XIX Domenica del Tempo ordinario (A)

ANNO A - 10 agosto 2014
XIX Domenica del Tempo ordinario

1Re 19,9a.11-13a
Rm 9,1-5
Mt 14,22-33
SORRETTI SOLO DA
COLUI IN CUI CREDIAMO

Il brano evangelico odierno affascina gli ascoltatori per la bellezza descrittiva di situazioni di vita comunitarie e personali tuttora presenti nel quotidiano. Anzitutto il segno della barca, tipicamente ecclesiale, nella quale sono radunati i discepoli, chiamati ad attraversare il mare del mondo e della storia in mezzo a svariate situazioni, anche avverse.
A questo si aggiunga l'assenza del Signore, pur impegnato nella preghiera solitaria sul monte, luogo caratteristico della rivelazione divina. Assenza in verità apparente, perché nel momento della necessità egli si fa loro incontro camminando sul mare, come già era prospettato nella tradizione del Primo Testamento relativamente a Dio, contemplato come colui che ha sul mare la sua via (cf Sal 77,20-21; Is 43,16; 51,10...).
Si tratta di una manifestazione che rientra nella temperie pasquale, tant'è che quanti vi assistono si impauriscono, scambiando addirittura Cristo per un fantasma. Ma vengono subito rassicurati: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». La Chiesa in cammino, ovunque si trovi, ha sempre bisogno di incontrare il suo Signore e soprattutto di riconoscere i segni della sua presenza, che le garantiscono la sua vicinanza, per procedere secondo una giusta traiettoria incontro a lui.
Non deve temere il Signore, allorché lo avverte in certe situazioni paradossali della vita, che mettono fortemente in dubbio la sua veridicità. Senza dubbio abbiamo ancora necessità di aiutarci reciprocamente a scoprire Cristo, là dove si disvela la sua identità, a cominciare dalle esperienze sacramentali della Chiesa.

La ricerca e l'interpretazione delle apparizioni divine, soprattutto nei momenti di prova, sono pure testimoniate dall'episodio presentato dalla prima lettura. Il prototipo per eccellenza della profezia, che la battagliera figura di Elia il Tisbita incarna, in verità si imbatte in momenti di totale sconforto, allorché incontra ostacoli nell'autorità politica, come l'intrigante regina Gezabele. Si trova così ad affrontare una desolazione interiore che lo sfinisce, fino a gridare il suo "ora basta!" a Dio. Questi gli risponde facendo sentire la sua presenza nei segni naturali: stavolta non nel vento grande e forte, nel terremoto, nel fuoco..., tutte realtà impetuose, come quelle espressive dello Spirito nella narrazione della Pentecoste (cf At 2).
In nessuna l'ardimentoso profeta riscontra la presenza del Signore, ma solo nella voce di un silenzio sottile (così andrebbe tradotta quella "brezza leggera" della versione offerta dal lezionario). Davanti a quel silenzio, davvero Elia capisce che Dio, che è fuoco divorante, spirito impetuoso, scuotimento dei potenti della terra, è anche pace, silenzio, tenerezza. Il profeta si vela allora la faccia, per manifestare con questo gesto sia il suo inatteso riconoscimento del Dio imprevedibile, sia la sua umiltà di peccatore indegno di vederlo.
È anche la risposta ai tanti Elia che sorgono in ambito ecclesiale, ergendosi a difensori e paladini di un agire divino sempre vincente e distruggente, e mai sobrio e apparentemente sconfitto. Forse !'imprevedibilità dell'agire divino ci porterà a cogliere nel silenzio che parla, cioè nella contraddizione stessa dei termini, il senso profondo con cui Dio si rivela. Del resto, la voce dello Spirito non viene percepita nella capacità di fare spazio a lui tacendo, ricercandolo, arrabattandoci?

Anche l'esperienza personale di Pietro, corifeo degli apostoli, presentata dal brano evangelico, ha un suo accattivante insegnamento. Superato l'impatto iniziale con Cristo, pieno di paura, ecco la ripresa di coraggio, seppure ancora ovattata da un: «Se sei tu», che è come dire: «Se non ti smentisci nella tua identità, comandami di venire verso di te sulle acque».
L'intento è chiaro, ma la motivazione interiore sa di spettacolarità, così com'era stato nell'insidia diabolica dopo il battesimo al Giordano. È il voler "assomigliare", se non addirittura essere pari a Dio. E, allora, Pietro annaspa e affoga, nel senso che, pur avendo ricevuto il comando, tuttavia comincia ad affondare, sospinto dal vento forte della superbia, direbbe sant'Agostino. Per fortuna non manca la mano del Signore che lo afferra e lo salva, non senza un doppio rimprovero: «Uomo di poca fede», cioè, alla lettera "piccolo di fede". Si vuole affermare che deve ancora crescere e maturare, così come tutta la comunità in cui è inserito. Tale è la condizione della Chiesa - tutta! - nella storia, allorché la fede pasquale non è visione, ma ricerca di Dio negli enigmi e nelle batoste del vivere, ben espresse dalle burrasche del mare. Ci vuole tempo, per far sì che la sequela di Cristo non sia imitazione di lui!
Quand'è, allora, che Pietro, il quale pensa di essere capace di camminare sul mare come Gesù, cioè di essere in grado di imitarlo, comincia a seguirlo? Allorquando grida: «Signore, salvami!», buttandosi nelle sue braccia per dimostrare di avere sempre bisogno di lui.
Da qui, perciò, il secondo rimprovero, in forma interrogativa: «Perché hai dubitato?». Il termine "dubbio" deriva da "due": «Perché ti sei sdoppiato? Perché hai avuto un animo doppio, fiducioso e pauroso nello stesso tempo?».
La prostrazione e la solenne professione di fede da parte dei discepoli pone fine ad ogni sdoppiamento della persona, unificandola totalmente in colui che «davvero è il Figlio di Dio». È ciò che anche nella celebrazione osiamo acclamare, sorretti solo da colui nel quale crediamo.

VITA PASTORALE N. 7/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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