Paolo VI

torna all'indice


da Come il Padre ha amato me...
365 pensieri per l'anno sacerdotale
(Raccolta per autore)


Paolo VI


Uomo di Dio, uomo della comunità
Pietra preziosa
Il dovere più dolce
Solo Gesù è la vita
Solitudine, non vuoto
Maestri perché testimoni
Una certa vita comune
Comunità di fratelli
Domande irresistibili
Il grande distintivo
Servo per amore
Interpretare i tempi


_______________





Uomo di Dio, uomo della comunità

Il sacerdote è l'uomo di Dio, è il ministro del Signore; egli può compiere atti trascendenti l'efficacia naturale, perché agisce in persona Christi, passa attraverso di lui una virtù superiore, della quale egli, umile e glorioso, in dati momenti è fatto valido strumento; è veicolo dello Spirito Santo. Un rapporto unico, una delega, una fiducia divina intercorre fra lui ed il mondo divino.
Tuttavia questo dono il sacerdote non lo riceve per sé, ma per gli altri: la dimensione sacra è tutta quanta ordinata alla dimensione apostolica, cioè alla missione e al ministero sacerdotale. Lo sappiamo bene: il sacerdote è uomo che vive non per sé, ma per gli altri. È l'uomo della comunità. È questo l'aspetto della vita sacerdotale oggi meglio compreso. Il servizio ch'egli rende alla società, a quella ecclesiale specialmente, giustifica ampiamente l'esistenza del sacerdozio. Il mondo ne ha bisogno. La Chiesa ne ha bisogno.

Messaggio ai sacerdoti della Chiesa cattolica, 30 giugno 1968

torna su



Pietra preziosa

Perché tanto interesse dimostra la Chiesa per le vocazioni? Appunto per l'eccezionale valore che ogni vocazione sacra porta con sé. Come potrebbe essere indifferente, o negligente la Chiesa, madre e maestra delle anime, davanti a un tale fenomeno spirituale, in cui le più preziose virtualità d'un'anima si manifestano, ed in cui la grazia dello Spirito Santo viene in azione con modi e misure mirabili?
Noi pensiamo, a questo riguardo, alla parabola della pietra preziosa (Mt 13,46). Ogni vocazione al culto di Dio e al servizio della Chiesa merita la più viva attenzione da parte di chi coltiva o di chi osserva il giardino delle anime; essa realizza in grado eminente la fioritura del regno di Dio nel mondo, sia ecclesiale che profano; è un segno di presenza dell'Amore, che viene dall'alto; è un inizio di colloquio fra Cristo vivo e il popolo - la famiglia, la parrocchia, la diocesi.

Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 1967
Come il Padre…, vol. I, Amati e chiamati

torna su



Il dovere più dolce

Dio ha in noi il suo vivo strumento, il suo ministro, perciò il suo interprete, l'eco della sua voce; il suo tabernacolo, il segno storico e sociale della sua presenza nell'umanità; il focolare ardente d'irradiazione del suo amore per gli uomini. Questo fatto prodigioso comporta un dovere, il primo e il più dolce della nostra vita sacerdotale: quello dell'intimità con Cristo, nello Spirito Santo, e perciò con Te, o Padre (cf Gv 16,27); quello cioè di una autentica e personale vita interiore, non solo gelosamente custodita nel pieno stato di grazia, ma altresì volontariamente espressa in un continuo atto riflesso di consapevolezza, di colloquio, di amorosa, contemplativa sospensione. La ripetuta parola di Gesù nell'ultima cena: «Manete in dilectione mea» (Gv 15,9; 15,4; ecc.) è per noi. In questo anelito di unione con Cristo e con la rivelazione, da Lui aperta sul mondo divino ed umano, è il primo atteggiamento caratteristico del ministro fatto rappresentante di Cristo.

