Diaconi per la Chiesa universale




Il diaconato in Italia n° 182/183
(settembre/dicembre 2013)

Atti del XXIV Convegno Nazionale
Napoli 21-24 Agosto 2014



Diaconi per la Chiesa universale
di Crescenzio Sepe

Il convegno dei diaconi permanenti è un evento di riflessione, di apprendimento, di conoscenza e di preghiera, incentrato su un tema significativo: "Il diaconato permanente a 50 anni dal Concilio Vaticano II'', che si inserisce anche nel contesto dell'Anno della Fede per cui le vostre meditazioni e riflessioni e la vostra preghiera sono testimonianza di quell'oggi della Chiesa che è una dimensione fondamentale nella quale ognuno deve porre e vivere il suo ministero. Napoli ha il dono di vivere una bella realtà diaconale, non solo per il grande numero di diaconi permanenti, ma anche per l'impegno che si sta mettendo perché questa realtà della nostra Chiesa locale sia una risposta a quello che lo spirito del Vaticano Il ha voluto suscitare nel ristabilire il Diaconato permanente per la Chiesa universale;è la Chiesa tutta che si arricchisce di questa realtà sacramentale che, fin dalle prime comunità cristiane, è stata una delle caratteristiche dell'impegno missionario della Chiesa.
Il Diaconato permanente è frutto della Chiesa del Concilio, della Chiesa cioè aperta al mondo, della Chiesa che sa uscire dalle proprie mura per incontrare l'uomo e tutti gli uomini nelle condizioni e situazioni particolari nelle quali si trovano a vivere. L'oggi della Chiesa è l'oggi di una società, di una comunità che ha bisogno di essere rianimata, di riascoltare il messaggio di fede, di carità, di speranza. Certamente il diaconato permanente ha bisogno di ulteriori approfondimenti che ne chiariscano l'identità, la spiritualità e l'esercizio pastorale. So che i competenti Dicasteri romani si stanno muovendo in questo senso, come anche lo sta facendo la vostra interessante rivista Il Diaconato in Italia. Ma un dato è indubitabile: il vostro ministero è inserito profondamente nella realtà socio-culturale nella quale vivete e svolgete il vostro lavoro.
Voi, cari diaconi, se volete essere figli del Concilio, dovete incarnare nella società di oggi la fede che sa aprirsi all'altro, che sa uscire dalle mura sacre; una fede che sa dialogare con l'altro nella realtà nella quale la comunità degli uomini si trova a vivere. Una fede vera è una fede che si fa serva, una fede che si incarna nella carità; una fede intimista, una fede autoreferenziale non è la vera fede in Cristo; non è quello che Cristo ci ha invitati a portare nel mondo, non è la fede missionaria. Ci vuole una Chiesa che sappia andare avanti, inserirsi nel contesto storico, sociale, culturale per annunciare il Vangelo di Cristo. Tanti, nelle nostre comunità, si tengono lontani, tanti hanno perso il senso del sacro, hanno allontanato Dio dalla loro vita e cercano di annullare la dimensione spirituale, soprannaturale. Tanti altri, però, cercano quel Cristo incarnato che è venuto tra gli uomini e si è fatto uomo per comunicare a tutti l'amore di Dio. Noi, per il suo amore, dobbiamo trasmettere il senso di una Chiesa che sa fare dei passi in avanti per dimostrare a coloro che non lo conoscono e non sanno più incontrare il Signore della vita che il Cristo continua ad essere presente, a incarnarsi nella società degli uomini attraverso la testimonianza di carità dei suoi discepoli, dei suoi vescovi, dei suoi sacerdoti, dei suoi diaconi. Ogni diacono permanente, quindi, è un missionario che deve rinnovare continuamente se stesso per portare Cristo nella città, nei vicoli, nelle strade, negli ambienti di lavoro, là dove la Provvidenza lo ha posto a vivere. Noi siamo parte di una Chiesa missionaria che vuole proiettarsi verso la comunità degli uomini e intraprendere un nuovo rapporto di dialogo, di amicizia, di stima con il mondo e la società.
Per questo il Concilio, come dice Papa Francesco, ancora attende di essere attuato nelle sue istanze più profonde e queste istanze chiedono ad ogni cristiano di inserirsi responsabilmente nel contesto civile in cui si trova a vivere e, nel caso del diacono, nel luogo in cui è inviato a esercitare il suo ministero. Dobbiamo saper cogliere le attese e le condizioni precarie di vita della nostra gente; saper raccogliere il dolore di quanti si sentono umiliati, si sentono rifiutati; di quanti - disoccupati, barboni, poveri - si sentono emarginati, sconfitti, disperati; dobbiamo ascoltare e accompagnare i nostri giovani che vivono una stagione particolarmente a rischio.
