Diaconi testimoni di solidarietà



Il diaconato in Italia n° 182/183
(settembre/dicembre 2013)

Atti del XXIV Convegno Nazionale
Napoli 21-24 Agosto 2014



Diaconi testimoni di solidarietà
di Giancamillo Trani

Viviamo in una congiuntura storica nella quale si parla di banche, finanza, debiti, mercati, di numeri infiniti, di miliardi e miliardi di euro. Un pugno di privilegiati della finanza domina il mondo ed è in grado di far crollare, in qualsiasi momento, intere nazioni e stati come la Grecia così come prima ha fatto crollare tanti Paesi in Africa o in America Latina. Milioni sono le donne e gli uomini, gli anziani ed i bambini che pagano il prezzo della libertà capitalista di dominare il mondo con il suo denaro e le sue merci. Merci prodotte da quegli stessi sfruttati, in cui si produce un meccanismo di identificazione al potere: si predispongono alla sottomissione con la speranza di diventare come quei ricchi che decidono le sorti del mondo. La crisi è profonda! Le misure che vengono adottate dai capi degli Stati europei sembrano del tutto inadeguate: l'impressione è che i meccanismi delle determinazioni economiche e finanziarie non siano più in loro potere.
Assistiamo al volo degli avvoltoi della finanza internazionale sul corpo profondamente indebolito delle economie di diverse nazioni: aspettano il momento giusto per divorare quello che vi è ancora da ingoiare. Gli uomini politici, che siano di destra o di sinistra, dimostrano tutta la propria inconsistenza ma anche la loro complicità - diretta e indiretta - nei confronti d'un sistema che ormai produce solo ingiustizie, diseguaglianze, e che non riesce più a controllare le proprie contraddizioni. Il capitalismo è entrato in una nuova fase, quella della devastazione totale degli Stati e delle economie reali, quindi della devastazione della vita sociale di milioni di donne e di uomini e dei loro diritti.
Si tratta, ormai, di una realtà che riguarda tutte le nazioni europee ed i loro popoli. La questione del debito serve a tagliare le strutture di giustizia che danno un minimo di sostanza alla dignità dei cittadini e dei lavoratori del Vecchio Continente. Si va verso società dove verranno smantellate tutte le strutture di protezione sociale ed il sistema dei diritti che sembrava una conquista irreversibile dopo i due conflitti mondiali. Recentemente, l'Istat ha stimato in 9,5 milioni di persone i poveri "relativi" in Italia, ovvero il 15,8% della popolazione, dei quali il 4,8% non riesce neppure ad acquistare i beni essenziali. I grandi ideali di libertà, eguaglianza, giustizia sociale e fratellanza sembrano terribilmente lontani!
Le forze politiche sono ormai tutte dentro le logiche del meccanismo capitalistico; tutti pensano a soluzioni che servono ad alimentare una finanza asfittica, che ha abbondantemente dimostrato di essere solo parassitaria. Nessuno sembra voler mettere seriamente in discussione il potere delle banche, delle grandi società finanziarie, delle grosse multinazionali. Le proposte tentano soltanto di turare le falle aperte dalla crisi, ma le contraddizioni sono ormai strutturali e le risposte non potranno che essere strutturali. Il prossimo futuro, per milioni di europei, è un processo progressivo d'impoverimento ed uno smantellamento dei diritti sociali e di cittadinanza. E, inevitabilmente, il processo in atto sta modificando in profondità l'essere umano. Foucault scriveva che siamo come determinati dalla rete di parole che c'impongono le sovrastrutture: il mito dell'individuo re, del sovrano denaro, della centralità del consumare per essere, il mito della competitività come unica regola di vita, hanno trasformato il modo di essere, hanno creato un nuovo senso comune. Modo di essere e senso comune che trasformano le persone in esseri che si difendono continuamente e sembrano incapaci di aprirsi all'altro, di esprimere i propri sentimenti e di mostrarli, quasi fosse un segnale di debolezza estrema. Tutto ciò porta le persone a diventare indifferenti gli uni verso gli altri, aumentando paura ed anche intolleranze; l'essere umano non sembra più in grado di riconoscere in sé l'altro che lo costituisce e lo fonda, dimentica di essere il frutto di una relazione tra due persone che si sono amate. L'amore come dono di sé è praticamente sparito dallo scenario della vita quotidiana e sociale: tutti si devono "auto realizzare" in nome di un ego che passa attraverso l'accumulo di oggetti, sovente superflui ed inutili. Ed è così che si realizza l'umiliazione dell'altro: si è ricchi di oggetti ma poveri di sentimenti e pensieri!
