitare Lampedusa per chiedere «perdono per l'indifferenza verso tanti fratelli e sorelle», «perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all'anestesia del cuore», per «coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni» che conducono a veri e propri drammi come quelli dei tanti che muoiono nel nostro Mediterraneo in cerca di una vita nuova e diversa. «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte», ha detto il papa spiegando la decisione di venire a Lampedusa.
Commentano le letture della messa papa Bergoglio ha detto che «tanti di noi, mi includo anch'io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quelle a cui abbiamo assistito».
Le persone morte prima di arrivare sulle nostre coste «cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po' di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!». Papa Francesco ha quindi parlato di una "cultura del benessere", che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende «insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulle, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!». E citando la figura dell'Innominato del romanzo dei Promessi Sposi del Manzoni ha sottolineato che la «globalizzazione dell'indifferenza ci rende tutti "innominati", responsabili senza nome e senza volto».
Ecco perché oggi il ruolo dei laici riveste una particolare importanza. E tra i laici quella dei diaconi permanenti invitati, come tutti, a impegnarsi sul fronte delle sfide del mondo moderno. Come si colloca questa figura su questo fronte? «In forza del sacramento che riceve - dice il diacono permanente Santino Tornesi della diocesi di Messina e direttore dell'Ufficio Migrantes - il diacono anima, in modo qualificato e con un mandato del vescovo, quel particolare compito di servizio (diakonia) a cui è chiamato l'intero popolo di Dio».
«Il diacono accoglie, nella propria persona e non soltanto nel riferimento a qualche iniziativa della comunità o di qualche aggregazione ecclesiale, la missione di diventare con tutta la propria vita un segno di Cristo servo». Si tratta di "servizio di carità" al fine di aiutare e promuovere tutti i membri della Chiesa particolare affinché possano partecipare, in spirito di comunione e secondo i loro carismi, alla vita e alla missione della Chiesa.
Per Tornesi «non è la copia ridotta o il sostituto parziale del presbitero», ma il «suscitatore» e coordinatore di figure capaci di servire, rispondenti alle diverse situazioni e fasi storiche della comunità ecclesiale. Il diacono si colloca nella Chiesa come «l'immagine viva del Cristo che serve, che per amore si china a lavare i piedi dei suoi discepoli, che si fa carico delle sofferenze dei più deboli, che proclama la parola del Regno di villaggio in villaggio, che si fa vicino a chiunque è minacciato dalla tristezza e dall'angoscia: immagine del Cristo che offre la sua stessa vita in sacrificio. Umiltà, gratuità, generosità sono atteggiamenti che il diacono vive personalmente e che, attraverso il ministero, immette nell'esistenza della comunità cristiana».
E allora il diacono, impegnato sul fronte delle sfide del mondo moderno, fa questo in modo del tutto particolare: annunciando la Parola di Dio e offrendo una chiara testimonianza di carità. Che cosa questo significherà in concreto dipenderà dalle circostanze, dalle caratteristiche personali, dalle necessità della Chiesa e da altro ancora. Una cosa comunque resta chiara: il servizio reso nel nome del Signore sarà per il diacono la via maestra della sua santificazione. Il suo, quindi, non può che essere un ministero"estroverso", proiettato nel mondo, avendo l'Eucaristia come punto di partenza e orizzonte privilegiato di senso; l'Eucaristia, infatti, è il segno di una Chiesa che serve. La configurazione peculiare del ministero del diacono, data dalla sua partecipazione alo stato laicale e a quello del ministero ordinato, si può esprimere con l'estressione "ministero della soglia". La forma "laica" che assume esternamente il diaconato è allora preziosa, spiega Tornesi: «lo pone come avamposto della Chiesa istituzionale nel mondo. Il diacono percorre strade che normalmente al presbitero e al vescovo sono precluse; è la presenza della Chiesa - nella forma impegnativa del ministero ordinato - nelle pieghe più nascoste della società».
E per quanto riguarda il tema migratorio quale l'impegno? Dopo la visita di papa Francesco a Lampedusa quale monito per i diaconi? «Si contano ormai tanti diaconi tra gli operatori della pastorale delle migrazioni, alcuni chiamati a dirigere l'Ufficio diocesano Migrantes, altri impegnati come collaboratori o responsabili di uno dei settori che compongono la mobilità umana». Tanti diaconi che hanno trovato in questa pastorale - ci spiega Tornesi - il loro ambito di servizio nella Chiesa particolare, aiutandola a farsi carico di un fenomeno che viene riconosciuto come "segno dei tempi", perché «genera l'incontro tra popoli, il confronto, lo scambio culturale, il dialogo religioso. Un confronto, uno scambio, un dialogo e un incontro non solo teorici, ma pratici, costruiti su nuove relazioni, su nuove prassi».
L'attenzione e la cura verso questa pastorale ha aiutato tanti diaconi a uscire dalle sacrestie e sperimentare la bellezza dei confini allargati, dove l'andare incontro significa opportunità per leggere nel volto del migrante la presenza di Dio che ha un progetto sulla sua Chiesa.
«La costruzione dell'unica famiglia umana - aggiunge Tornesi - chiama ogni cristiano ad essere promotore di una vera e propria "cultura dell'accoglienza", che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi».
In questa prospettiva, l'immigrazione è un ambito pastorale, ma anche un «luogo teologico» per un rinnovato cammino di Chiesa, uno spazio privilegiato per «concorrere all'edificazione del Regno di Dio. E in questo spazio, attraverso il quale ripensare l'essere e l'agire della comunità cristiana, in un cammino di ascolto e di incontro, la ministerialità diaconale si deve sentire interpellata: per favorire la vita religiosa dei migranti, per suscitare nuovi operatori pastorali a servizio della mobilità umana, per stare accanto alla famiglia immigrata, ai giovani di seconda generazione e ai lavoratori migranti; per farsi carico della fragilità delle donne e dei minori vittime della tratta, dei richiedenti asilo, dei rifugiati e degli apolidi; per educare la comunità ecclesiale e civile a vedere nell'immigrazione una opportunità piuttosto che un pericolo». E parlando della visita del papa in una delle "periferie esistenziali" come Lampedusa Tornesi la definisce «una grande lezione di umanità, in un luogo simbolo e crocevia per quanti sono costretti a lasciare la propria terra per trovare un futuro migliore, scappando il più delle volte da guerre, persecuzioni e carestie. Una visita voluta per ricordare i tanti migranti morti nei viaggi della speranza e per ringraziare gli abitanti delle Pelagie che sono stati per il mondo intero esempio di accoglienza fraterna».
Una visita - ricorda - breve ma ricca di messaggi rivolti con le parole, con i gesti e con la sua stessa presenza: l'invito a chiedere perdono per i tanti migranti che hanno trovato la morte nel Mare nostrum, perduti anche alla memoria; l'appello a recuperare l'esperienza del piangere, del "patire con", anziché cedere alla globalizzazione dell'indifferenza; la richiesta di un supplemento di solidarietà per superare l'aridità della cultura del benessere.
«Davvero tanti stimoli per il ministero diaconale» - conclude Tornesi - che nella "Chiesa povera" di papa Bergoglio deve solo mettere in moto «la fantasia pastorale, che non può e non deve mancare in chi ha come modello la figura di Cristo servo, Figlio di Dio venuto al mondo per liberare l'umanità da ogni forma di schiavitù».


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