Dedicazione della Basilica lateranense – (XXXII dom. T.O., A)

ANNO A – 9 novembre 2014
Dedicazione della Basilica lateranense – (XXXII dom. T.O.)

Ez 47,1-2.8-9.12
1Cor 3,9c-11.16-17
Gv 2,13-22
LA COMUNIONE
CON LA CHIESA DI ROMA

Un'altra festa che spezza la sequenza lineare della proclamazione evangelica nel tempo ordinario. Anzitutto è d'obbligo un essenziale ragguaglio storico, per giustificarla. L'imperatore Costantino aveva donato alla Chiesa di Roma il vasto palazzo del Laterano con l'area circostante e vi aveva fatto costruire, intorno al 324, una basilica in onore del Redentore. All'inizio del secolo X essa fu dedicata anche a san Giovanni, Battista ed Evangelista, e da allora si chiamò San Giovanni in Laterano. Secondo un'iscrizione fatta apporre da Clemente XII nel XVIII secolo, è «madre e capo di tutte le chiese dell'Urbe e dell'Orbe». Questa celebrazione intende, perciò, rinsaldare lo comunione con la Chiesa di Roma che, secondo la nota espressione di sant'Ignazio di Antiochia (I-II sec.), «presiede alla carità». In ogni caso, a livello di comunità locale, diventa occasione per evidenziare il mistero del tempio, segno della Chiesa vivente, edificata con pietre scelte e preziose in Cristo Gesù, pietra angolare.

La pagina evangelica di Giovanni presenta, in un contesto pasquale, la cosiddetta "purificazione del tempio". Rispetto alla redazione sinottica, qui Gesù prepara addirittura una frusta di cordicelle, per scacciare tutti fuori dal tempio, con le loro mercanzie. Ma, nel quarto vangelo, l'episodio non è solo finalizzato a rendere la casa di Dio una casa di preghiera e non una spelonca di ladri (cf Is 56,7; Ger 7, 11), bensì a prospettare il nuovo tempio, che è Cristo stesso, e la nuova vittima, il nuovo Agnello immolato, che è sempre lui.
Questa "novità" viene evidenziata con il solito fraintendimento, tipico di Giovanni, per cui i suoi interlocutori pensano al tempio di pietre («Questo tempio è stato costruito in 46 anni...»), mentre Cristo si riferisce al tempio del suo corpo, santuario di Dio presente nell'umanità. Questo viene distrutto dai Giudei con la morte di Gesù, ma il Padre, dopo tre giorni, lo farà risorgere.
Tale è il segno nuovo che Cristo intende donare: svelare ai Giudei la loro vera situazione, cioè che nel tempio e nel culto non potevano trovare né scusanti né soluzioni. Non nel tempio, ma in Cristo sta la vera "scelta" di Dio per la salvezza dell'umanità. Ricordare, allora, la dedicazione del Laterano significa garantire anche oggi questa scelta che, nella fattispecie, trova nella comunione delle varie Chiese con quella di Roma lo sua più espressiva traduzione.
Le chiese sono state edificate, e sono molte, in ogni località, appartenenti a tutte le epoche. Non mancano neppure quelle nuove, soprattutto nelle grandi città, che ci si è premurati di costruire, là dove man mano crescevano le case, perché l'abitazione di Dio in Cristo, a livello di segno, fosse la dimora della gloria divina edificata fra le case degli uomini, secondo le espressioni tipiche dei riti di dedicazione.

Qui si situa un'altra prospettiva, richiamata dall'apostolo Paolo nella seconda lettura. Egli si presenta come un saggio architetto, che ha posto il fondamento della comunità cristiana di Corinto. Eppure questo ruolo di fondatore che rivendica è derivato unicamente dalla grazia di Dio, a cui è direttamente corrispondente. Per cui vero e unico fondamento della Chiesa e della vita cristiana è solo Gesù Cristo: dalla sua azione promana ogni cosa. Se l'opera di Paolo è stata l'inizio, ora bisogna continuare la costruzione. La Chiesa, infatti, non è un edificio immutabile e statico, ma vivo. Ne consegue che chi distrugge il santuario di Dio, che è la comunità cristiana, è reo di profanazione e si espone alla rovina definitiva: destino tremendo, ma adeguato alla colpa.
Il peccato vero, quindi, non è rappresentato dalla profanazione di pietre o di oggetti sacri, ma del corpo di Cristo, costituito dalle membra vive. Infatti, chi provoca divisioni o conflitti lacera il tempio di Dio e lo abbruttisce, perché gli fa perdere quella consistenza indispensabile ad affrontare le avversità storiche. Il ricordo della dedicazione della Basilica lateranense si colloca appunto in quest'ottica di continuità, conservata fino ad oggi, non solo nella stabilità della sua costruzione materiale, ma anche di quella della presenza di Pietro, vescovo di Roma, segno visibile di solidità e modello per tutte le Chiese dell'Orbe.

Un'ultima prospettiva di vita ci viene affidata dalla visione di Ezechiele, che contempla l'azione vivificante e risanatrice dell'acqua che esce dal lato destro del tempio. Visione che ha ispirato la celebre antifona pasquale Vidi aquam («Ecco l'acqua che sgorga...»). Dal tempio ricostruito dagli esiliati uscirà un'acqua che non verrà solo a dissetare Gerusalemme, ma anche a risanare tutta la terra: il mondo intero sarà trasfigurato dalla Parola, che nel tempio verrà letta e predicata. Essa avrà una forza e una vitalità inaudite, così come l'acqua nella visione di Ezechiele.
Giovanni applica a Cristo questo simbolo, allorché nell'ultimo giorno della festa delle Capanne grida:«Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (Gv 7,37-38). Nel tempio della Chiesa i credenti si riuniscono per ricevere l'acqua dello Spirito, che Cristo promette ai suoi, perché si lascino trasformare da essa, partecipando all'eucaristia, che li rende un corpo solo.

VITA PASTORALE N. 9/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)

--------------------
torna su
torna all'indice
home