Anno A - 29 giugno – SS. Pietro e Paolo Apostoli


Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010


Anno A - 29 giugno – SS. Pietro e Paolo Apostoli

• Atti 12,1-11 • 2 Timoteo 4,6-8.17-18 • Matteo 16,13-19

L'ABBRACCIO DI PIETRO E PAOLO

La solennità odierna riunisce in un'unica celebrazione Pietro - il primo discepolo chiamato da Gesù secondo i vangeli sinottici, la «roccia» della chiesa - e Paolo, che non fu discepolo di Gesù, né fece parte del gruppo dei Dodici, ma che è stato chiamato l'«Apostolo», il missionario per eccellenza. Gli scritti del Nuovo Testamento non raccontano la loro fine, ma un'antica tradizione li vuole martiri, nella medesima città, Roma, e nello stesso giorno: due vite offerte in sacrificio a causa di Gesù e del Vangelo. I due apostoli sono così accomunati nella celebrazione liturgica, dopo che le loro vicende terrene li hanno visti anche opporsi l'uno all'altro (cfr. Gal 2,11-14): una comunione vissuta nella parresia evangelica e proprio per questo non sempre facile.

Simon Pietro era un pescatore di Betsaida di Galilea, un uomo che viveva la propria fede soprattutto grazie al culto sinagogale del sabato e poi, dopo la chiamata di Gesù, attraverso l'insegnamento di quel maestro che parlava come nessun altro prima di lui. Sempre vicino a Gesù, a volte appare come portavoce degli altri discepoli, in mezzo ai quali occupava una posizione preminente: non si potrebbe parlare delle vicende di Gesù senza menzionare Pietro, che per primo osò confessare la fede in Gesù quale Messia. I discepoli, come molti tra la folla, si chiedevano se Gesù fosse un profeta o addirittura «il» profeta degli ultimi tempi (cfr. Gv 6,14; 7,40), o se fosse il Cristo, il Messia: fu Pietro che fece una confessione di fede con parole che attestano la sua priorità nel riconoscere l'identità di Gesù. Egli fece tale confessione mosso da una forza interiore, da una rivelazione che gli poteva venire solo da Dio. Credere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, non era possibile solo interpretando il compimento delle Scritture: è stato Dio stesso a rivelare a Pietro l'identità di Gesù, il quale, di conseguenza, ha riconosciuto in Simone una pietra sulla cui fede poteva trovare fondamento la chiesa.

Pietro, definito «beato» da Gesù, non sarà però esente da infedeltà al suo Signore. Subito dopo la confessione di fede appena citata, manifesterà il suo pensiero troppo mondano riguardo al cammino di passione di Gesù, al punto che questi si vedrà costretto a chiamarlo «Satana» (Mt 16,23), e alla fine della vicenda terrena di Gesù, Pietro per ben tre volte dichiarerà di non averlo mai conosciuto (cfr. Mt 26,69-75): paura e volontà di salvare se stesso lo porteranno ad affermare di «non conoscere» quel Gesù la cui conoscenza aveva ricevuto addirittura da Dio! Gesù, che lo aveva assicurato della preghiera affinché non venisse meno la sua fede (cfr. Lc 22,32), dopo la resurrezione lo riconfermerà al suo posto, chiedendogli però per tre volte di attestargli il suo amore: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?» (Gv 21,15.16.17). Punto sul vivo da questa domanda, Pietro diverrà l'apostolo di Gesù, il pastore delle sue pecore prima a Gerusalemme, poi presso le comunità giudaiche della Palestina, poi ad Antiochia e infine a Roma, dove deporrà la vita sull'esempio del suo Signore e Maestro. E a Roma Pietro ritroverà Paolo: non sappiamo se nel quotidiano della testimonianza cristiana, ma certamente nel segno grande del martirio.

Paolo è l'apostolo differente, posto accanto a Pietro nella sua alterità, quasi a garantire fin dai primi passi che la chiesa è sempre plurale e si nutre di diversità. Giudeo della diaspora, originario di Tarso, salito a Gerusalemme per diventare scriba e rabbi al seguito di Gamaliele, uno dei più famosi maestri della tradizione rabbinica, Paolo era un fariseo, esperto e zelante della Legge di Mosè, che non conobbe né Gesù né i suoi primi discepoli, ma che si distinse nella persecuzione verso il nascente movimento cristiano. Sulla via di Damasco, però, avvenne anche per Paolo l'incontro con Gesù risorto, la conversione e la rivelazione: come confessa lo stesso Paolo, «la grazia si è compiaciuta di rivelare in me il Figlio di Dio» (Gal 1,15-16).

Paolo si definisce un «aborto» (1Cor 15,8) rispetto agli altri apostoli che avevano visto il Signore risorto, ma chiede di essere considerato come inviato di Gesù Cristo al pari di loro, perché ha messo la sua vita a servizio del Vangelo, si è fatto imitatore di Cristo anche nelle sofferenze, si è prodigato in viaggi apostolici in tutto il Mediterraneo. La sua passione, la sua intelligenza, il suo impegno ad annunciare il Signore Gesù traspaiono da tutte le sue lettere e anche gli Atti degli Apostoli ne danno testimonianza. È lui «l'apostolo delle genti» (Rm 11,13), come Pietro è «l'apostolo dei circoncisi» (Gal 2,8).

Pietro e Paolo, entrambi apostoli di Cristo, eppure così diversi: Pietro un povero pescatore, Paolo un rigoroso intellettuale; Pietro un giudeo palestinese di un oscuro villaggio, Paolo un ebreo della diaspora e cittadino romano; Pietro lento a capire e a operare di conseguenza, Paolo consumato dall'urgenza escatologica... Sono stati apostoli con due stili differenti, hanno vissuto la chiesa in un modo a volte dialettico se non contrapposto, ma entrambi hanno cercato di seguire il Signore e la sua volontà e insieme, proprio grazie alle loro diversità, hanno saputo dare un volto alla missione cristiana e un fondamento alla chiesa di Roma che presiede nella carità. Ecco perché l'iconografia li rappresenta stretti in un abbraccio oppure mentre sostengono l'unica chiesa che insieme hanno contribuito a edificare: una sinfonia che è memoria e profezia dell'unica comunione ecclesiale in cui Pietro deve abbracciare Paolo e Paolo deve abbracciare Pietro.



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