Klaus Hemmerle

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da Come il Padre ha amato me...
365 pensieri per l'anno sacerdotale
(Raccolta per autore)


Klaus Hemmerle


Decalogo del sacerdote
Nelle braccia di Gesù
"Moltiplicare" il tempo
Segno efficace del Cristo
Questione di credibilità
Incontro con Dio nei limiti
Allargare il cerchio
Sacramento dell'origine
L' "io'' del prete nell' "io" di Cristo
Il comune "centro" dei presbiteri
Sismografo del nostro tempo
Tutto è compreso nella vita di Dio
Occhi di Pasqua
La rete di quanti credono
Maria, stile di vita
Esame di coscienza sull'agape
Segno della nuova umanità


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Decalogo del sacerdote

1. È più importante come io vivo da sacerdote, di ciò che faccio in quanto sacerdote.

2. È più importante ciò che fa Cristo attraverso di me, di quello che faccio io.

3. È più importante che io viva l'unità nel presbiterio, piuttosto che buttarmi a capofitto da solo nel ministero.

4. È più importante il servizio della preghiera e della Parola, di quello delle mense.

5. È più importante seguire spiritualmente i collaboratori, che fare da me e da solo quante più attività possibili.

6. È più importante essere presente in pochi ma centrali settori operativi, con una presenza che irradia vita, che essere presente ovunque in fretta e a metà.

7. È più importante agire in unità con i collaboratori, che non da solo, per quanto capace io mi ritenga; ossia, è più importante la communio che la actio.

8. È più importante, perché più feconda, la croce, che non i risultati spesso apparenti, frutto di doti e di sforzi umani.

9. È più importante avere l'anima aperta sul tutto (comunità, diocesi, Chiesa universale), che non fissata su interessi particolari per quanto importanti mi sembrino.

10. È più importante che venga testimoniata a tutti la fede, anziché soddisfare a tutte le usuali pretese.

Klaus Hemmerle - Wilhelm Breuning
Decalogo del sacerdote, Gen's 22 (1992) p. 182
Come il Padre…, vol. I, Uomini di Dio per il tempo d'oggi

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Nelle braccia di Gesù

Dal tempo della venuta di Gesù, la storia della vocazione è storia della sequela. Noi seguiamo la nostra vocazione in quanto ci mettiamo al seguito di Gesù. E tale sequela è questione che riguarda esclusivamente la nostra libertà, la nostra risposta, ma è anche qualcosa di più di un'azione umana pura e semplice, compiuta con le nostre forze. La sequela di Gesù significa: lasciarsi cadere nelle sue braccia, lasciarsi portare da lui, confidare in lui.
Noi possiamo essere in lui e permettere che lui sia in noi. In lui, la vocazione non è più una pretesa eccessiva e opprimente, ma è un'impossibilità trasformata, redenta. La via per lasciarsi trasformare e redimere è indubbiamente la via della comunione con Gesù, del fidarsi di lui e del vivere con lui. Ciò significa, in ultima analisi, che la via della vocazione è la via della croce.
Lo stesso Gesù non lascia dubbio in proposito: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Scelto per gli uomini, Città Nuova, Roma 1995[2], p. 37
Come il Padre…, vol. I, Amati e chiamati

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"Moltiplicare" il tempo

Un'esistenza contemplativa significa: scorgere in ogni cosa la presenza di Dio, farsi toccare e muovere da lui, farsi possedere e riempire dal Dio presente, dal Dio in Dio, dal Dio nel mondo, dal Dio nella Chiesa, nella comunità. In altre parole: dal Dio sopra di noi ed in noi, dal Dio fuori e laggiù, dal Dio in mezzo, nel centro. Quello che conta è non tralasciare nessuna occasione per stare con lui e rimanere presso di lui: attaccato all'"assoluto in mezzo".
Certo, questo "contemplativo" rimanere in Dio richiede del tempo. E sembra che noi non ne disponiamo. Non è però vero piuttosto che il tempo fugge via più veloce, quando riduciamo i nostri momenti dedicati alla contemplazione? Quanto più io ho cose da fare, tanto più ho bisogno di tempo per la preghiera. E allora avviene una sorta di "miracolosa moltiplicazione del tempo": grazie al tempo donato a Dio, vengo ad avere più tempo a mia disposizione o perlomeno un tempo migliore, più disponibile, più denso di amore da donare agli altri.

