XXX Domenica del Tempo ordinario (A)



ANNO A - 26 ottobre 2014
XXX Domenica del Tempo ordinario

Es 22,20-26
1Ts 1,5c-10
Mt 22,34-40
IL GRANDE
COMANDAMENTO

Un'altra pagina assai conosciuta, ma sempre irrinunciabile ai fini di una verifica della propria esistenza e di quella comunitaria, riconducibile all'essenzialità evangelica. Il clima in cui si colloca Matteo, a differenza di Marco, è conflittuale: non si tratta di una richiesta di aiuto per dare maggiore profondità di significato e di consistenza alla propria vita, ma piuttosto di mettere alla prova Gesù da parte dei farisei, dopo che aveva chiuso la bocca ai sadducei. Particolare, questo, per nulla trascurabile, in quanto una possibile rivalsa dei farisei sui propri nemici, ottenuta mediante una vittoria nello scontro con Gesù, avrebbe senza dubbio segnato la loro superiorità sui rivali. Anche ciò viene evidenziato dai vangeli, a riprova della loro storicità: gruppi avversi si fronteggiano, avendo il Maestro come termine di confronto per orientare l'esito della relazione tra loro!

Il contenzioso viene offerto dalla richiesta relativa al "grande comandamento" della Legge, cioè dalla modalità di ordinare la gerarchia dei vari precetti. Com'è noto, tra piccoli e grandi, se ne contavano 613, di cui 365 negativi (come i giorni dell'anno non bisestile) e 248 positivi. Ebbene: avevano tutti la loro importanza, per questo erano egualmente obbliganti, ma si trattava di ricercare l'esigenza etica assolutamente irrinunciabile, perché simile assemblaggio di dettami non disperdesse l'attenzione dei credenti per l'essenziale. In verità, potrebbe sembrare secondaria tale ricerca. Eppure ai tempi di Gesù non mancava chi, ad esempio, vedeva nel sabato l'osservanza totalizzante della Legge.
E ancor oggi nei vari regolamenti comunitari di sodalizi cristiani, come degli stessi seminari o congregazioni religiose, non risulta sempre facile indicare delle priorità "assolute", perché, a seconda delle prospettive dei vari maestri o direttori di spirito, si evidenziano ora l'uno ora l'altro aspetto. Ciò va riferito pure alla congerie di indicazioni pastorali, che pullulano nelle diocesi e nei relativi documenti o direttori sinodali.

Il grande e primo comandamento pone l'amore di Dio al suo posto, secondo la visione già tramandata dal Primo Testamento (cf Dt 6,5). Un amore che abbraccia la totalità della persona: il suo cuore, cioè la sua interiorità; la mente, cioè l'aspetto razionale di tale interiorità; l'anima (o "vita"), cioè la forza tramite la quale tutto l'uomo deve indirizzarsi verso Dio, perché l'amore non è mero sentimento, ma orientamento di vita. Queste tre espressioni, unite assieme, evidenziano un amore integro, indiviso e totale da parte del credente nei confronti di Dio. È chiaro che simile prospettiva ricalca, si può dire, l'intero insegnamento biblico conosciuto.
Però permane essenziale, almeno a livello di mentalità, l'acquisizione di tale capacità ispiratrice di ogni osservanza, perché non sia meramente legale, ma dettata dall'amore per Dio ed espressione dell'uomo nella globalità della sua corporeità. Quante volte, ad esempio, la stessa preghiera è prospettata come manifestazione del cuore o della mente, ma mai o quasi mai come sintesi di tutte le capacità umane? Ciò indurrebbe a farla divenire una vera "esperienza" di vita e non una semplice pratica, determinata solo da qualche componente umana.

La sintesi evangelica rivela ancor più la sua originalità, allorché unisce alla componente personale divina anche quella umana, certo, nella formulazione embrionale già testimoniata dal passo del Levitico (cf 19, 18), ma totalmente originale e inedita nella modalità offerta da Gesù Cristo. Non va trascurato che anche nel Vecchio Testamento, come asserisce la prima lettura, già si prospettava nell'amore per gli stranieri, le vedove, gli orfani e i poveri il modo di vivere l'amore di Dio, considerato nel ruolo di protettore sociale. In Cristo, però, appare in tutta chiarezza l'inseparabilità dei due precetti e il loro ordinamento gerarchico in un primo e in un secondo, quale dato evangelico senza paralleli.
Così si ribadisce che Dio è al di sopra di tutto (è il «precetto grande e primo»), ma contestualmente si afferma che «il secondo è simile» al primo. Vi è dunque una congruenza, una specie di specularità fra i due precetti. Ancor più importante è come Gesù metta i suoi avversari di fronte non a due testi legali, ma alla persona di Dio e a quella del prossimo. In definitiva, egli non si perde in casistiche, né considera la Legge come un insieme di precetti, ma come una totalità.

Si comprende, allora, anche l'affermazione finale del brano evangelico che da questi due comandamenti "dipendono" (letteralmente "sono appesi ") tutta la Legge e i Profeti. Simile ottica supera qualsiasi tentativo di delimitare o operare classificazioni tra le persone, anche cristiane. Gesù, infatti, universalizza il concetto di "prossimo", abbracciando appunto qualsiasi uomo, in quanto è Dio che si serve e si ama nel prossimo. Nella capacità di tenere unite le due istanze, spesso contrastanti tra loro sul piano concreto, si acquisisce la maturità cristiana, superando l'accentuazione indebita del primato di Dio, che porta a un'esagerata "spiritualizzazione", o l'eccessiva attenzione all'uomo, che può chiudersi al trascendente in nome di una lotta per lui a livello socio-politico o anche religioso.
VITA PASTORALE N. 9/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

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