Ordinazione di duecento presbiteri e diaconi, Bogotà, 22 agosto 1968
Come il Padre…, vol. I, Amati e chiamati

torna su



Solo Gesù è la vita

Il successo della vostra azione sarà assicurato a misura che aumenteranno le riserve del vostro spirito. È infatti la vita interiore che darà forza all'apostolato, perché essa è la base della santità dell'operaio evangelico: lo premunisce contro i pericoli del ministero esteriore, rinvigorisce e moltiplica le sue energie, gli dà consolazione e gioia, rafferma la sua purità d'intenzione, è scudo contro lo scoraggiamento, è condizione necessaria per la fecondità dell'azione, attira le benedizioni di Dio, rende l'apostolo santificatore e produce in lui irradiamento soprannaturale. Dio vuole che Gesù dia la vita alle opere. Il Divino Maestro dicendo «Ego veni ut vitam habeant» (Gv 10,10), «Ego sum via, veritas et vita» (Gv 14,6), ha voluto scolpire nella mente dei suoi apostoli un principio fondamentale. Egli solo, Gesù, è la vita; di conseguenza, per partecipare a tale Vita e comunicarla agli altri, essi debbono essere innestati sull'Uomo-Dio.

Al Pontificio Collegio Pio Brasiliano, 28 aprile 1964
Come il Padre…, vol. I, Amati e chiamati

torna su



Solitudine, non vuoto

È vero: il sacerdote, per il suo celibato, è un uomo solo; ma la sua solitudine non è il vuoto, perché è riempita da Dio e dall'esuberante ricchezza del suo regno. Inoltre, a questa solitudine, che dev'essere pienezza interiore ed esteriore di carità, egli si è preparato, se l'ha scelta consapevolmente e non per l'orgoglio di essere differente dagli altri, non per estraniarsi dai suoi fratelli o per disistima del mondo. Segregato dal mondo, il sacerdote non è separato dal popolo di Dio, perché è costituito a vantaggio degli uomini, consacrato interamente alla carità e all'opera per la quale lo ha assunto il Signore.
A volte la solitudine peserà dolorosamente sul sacerdote, ma non per questo egli si pentirà di averla generosamente scelta. Anche Cristo, nelle ore più tragiche della sua vita, restò solo, abbandonato da quelli stessi che Egli aveva scelti a testimoni e compagni della sua vita e che aveva amati fino alla fine, ma dichiarò: lo non sono solo, perché il Padre è con me.

Sacerdotalis caelibatus 58-59
Come il Padre…, vol. I, Donati a Dio, in ascolto di Lui

torna su



Maestri perché testimoni

Per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, è il primo mezzo di evangelizzazione. L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri (...) o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni.
San Pietro esprimeva bene ciò quando descriveva lo spettacolo di una vita casta e rispettosa che «conquista senza bisogno di parole quelli che si rifiutano di credere alla Parola».
È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità.

Evangelii nuntiand 41
Come il Padre…, vol. II, Testimoni prima che maestri

torna su



Una certa vita comune

Non si raccomanderà mai abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita comune tutta tesa al ministero propriamente spirituale; pratica di incontri frequenti con fraterni scambi di idee, di consigli e di esperienze tra confratelli; l'impulso alle associazioni che favoriscono la santità sacerdotale.
Riflettano i sacerdoti al monito del Concilio Vaticano II, che li richiama alla comune partecipazione nel sacerdozio perché si sentano vivamente responsabili nei confronti dei confratelli turbati da difficoltà, che espongono a serio pericolo il dono divino che è in essi.
Si sentano ardere di carità per coloro, che hanno più bisogno di amore, di comprensione, di preghiere, di aiuti discreti ma efficaci, e che hanno titolo per contare sulla carità senza limiti di quelli che sono e devono essere i loro più veri amici.

Sacerdotalis caelibatus 80-81
Come il Padre…, vol. II, Fratelli tra i fratelli

torna su



Comunità di fratelli

Sono uniti i fedeli nell'amore, nella carità di Cristo? Di certo questa è una parrocchia vitale; qui c'è la vera Chiesa; giacché è rigoglioso, allora, il fenomeno divino-umano che perpetua la presenza di Cristo fra noi (...).
Oh come sarebbe stupendo se le nostre parrocchie dimostrassero bene quel che deve essere la società cristiana! E cioè: gente, dapprima sconosciuta, gruppi diversi per costume, educazione, origine, età, ecc., che, trovandosi in chiesa, si rivelano e si sentono nuclei di fratelli. Diventano amici, si danno la mano l'uno con l'altro, non parlano male del prossimo e cercano, invece, ove c'è un ammalato, di assisterlo, ove un disoccupato, di soccorrerlo, ovunque, in una parola, c'è un'azione buona da compiere a vantaggio del prossimo, aver subito cuore e impegno per dire: ecco che Cristo ci chiama. Ricordate la parola solenne di Cristo: «Vi riconosceranno veramente per miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri»; se vibrerà la simpatia voluta più che vissuta, creata da noi più che spontanea, con quella larghezza di cuore e quella capacità di generare il Cristo in mezzo a noi, derivanti, appunto, dal sentirci uniti in Lui e per Lui.