Si promuove la psicologia dell'insensibilità di fronte alla sofferenza ed al dolore. L'ingiustizia è un tratto di chi governa la finanza arricchendosi sulla pelle di milioni di esseri umani, ma è anche diventata una psicologia dell'indifferenza e della diffidenza di tanta gente che si identifica con chi è ritenuto potente. Le classi dominanti sono riuscite a modificare nel profondo la psicologia collettiva asportando dal cuore degli uomini l'utopia, la capacità di pensare, di sognare un'altra società, un altro mondo.
Anche chi sembra voler proporre soluzioni e risposte a livello istituzionale e governativo è mentalmente e culturalmente collocato all'interno della logica del mercato come unico regolatore dei rapporti umani: nessuno rimette seriamente in discussione questo sistema e le sue strutture si riproducono tramite contraddizioni spaventose che non possono far altro che continuare a maciullare vite umane, a portare a conflitti cruenti, a distruggere l'ambiente e l'ecosistema naturale. Uomini e donne sembrano aver perso la speranza e la fiducia di una possibile ed autentica rivoluzione umanistica, basata - forse anche utopisticamente - sul sogno di una società fatta a dimensione dell'essere umano e rispettosa della dignità di ognuno: occorre ritornare all'utopia per ridare speranza ai popoli ed un futuro al genere umano.
Pensiamo all'utopia di un mondo umanizzato, dove non conta il denaro ma solo la giustizia, l'equità, l'etica dell'accoglienza, dove libertà ed eguaglianza sono inscindibili. Certo, si potrà sempre rispondere che si tratta di illusioni, di pensieri al vento, di cose irrealistiche, che il mondo ha sempre avuto ricchi e poveri e via discorrendo, ma nessuno può impedire all'essere umano di continuare a sognare ad occhi aperti, di fare funzionare la ragione critica, di svelare la reale essenza delle cose e di tutte le strutture di potere, di progettare e costruire delle ipotesi per un futuro umanamente migliore. La forza dell'utopia è quella di svegliare le coscienze tramite una delle essenze più profonde dell'essere umano: il sogno, il sogno che appartiene alla nostra infanzia ed alla nostra giovinezza, il sogno che ci fa immaginare e fantasticare e che perfino il moloch tecnologico e massmediatico fatica a controllare.
Occorre che tutti insieme ci rimettiamo a pensare, a fare una critica profonda e ad elaborare alternative sempre più legate alla vita sociale di chi perde il lavoro, di chi subisce sfruttamento ed ingiustizia, di chi è angosciato per l'avvenire. È urgente e necessario elaborare un altro progetto di società, finalmente libera dal re denaro, basata sulla cooperazione mutualistica, all'interno della quale ciascuno viva secondo i suoi bisogni e le sue capacità, nell'ottica della realizzazione del bene comune e della armoniosa crescita delle future generazioni, rispettando la dignità dell'essere umano e l'ambiente che lo circonda. L'utopia dell'impegno quotidiano per l'umanizzazione del mondo significa credere che è possibile vivere in un modo diverso, una modalità che risponda al senso più profondo della vita.
Jean Paul Sartre, nel suo libro L'esistenzialismo è un umanesimo diceva: «la potenza del rifiuto di fronte alla disumanizzazione ed all'ingiustizia è la ricerca costante, nelle relazioni di ogni giorno, del Bene e del Vero, di quella dimensione che riconosce ad ognuno di esistere per quello che è e di poterlo fare esprimendo tutto sé stesso, con la massima ricchezza nella costruzione di una esistenza degna di questo nome».
