Maria SS. Madre di Dio


ANNO B - 1° gennaio 2015
Maria SS. Madre di Dio

Num 6,22-27
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21
(Visualizza i brani delle Letture)


SILENZIO E STUPORE
DI FRONTE AL MISTERO

La festa più grande di Maria è questa che celebra la sua maternità. A Efeso, pure fra le rovine si ha l'impressione di rivivere ancora la notte illuminata dalle fiaccole che il popolo felice accese per accompagnare i padri conciliari nello loro case dopo aver proclamato, accogliendo la fede diffusa fra tutto il popolo cristiano, che Maria era la Madre di Dio. La prima lettura di questa solennità contiene la benedizione sacerdotale, esempio di testo destinato a essere imparato a memoria, come era normale per parole che si usavano quotidianamente nella preghiera liturgica. L'effetto di queste parole è di far sentire in chi le ascolta la presenza di Dio, che è custode, che avvolge di luce l'esistenza, che desidera che non manchi nulla. È questo il senso profondo della parola shalom, applicato alla vita di chi fa parte del popolo di Dio.

All'inizio dell'anno è particolarmente bella questa benedizione che è rivolta al popolo di Dio, ha il sapore di un abbraccio che incoraggia e rassicura. E spinge, mentre un nuovo tempo si apre di fronte a ognuno, ad affidarsi perché non manchi il bene, non prevalga il buio, e si possa vivere in pace, cioè avere tutto quello che serve per affrontare gli eventi di ogni giorno. Maria rende comprensibile questa benedizione rivolta a tutti, perché la Madre di Dio mostra che si può abbracciare ed essere abbracciati da Dio; perché tutti, quando sentono il bisogno di un po' di coraggio in più, di un po' di consolazione in più, sanno affidarsi alla sua preghiera, perché non manchi nulla, perché si possa camminare sentendosi figli di Dio. Quando uno prende coscienza che la sua relazione con Dio è quella di un figlio con un padre, allora impara a fidarsi; ma non è una relazione scontata, non è condizione normale, i cristiani lo hanno appreso da Gesù.
Anzi l'apostolo Paolo dice che lo scopo dell'incarnazione è il passaggio dalla condizione di schiavi a quella di figli. Il punto di partenza è quello della condizione di schiavo, il prezzo del riscatto è quello dell'incarnazione, che produce non solo la libertà, ma anche l'adozione a figlio. La condizione di figlio non è solo un fatto oggettivo, ma anche un'esperienza per cui l'uomo non pensa più a Dio come a un essere distante e confuso, ma lo riconosce come padre, anzi, nell'affettuosa designazione di papà. In tutto questo Maria è la donna della pienezza del tempo; per il suo sì, Dio si accosta in modo così vertiginoso all'uomo, per la sua maternità si apre all'uomo la strada che lo conduce a essere figlio di Dio. Dire che Dio è padre è scontato per ogni cristiano, per chiunque ha qualche vaga nozione di catechismo. Chiamarlo papà è molto meno comune, perché è possibile quando si lascia operare Cristo nella propria vita; quando si riconosce alla sua Parola il diritto di suggerire la strada. Chiamare Dio papà, significa smettere di vivere la vita con la responsabilità limitata di chi deve svolgere un compito deciso da qualcun altro, senza necessariamente credere in quello che si fa, per iniziare a vivere come un figlio, libero e responsabile.
Paolo mostra nella preghiera uno dei luoghi della figliolanza, probabilmente perché l'intende come dialogo di libertà e responsabilità. Chiamare papà il creatore del mondo mette chi lo fa nella condizione di sentirsi responsabile del mondo e dà tutta la misura della fiducia di Dio verso l'umanità. Il vangelo di Luca è una miniera di immagini, ampiamente sfruttata dagli artisti di ogni tempo. La pagina evangelica di oggi, dopo aver descritto quello che vedono i pastori, riferisce le loro parole e si centra su Maria silenziosa, mentre gli altri attorno a lei sono stupiti e i pastori tornano alloro lavoro.
La narrazione è giocata sul contrasto fra il silenzio di Maria, di Giuseppe e del piccolo Gesù, e la notizia delle parole dei pastori, che sono riferite per il loro contenuto, ma che il lettore non ascolta e deve ricostruire richiamando alla mente quelle degli angeli. Angeli e pastori sono la colonna sonora di questa scena in cui noi siamo gli spettatori che contribuiscono al tutto con lo stupore, cioè, con la fede.

Fra i tanti elementi che colpiscono possono esserne sottolineati due, il primo riguarda il silenzio di Maria, descritto come un silenzio che ascolta e custodisce. Un silenzio accettato, che cerca il senso di quello che sta accadendo. Gli angeli e i pastori sono i messaggeri di Dio a Maria, un aiuto a comprendere. Dio non lascia mai soli quelli che hanno fiducia in lui, non mancano mai angeli e pastori, mandati per far capire e sostenere. È una questione di capacità di ascolto, di una ricerca attenta e appassionata di ogni Parola che possa illuminare il sentiero. Maria, che ha bisogno di capire, è vicina a ogni uomo e donna di questo mondo che chiedono di capire.
L'altro elemento è quello dello stupore, cioè quello della fede. Si può essere protagonisti della scena di Betlemme partecipandovi con la fede; non come spettatori che restano a vedere una scena che non li riguarda, m~ come i destinatari di tutto quello che sta accadendo. E per chi vede e crede che quel bambino è nato, è per chi guarda e crede che le parole dei pastori sono state scritte. Chi vede e ascolta impara da Maria a vedere e ascoltare, facendo tesoro di ogni parola e domandandosi che cosa significhi per la propria vita. Si impara a diventare custodi di senso, laddove spesso si è solo cercatori non sempre fortunati di fatti e parole significative.

VITA PASTORALE N. 11/2014
(commento di Luigi Vari, biblista)

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