Alla parrocchia di S. Maria Consolatrice, Insegnamenti/2, Città del Vaticano 1964, pp. 1072-1073
Come il Padre…, vol. III, Testimoni di Gesù vivo

torna su



Domande irresistibili

Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d'uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede e che non si oserebbe immaginare.
Allora con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? (...)
Forse tali domande saranno le prime che si porranno molti non cristiani, siano essi persone a cui il Cristo non era mai stato annunziato, battezzati non praticanti, individui che vivono nella cristianità ma secondo principi per nulla cristiani, oppure persone che cercano, non senza sofferenza, qualche cosa o Qualcuno che essi presagiscono senza poterlo nominare.

Evangelii nuntiandi 21
Come il Padre…, vol. III, Testimoni di Gesù vivo

torna su



Il grande distintivo

Come si chiama questa forza coesiva, atta a tenere insieme il corpo parrocchiale, l'umanità desiderosa d'essere unita in Cristo? Lo sanno tutti: si chiama la carità. Portentoso dono, ineffabile virtù! Promana da Dio; perché è l'amore suo comunicato agli uomini, e si diffonde da individuo a individuo. Scende dal Cielo, quale fiume regale e benefico, la bontà di Dio che ama gli uomini e li invita, come per impulso interiore, a volersi bene anche tra loro.
È la grande legge costitutiva della Chiesa. Se, teoricamente, la carità è facile ad enunciarsi, bella a declamarsi, comune a professarsi, nella pratica, invece, è molto esigente e difficile. Eppure non solo è possibile e sempre attuabile, ma è proprio il grande distintivo, idoneo ad indicare il grado della vita ecclesiastica.

Alla parrocchia di S. Maria Consolatrice, Insegnamenti/2, Città del Vaticano 1964, pp. 1072-1073
Come il Padre…, vol. III, Icone dell'unitrinità

torna su



Servo per amore

Questo è il segreto della grandezza di San Giuseppe, che ben si accorda con la sua umiltà: l'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; l'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; l'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e d'ogni sua capacità, nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa, suo figlio nominale e figlio di Davide, ma in realtà figlio di Maria e figlio di Dio.
Se mai a qualcuno si conviene questa insegna evangelica, "servire per amore", a San Giuseppe la dobbiamo attribuire, il quale ci appare da essa rivestito, come del profilo che lo definisce, come dello splendore che lo glorifica; servire Cristo fu la sua vita, servirlo nell'umiltà più profonda, nella dedizione più completa, servirlo con amore e per amore.

Omelia, 19 marzo 1966
Come il Padre…, vol. IV, Con Gesù crocifisso e risorto

torna su



Interpretare i tempi

La nostra vita, oggi, è assai impegnata nella continua visione del mondo esteriore. I mezzi di comunicazione sono così cresciuti, così aggressivi, che ci impegnano, ci distraggono, ci distolgono da noi stessi, ci svuotano dalla nostra coscienza personale.
Ecco: facciamo attenzione. Noi possiamo passare dalla posizione di semplici osservatori a quella di critici, di pensatori, di giudici. Quest'attitudine di conoscenza riflessa è della massima importanza per l'anima moderna, se vuole restare anima viva, e non semplice schermo delle mille impressioni a cui è soggetta. E per noi cristiani questo atto riflesso è necessario, se vogliamo scoprire "i segni dei tempi"; perché come insegna il Concilio (Gaudium et spes, n. 4), l'interpretazione dei "tempi", cioè della realtà empirica e storica, che ci circonda e ci impressiona, deve essere fatta "alla luce del Vangelo". La scoperta dei "segni dei tempi" è un fatto di coscienza cristiana; risulta da un confronto della fede con la vita.

Udienza generale, 16 aprile 1969
Come il Padre…, vol. IV, Per una nuova umanità


----------
torna su
torna all'indice
home