Scelto per gli uomini, Città Nuova, Roma 1995[2], p. 108
Come il Padre…, vol. I, Amati e chiamati

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Segno efficace del Cristo

Il sacerdote deve essere vicino alla comunità, deve vivere con gli uomini, capirli e farsi uno con loro; ma questo spogliamento, questa semplicità dell'essere cristiano fra i cristiani, dirà qualche cosa, rappresenterà l'amore di Cristo veramente, soltanto se il sacerdote, pur essendo vicino agli uomini con modestia e semplicità, porterà in sé tutta la grandezza e l'altezza del suo mandato e del carattere sacramentale del suo ministero.
Solo così egli è segno efficace e presenza del Cristo che spogliò se stesso.

Il sacerdote oggi, Gen's 12 (l982/6) p. 11
Come il Padre…, vol. II, Fratelli tra i fratelli

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Questione di credibilità

Oggi, come forse mai prima, la credibilità del ministero sacerdotale dipende da come il singolo sacerdote vive radicato in un'unità vissuta, in una forma di vita nella quale il servizio sacerdotale riesce ad essere una testimonianza comune, con il Signore stesso, unico Sacerdote, in mezzo. Il sacerdote, se deve essere specialista, lo deve essere nella communio, nell'unità. La spiritualità e la forma di vita del sacerdote sono quelle dell'unità. (...)
Ma un tale servizio all'unità e per l'unità, il sacerdote non lo può fare se vive isolato. Soltanto vivendo dell'unità col suo vescovo e nell'unità del presbiterio, potrà rendere manifesto che non è lui che opera e parla, ma il Signore.

Il sacerdote oggi, Gen's 12 (1982/6) p. 12
Come il Padre…, vol. II, Fratelli tra i fratelli

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Incontro con Dio nei limiti

A Natale la Parola si è fatta carne, Dio si è fatto uomo. E ciò significa, Dio nei miei limiti - nei miei limiti Dio. Le mie limitazioni, il mio fallimento, le mie insicurezze sono il luogo di Dio nel mondo. Egli si è preso cura di tutto ciò, ha accettato tutto ciò. (...)
Dove tocco i miei limiti, là tocco in effetti lui, là non c'è motivo di aver meno speranza, ma più speranza. Accettare i miei limiti significa accettare lui, accettare Dio nei miei limiti.
E allo stesso tempo nei miei limiti: Dio! Ciò che posso dare agli altri nei miei limiti, è infinitamente meno di quello di cui hanno bisogno e di ciò che richiedono. Eppure in questi miei limiti sta Dio, che in questi si dona al mio donarmi. Attraverso la sua incarnazione - compresa bene - io divento "sacramento" per lui, segno operante nel quale lui si comunica e si estende nel nostro mondo.

Lettera natalizia 1993
Come il Padre…, vol. III, Testimoni di Gesù vivo

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Allargare il cerchio

Il primo passo deve sempre partire da me (...): vivere in maniera tale che altri trovino in me Cristo, il suo amore, e ne rimangano attratti. Devo avvicinare gli altri in modo che avvertano che io non li conosco secondo la carne (cf 2Cor 5,16), non cerco il mio proprio interesse né un aiuto o un completamento, non mi lascio guidare dalla simpatia oppure dall'antipatia, ma li accolgo come il Signore stesso.
Gli altri devono sperimentare che io vivo di Gesù, che seguo più la sua voce che non le mie idee o l'opinione degli altri. Vedranno che la mia vita si fonda sulla sua Parola, sui suoi sacramenti, che lo ascolto in quello che egli vuole dirmi nei testimoni e negli inviati della Chiesa. E soprattutto lo cerco lì dove egli mi ha amato di più, cioè nelle difficoltà, nelle tenebre che sono per me "il sacramento" del suo abbandono sulla croce, della sua morte.
Prima o poi (...) incontrerò chi aderisce a questa vita (...) e sono persone che non abbiamo scelto noi. Si allarga il cerchio e si formano nuove cellule di persone radunate nel nome di Gesù.