Il mestiere dell'essere umano, l'arte di vivere, è stato sempre oggetto di indagine e domande, da quando l'uomo ha cominciato ad interrogarsi su sé stesso, sul senso della vita e della morte, sulla sua finitudine ed anche sull'infinito del suo pensiero e della sua immaginazione. Spesso, il contatto con i grandi eventi dell'esistenza (la nascita, la malattia, la vecchiaia, la professione, le scelte di vita di fronte alle ingiustizie grandi e piccole) ci spinge a recuperare la dimensione, insieme limitata ed illimitata, del nostro essere. Questo insegnamento alla vita ci arriva nei momenti difficili, di sconforto, di scoraggiamento e di disorientamento: quando facciamo esperienza d'un evento imprevisto che destabilizza la nostra routine quotidiana. È allora che il contatto con l'altro che sembra più debole, più fragile e più bisognoso diventa fonte ed occasione di rigenerazione. Ci rendiamo conto che l'altro che pensavamo più debole c'insegna anche tanto sulla nostra vita, sull'esistenza in generale.
È allora che prendiamo coscienza dell'infinità di risposte umane: risposte che passano soprattutto nei rapporti di ogni giorno con le persone care ma anche con chi incontriamo sulla nostra strada e che ci conduce nell'itinerario dei sentimenti e del pensiero. Ci rendiamo conto allora che è l'altro che ci dà qualcosa, qualcosa di non misurabile con le solite tecniche diagnostiche e statistiche: ci rendiamo conto che l'altro ci dà la possibilità di essere veramente umano! Forse, la cosa più difficile per noi che impariamo il mestiere dell'umano è quella di riconoscere la nostra limitatezza, insieme al fatto che prendiamo tanto dagli altri senza dare molto in cambio. Eppure, quante volte siamo riusciti ad essere sinceri con noi stessi, ad accogliere l'altro, a ricevere il dono della vita anche nei momenti di estrema difficoltà, quante volte siamo stati davvero umani?
Certo vivere non è semplice, la tendenza è di prendere, pretendere per sé e non. vedere quello che ci viene anche da chi soffre la malattia, l'oppressione, la discriminazione, la povertà o semplicemente il rifiuto e la più comune non-accettazione: il mestiere dell'umano è proprio di riconoscere la nostra vulnerabilità che è forse la qualità più importante che abbiamo e che ci rende davvero umani! Ed allora, diaconi non sentinelle di solidarietà: la sentinella è vigile ma relativamente statica; si limita a dare l'allarme oppure a custodire. Direi meglio diaconi alfieri e fanti di carità e solidarietà: Gesù è diacono permanente, è servo a tempo pieno. Voglio ora ricordare uno scritto di Don Tonino Bello: Anche tu per evangelizzare il mondo.
«Il Signore ce l'ha anche con te. La sua mano tesa ti ha individuato nella folla. È inutile che tu finga di non sentire, o ti nasconda per non farti vedere. Quell'indice ti raggiunge e ti inchioda a responsabilità precise che non puoi scaricare su nessuno. "Anche tu". Perché il mondo è la vigna del Signore, dove egli ci manda tutti a lavorare. A qualsiasi ora del giorno. Non preoccuparti: non ti si chiede nulla di straordinario. Neppure il tuo denaro: forse non ne hai. E quand'anche ne avessi, e lo donassi tutto, non avresti ancora obbedito all'intimo comando del Signore. Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, in qualsiasi angolo tu consumi l'esistenza, possa diffondere attorno a te il buon profumo di Cristo. Che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime della gente. Che ti impegni a vivere la vita come un dono e non come un peso. Che ti decida, finalmente, a camminare sulle vie del Vangelo, missionario di giustizia e di pace. Esprimi in mezzo alla gente una presenza gioiosa, audace, intelligente e propositiva. Ricordati che l'assiduità liturgica nel tempio non ti riscatterà dalla latitanza missionaria sulla strada. Ma fermati anche "a fare il pieno" perché in un'eccessiva frenesia pastorale c'è la convinzione che Dio non possa fare a meno di noi. [...] Se vi dicono che afferrate le nuvole, che battete l'aria, che non siete pratici, prendetelo come un complimento. Non fate riduzioni sui sogni. Non praticate sconti sull'utopia. Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: "Ma cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro?"» (don Tonino Bello)

(G. Trani è vicedirettore della Caritas di Napoli)


----------
torna su
torna all'indice
home