Oggi la nostra società richiede una fede che diventi carità da esercitare nel contesto particolare in cui viviamo: è la fede viva che il Signore pretende da noi se vogliamo rispondere seriamente alla sua chiamata. Nell'incontro con Cristo, che voi avete realizzato quando avere risposto alla sua chiamata, Lui stesso vi ha parlato e vi ha invitati ad essere portatori di speranza. Questo lo dobbiamo sentire come forza propulsiva dello Spirito che oggi ci chiama non solo a rinnovare noi stessi, ma ad avere il coraggio profetico di incarnare il mistero d'amore che abbraccia tutti gli uomini. Noi, questa incarnazione la dobbiamo vivere giorno per giorno con il nostro agire da diaconi. Che cosa è il servire se non incarnare la propria fede nella quotidianità del nostro essere? Si è veramente diaconi "praticanti" solo quando si cerca di confrontarsi con la realtà nella quale si è inseriti, confrontandosi, per essere messaggeri del Vangelo di Cristo. Non si può perciò pensare, come qualche volta succede, che il diacono c'è solo per il culto, per la Parola, per cui basta semplicemente partecipare alle celebrazioni liturgiche della domenica o a quelle del sabato per dire che abbiamo realizzato il nostro dovere e la missione diaconale affidataci. Non basta.
Bisogna sapere andare al di là e cercare Dio che è presente in ogni uomo, in ogni parte; Dio che si trova in ogni città, vicolo, piazza, casa; Dio che ci chiama ad essere presenti attraverso il nostro impegno missionario e profetico, attraverso la realizzazione delle opere di carità. Allora non corriamo il pericolo di sentirei buoni diaconi perché partecipiamo ai riti religiosi o perché frequentiamo assiduamente le sacrestie; ci vuole un impegno che permea tutto il nostro agire, il nostro lavoro. Ecco quello che costituisce parte del nostro essere cristiani. Allora, cari diaconi, io auguro che, così come avete fatto nell'affrontare alcuni temi in queste giornate, vi sentiate sempre partecipi, parte attiva e responsabile di un rinnovamento non solo interiore, che manifesti a tutti la vostra identità diaconale, ma che tutto questo si trasformi in opere di carità, coinvolga tutta la vostra esistenza e dia alla comunità, alla società quell'anima di cui ha veramente bisogno.
Non bisogna dividere la sacralità dalla umanità perché questa umanità è stata resa sacra proprio da Cristo, che è diventato uomo, che si è rivolto ad ogni uomo, che ha voluto dare a ciascuno una speranza di rinascita, di rinnovamento, di conversione. Allora bisogna andare, avere coraggio di affrontare tutte esigenze, difficoltà, problemi che la società oggi vi pone. Uscire dal tempio, andare incontro alla gente che vive situazioni di marginalità morale e materiale, non avere paura di gettarvi nella mischia; non avere paura di sporcarvi le mani, ma avere il coraggio, come il Signore, di porsi accanto al fratello, di accompagnarlo e rendere ragione della speranza che c'è nei vostri cuori. Educare al bene comune insegnando il rispetto delle regole e della legalità, il rispetto nei rapporti umani fa parte della missione diaconale.
Allora il diacono, proprio per la sua specifica indole, per la sua personalità e il suo carattere identitario è un uomo che sa cogliere le istanze, i problemi, le difficoltà dell'uomo di oggi perché le vive quotidianamente, in quanto parte della sua esistenza, del suo essere diacono in mezzo al mondo, alla gente. Sono certo che tutto quanto è stato detto, esaminato, approfondito in questo convegno, nel quale avete affrontato diversi aspetti della fede, della speranza e della carità, nella vostra spiritualità diaconale sarà per voi una spinta ad uscire ed a andare lontano. Lo Spirito ora vi manda nel mondo per servirlo e amarlo.
Abbiate coraggio. Abbiate il coraggio della profezia, la forza dell'impegno, la concretezza di realizzare e vivere la carità, la solidarietà, la giustizia in un mondo che ha bisogno di Dio. È questo l'augurio che faccio a ognuno di voi, alla comunità diaconale tutta, perché attraverso la vostra opera, la vostra missione, il vostro impegno la Chiesa riprenda quel cammino di umiltà, povertà e di testimonianza che è il cammino segnato dal Cristo. La Madonna, umile, semplice e povera, vi accompagni nel vostro entusiasmo diaconale, vi dia il coraggio di sentirvi accompagnati dal suo Figlio, da quel Servo di Jahvè che si è umiliato per salvare l'uomo con il suo amore. Dio vi benedica e A' Maronna v'accumpagna!

(C. Sepe è Arcivescovo Metropolita di Napoli)


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