Der Himmel ist zwischen uns, Neue Stadt, München 19782, pp. 64-65
Come il Padre…, vol. III, Testimoni di Gesù vivo

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Sacramento dell'origine

Nella Chiesa ognuno viene da Cristo, essendo battezzato in lui e avendo ricevuto in dono il suo Spirito. Ognuno porta con sé - almeno quando testimonia ciò che è stato posto alla base - Gesù Cristo, porta Gesù Cristo nella comunità ecclesiale. Ognuno è quindi in un certo senso "punto di partenza" della Chiesa. (…)
Ma questo non rende affatto superflua la repraesentatio Christi capitis ("presenza" di Cristo capo) per l'unità della Chiesa (…). Una rappresentanza donata alla Chiesa, per mantenerla in collegamento con l'origine e nell'unità, come sacramento di questa origine.

Tra diocesi e Chiesa universale, Internationale Katholische Zeitschrift 1974, n° 1, p.29
Come il Padre…, vol. III, Icone dell'unitrinità

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L' "io'' del prete nell' "io" di Cristo

Nell'Eucaristia Cristo si dona totalmente per noi. (...) Ora, anche questo atto del dono, questo suo potere di darci Dio, vuole donarlo, vuole affidarlo a noi, a noi suoi amici, i sacerdoti. Fate voi, per la Chiesa, fate voi, per la comunità, quello che io ho fatto. lo mi dono a voi in modo da essere voi il gesto vivo e continuo del mio donare. Agite in mia persona, agite in modo che io stesso agisca in voi. (...)
Ma allora il sacerdote potrà essere sacerdote soltanto se abita nell'intimo di Cristo, unito totalmente alla sua vita e al suo amore; e se, per questa sua unione con Cristo, anch'egli diventa lo spogliato di sé, il minimo, il povero, il casto. Quando il sacerdote dice "io", deve immedesimarsi con l'io di Cristo, perché Cristo stesso vuol dire "io" in lui.

Il sacerdote oggi, Gen's 12 (1982/6) p. 11
Come il Padre…, vol. III, Icone dell'unitrinità

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Il comune "centro" dei presbiteri

Un parroco che maldestramente vedesse solo la propria parrocchia e la sua attività sacerdotale orientata unicamente ad essa, sminuirebbe la misura del servizio che presta nel presbiterio della sua diocesi; un vescovo che vivesse solo per la propria diocesi e non si considerasse allo stesso tempo come vescovo della Chiesa universale, sminuirebbe anch'egli il suo servizio.
Il rapporto con l'insieme più grande richiede senza dubbio l'obbedienza, la sottomissione alla repraesentatio Christi capitis tramite chi è "superiore" a noi. Ma ciò non è ancora tutto. La competenza del sacerdote deve essere presa in considerazione nell'essere assieme agli altri che svolgono lo stesso ministero. (...) Solo così è chiaro che il singolo sacerdote non si sostituisce al caput Christi, ma riconosce la relatività del proprio compito di repraesentatio. Che Cristo agisca come caput nel sacerdote, non toglie affatto che Cristo stia come caput al di sopra di ogni sacerdote: ma ciò (...) prende forma se i sacerdoti lasciano fra loro quello spazio, nel quale emerge Cristo come loro comune centro.

Tra diocesi e Chiesa universale, Internationale Katholische Zeitschrift 1974, n° 1, p.29
Come il Padre…, vol. III, Icone dell'unitrinità

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Sismografo del nostro tempo

Se cerchi un sismografo che possa registrare le scosse del nostro tempo, conoscere gli sviluppi positivi e negativi della coscienza della nostra epoca, le minacce incombenti e le nuove speranze, prendi la figura del sacerdote.
Egli è in un certo modo il Cuore del Signore, posto da Lui stesso nella storia dell'umanità proprio con questa speciale vocazione: avere sensibilità nei confronti del Signore e degli uomini con i quali vuole farsi uno e ai quali vuole essere vicino; ma a questa sensibilità è congiunta anche una grande vulnerabilità.

