XXVIII Domenica del Tempo ordinario (A)

ANNO A - 12 ottobre 2014
XXVIII Domenica del Tempo ordinario

Is 25,6-10a
Fil 4,12-14.19.20
Mt 22,1-14
TUTTI INVITATI
ALLA FESTA DI NOZZE

La parabola odierna si riconnette ancora ai connotati tipici del vangelo di Matteo, nel senso che ricalca, anche a una prima lettura, la polemica tra Gesù e i responsabili del giudaismo. Inoltre, l'evangelista vi aggiunge il tema nuziale, nel senso che si è posti di fronte non a un generico banchetto, ma al pranzo imbandito dal re per le nozze del suo figlio. E, come si sa, simile tema è essenziale, in quanto evoca il grido dell'Apocalisse: «Ecco, sono giunte le nozze dell'Agnello» (Ap 19,7).
In ogni caso, anche Isaia inserisce il banchetto in un contesto apocalittico, per richiamare i tempi in cui tutti saranno invitati, senza escludere nessuno e, proprio perché regale, avranno cibo in abbondanza e raffinato. Anzi, questo banchetto farà scomparire qualsiasi dolore e la stessa morte, eliminando così le lacrime, che spesso rigano il volto degli uomini. Si tratta quasi di un sogno: in verità questa è la volontà di Dio, rivelata perché tutti possano riconoscerla e farla propria.

Perciò, alla luce di simile profezia, traluce ancora meglio la drammaticità del rifiuto che la parabola evidenzia. In maniera più drammatica di Luca, per il quale gli invitati accampano scuse che rasentano il ridicolo, qui gli invitati, richiamati, non vogliono assolutamente venire. Il tono si è fatto tragico e ottiene, infatti, una risposta altrettanto tragica: «Mandò le sue truppe e fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città».
Sullo sfondo, è chiaro, si intravede la distruzione di Gerusalemme quale castigo divino per il rifiuto opposto da Israele ai missionari cristiani. Al riguardo non si può non segnalare che tale ostilità oggi è appannaggio di molti credenti che, posti di fronte all'invito di partecipare all'eucaristia, rispondono con il loro diniego, tacito palese che sia, dettato dall'assoluta indifferenza.
Non è un mistero per nessuno il calo numerico dei partecipanti alla celebrazione eucaristica domenicale, per motivi che non hanno spesso nessuna consistenza, se non quella del menefreghismo più totale. Certo, un pastore oggi non è chiamato a imbastire la classica "predica agli assenti", lanciando invettive contro i non praticanti di fronte a chi, invece, è lì, e attento. Tuttavia è bene porsi almeno qualche interrogativo per rimotivare la prassi di chi frequenta, estrapolandola dalla pura osservanza legale, che non è del tutto tramontata.

Nonostante ciò, la volontà di salvezza universale di Cristo viene apertamente ribadita: al posto dei primi vengono raccolti altri invitati, buoni e cattivi: un nuovo popolo, l'Israele messianico, già prospettato anche nella precedente parabola della vigna, che evidenzia la natura stessa della Chiesa attuale. La mescolanza di degni e indegni, infatti, è il riflesso della gratuità dell'invito. Il proposito del re si compie, la festa si celebra con il massimo concorso di gente. La versione di Luca si chiude con questa nota di universalità, a lui tanto cara. E, tutto sommato, è pure la gioia della Chiesa attuale nel vedere in tal modo caratterizzate le proprie assemblee.

Matteo prosegue inserendo il controllo che il re compie nei confronti dei suoi commensali, per verificare se hanno l'abito nuziale. Il clima cambia radicalmente: visto che i convitati sono stati riuniti senza preavviso, sembra sproporzionata o addirittura illogica la reazione del re che lo fa legare e gettare fuori dalla sala. Risulta così che l'elemento discriminante per poter partecipare alle nozze è l'abito. Nella tradizione biblica la veste indica un ruolo, la dignità. In senso metaforico rappresenta le qualità spirituali ed etiche. Tenendo presente la preoccupazione del primo evangelista per la coerenza tra fede e vita, tra parole e opere, si può pensare che la veste rappresenti la fedeltà attiva, richiesta per poter partecipare al banchetto nuziale. In altre parole, come ricorda san Paolo, la grazia ha un prezzo, e caro (cf 1Cor 6,20).
Se nella comunità attuale coesistono buoni e cattivi, non sarà così alla fine, perché il giudizio di separazione sarà fatto in modo inesorabile sulla base della fedeltà pratica e operativa. Fin d'ora si pone, allora, un serio ammonimento per quei cristiani che si cullano sulla falsa sicurezza data dalla loro appartenenza formale alla Chiesa. Certo, non siamo noi gli arbitri del comportamento altrui né, tanto meno, i giudici della sorte definitiva di chi condivide con noi lo stesso banchetto. Siamo però chiamati a esigere almeno l'abito, cioè l'impegno coerente, per non ricadere nell'assoluta indifferenza dei puri "frequentanti", che sarebbe egualmente deleteria. La questione della dignità cristiana è sempre aperta e si fa viva soprattutto nel momento eucaristico.

L'assioma conclusivo: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti», seppur introdotto dal "poiché", che lo collega a ciò che precede, risulta problematico. Secondo l'interpretazione più accreditata l'affermazione indicherebbe soltanto una superiorità numerica, senza orpelli. E cioè: «Ci sono più chiamati che eletti», in quanto uno solo è espulso: e così si rispetta pure il significato dell'episodio precedente degli invitati a nozze. In verità è un monito ai cristiani, che avverte della necessità di rispondere con una vera conversione (nuova veste) alla chiamata gratuita. Si tratta di prendere coscienza del "valore" che ha il Signore, in modo da poter esclamare con Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».

VITA PASTORALE N. 8/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

--------------------
torna su
torna all'indice
home