Il sacerdote oggi, Gen's 12 (1982/6) p. 10
Come il Padre…, vol. III, Sacerdoti e… vittime

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Tutto è compreso nella vita di Dio

L'incontro con Gesù abbandonato è oggi sacramento dell'incontro secolare con Dio. I suoi segni sono l'abbandono, l'impotenza, gli abissi in noi e attorno a noi; ciò che si comunica sotto questi segni è l'amore di Dio, che assume e trasforma tutto ciò dal di dentro.
L'effetto è una nuova capacità d'incontro con gli uomini, una nuova comunità tra essi, una nuova capacità di rivolgersi al mondo, partendo da una nuova comunione con Dio. (...)
Poiché Gesù ha preso su di sé tutto quanto è umano, ogni peso, ogni colpa del mondo, per tal motivo non esiste nulla nella storia che sia rimasto al di fuori della vita di Dio, tutto è compreso in questa vita di Dio, tutto fa parte del dialogo tra il Padre e il Figlio, dell'incondizionato amore tra il Padre e il Figlio.

Vie per l'unità, Città Nuova, Roma 1985, pp. 39, 44
Come il Padre…, vol. III, Sacerdoti e… vittime

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Occhi di Pasqua

Auguro a noi occhi di Pasqua,
che riescano a vedere
nella morte fino alla vita,
nella colpa fino al perdono,
nella divisione fino all'unità,
nelle piaghe fino alla gloria,
nell'uomo fino a Dio,
in Dio fino all'uomo,
nell'io fino al tu.
E inoltre tutta la forza di Pasqua.

Augurio di Pasqua, 1993
Come il Padre…, vol. IV, Con Gesù crocifisso e risorto

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La rete di quanti credono

Dio non ha bisogno per la sua Chiesa dei grandi, ma dei piccoli, e chi comprende la sua chiamata si fa piccolo e amico dei piccoli. (...) Soltanto una Chiesa che sappia rivolgere la propria invocazione a Dio sarà in grado di udire la chiamata da Dio. Soltanto se noi rivolgiamo le nostre preghiere a Dio, sentiremo da Dio ciò che ha da dirci, riceveremo da Dio ciò che ha da darci. (...)
Infine la vocazione cresce soltanto laddove trova unità, amore reciproco. Assai spesso manca una rete d'amore, di comunicazione, di reale condivisione in maniera che il singolo possa trovare il Signore al centro, e se stesso al proprio posto accanto al Signore e nel tutto. Laddove la rete è allentata e debole, coloro che essa vorrebbe trattenere le passano attraverso. Abbiamo bisogno della fitta rete di coloro che credono nella chiamata di Dio, affinché la chiamata venga recepita e vissuta.

Scelto per gli uomini, Città Nuova, Roma 19952, p. 51
Come il Padre…, vol. IV, Per una nuova umanità

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Maria, stile di vita

C'è un punto in cui la forma di vita di Dio, lo stile di vita del sacerdote e lo stile di vita della Chiesa diventano visibili come in un segno, in un modello? La risposta è: Maria. (...)
Per il sacerdote, questo guardare a Maria è qualcosa di particolarmente importante. Egli da lei può imparare qualcosa che, a quel modo, non può imparare da nessun altro: la superiorità dell'essere, di ciò che si realizza nella calma silente, sull'azione, della fedeltà alla chiamata sui propri progetti e sulle proprie iniziative. Perché Maria, in se stessa, è "nulla", il nulla dell'amore che riceve e accoglie tutto, ella senza perdersi e senza disperdersi si fa tutto a tutti.
Ella è là dove il sacerdote ha il suo posto: presso la croce di suo Figlio, in cui l'amore (...) si abbandona e si consegna a noi, per divenire, per noi uomini, stile e contenuto di vita, per divenire per noi uomini salvezza.

Scelto per gli uomini, Città Nuova, Roma 19952, pp. 213.215
Come il Padre…, vol. IV, Per una nuova umanità

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Esame di coscienza sull'agape

Soltanto se anche l'umanità del sacerdote è improntata dall'amore, essa è redenta, (...) e, di conseguenza, non sussiste alcuna frattura tra l'ambito del suo servizio e la sua esistenza di uomo tra gli uomini. (...)
Formuliamo una sorta di "esame di coscienza" che ci metta in condizione di prendere in considerazione la vita nel suo complesso, di includere nel caposaldo strutturale dell'amore anche "angoli" della vita spesso trascurati.
1. Communio: Il mio stile di vita è modellato alla luce e in vista della comunione? Che rapporto ho con i miei beni, spirituali e materiali? Qual è la mia maniera di possedere e di dare?
2. Missio: Come sono, come agisco, come vado incontro alla gente? L'impostazione della mia vita è conforme alle esigenze del mio ministero? E in che misura? Promana dalla mia vita la forza d'attrazione del Vangelo?
3. Spiritualità: In che modo credo, vivo, rendo testimonianza alla fede? So penetrare nell' "intimo" di Dio, so condurvi altri, so farmici condurre da altri?
4. Corporeità: Come soffro? So con-patire la sofferenza altrui? (...) Sono davvero membro del Corpo del Signore di cui è detto che, se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme (...)? Modello la mia vita, anche nella corporeità, in conformità all'unico amore e tuttavia, proprio per questo, il mio amore è rivolto, nel Signore, a tutti?
5. La casa, il vestire: (...) Come mi vesto? Il luogo in cui vivo sa essere povero e semplice senza essere squallido? Possiede (...) le dimensioni della clausura e dell'hospitium, sa essere al tempo stesso discreto e aperto? Il mio prossimo può sentirvisi accolto come Cristo?
6. Sapienza: So trovare il tempo per riflettere sulle cose della fede e del mondo, della Chiesa e della cultura, alla luce della sapienza divina? (...) Cerco di formarmi una cultura sempre più vasta che non si limiti a (...) una serie di sussidi che mi aiutano a svolgere il mio ministero?
7. Comunicazione: Come mi tengo in contatto con gli altri (...)? Tendo forse ad isolarmi o viceversa a dissiparmi in una quantità eccessiva di contatti? (...) Il mio scrivere e il mio telefonare, il mio viaggiare e gli inviti che faccio, sono informati dall'amore, dalla fratellanza reciproca, dal mio senso di responsabilità in quanto uomo di Chiesa?

Scelto per gli uomini, Città Nuova, Roma 19952, pp. 197-199
Come il Padre…, vol. IV, Per una nuova umanità

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Segno della nuova umanità

Quanto più la Chiesa deve avere una forma istituzionale e quanto più è una comunità costituita gerarchicamente, tanto più essa è da intendere e va vissuta come comunione trinitaria.
(...)
La Chiesa è quell'inizio della nuova umanità che (...) si consegna con un unico amore a una nuova reciprocità che nasce dal perdono e dalla capacità di prendere sul serio l'amore personale per ogni essere umano, persino nemico (cf Mt 5,43). Qui è già abbozzata una sorta di relazionalità trinitaria. Vivere reciprocamente riconciliati, lasciar cadere i giudizi sugli altri, gettare via le nostre preoccupazioni personali e dedicarci così ai vicini come ai lontani: questa è la basilare novità qualitativa della comunicazione trinitaria. La Chiesa c'è per questo. (...)
La Chiesa è quel luogo nel quale Dio agisce perché siamo una cosa sola nel suo nome e viviamo insieme in maniera tale che vi sia presente la realtà del Dio trinitario e il Signore in mezzo a noi possa inserire la nostra vita nella vita di Dio.

Partire dall'unità, Città Nuova, Roma 1998, pp. 140, 142-143, 145
Come il Padre…, vol. IV, Missione senza confini


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