Natale del Signore (Messa del giorno)


ANNO B - 25 dicembre 2014
Natale del Signore (Messa del giorno)

Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
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ESSERE CASA
ACCOGLIENTE

Straordinaria poesia è quella di Isaia, che nella prima lettura riferendosi al ritorno degli esuli nella città santa, scrive queste parole che nel giorno di Natale servono soprattutto a invitare a una gioia contagiosa. Chi può apprezzare il testo originale, trova qui tutto il vocabolario del ritorno e della salvezza. La scena di un messaggero, bello perché porta la notizia più bella di tutte, quella della fine dell'esilio, espressa nell'unica frase: «Regna il tuo Dio». Le sentinelle che stanno aspettando solo questo annuncio iniziano a gridare tutte insieme, mentre vedono le avanguardie di coloro che ritornano profilarsi all'orizzonte.

Le sentinelle corrono per le strade e il grido di gioia si diffonde alle persone, ma anche alle cose, anche alle rovine che fanno da coro al canto. Tutto ricomincia, perché il Signore regna. Essere sentinelle che scrutano l'orizzonte in attesa che avvenga qualcosa da segnalare, una novità che renda significativa la guardia, è una descrizione della vita del credente che molti condividerebbero. Per molti la vita cristiana è una riedizione continua del Deserto dei Tartari: si vive nell'attesa della rivelazione di Dio, alla ricerca della sua presenza, più per dovere che per altro. È meno comune sentirsi nel ruolo di sentinelle che, invece, segnalano la presenza forte di Dio nella vita del mondo; più difficile fare della propria vita un annuncio di gioia contagiosa, che non è solo un sentimento intimo e personale, ma un canto che fa diventare coro pure le situazioni più rovinate. Dio è presente, è avvolto in fasce in una mangiatoia.
L'autore della lettera agli Ebrei svolge con le parole del prologo il ruolo della sentinella che passa dalla scansione del tempo dell'attesa alla gioia della fine della veglia. In pochi versetti, densi di citazioni, e di riferimenti all'attesa del Messia, dice che l'attesa è finita e che tutte le promesse si sono realizzate nel Figlio. L'ultima frase della lettura, che si legge nel giorno di Natale, è come un rito di presentazione, in cui il Padre accompagna il Figlio a prendere possesso del suo Regno e chiede a tutti i suoi angeli di adorarlo, e cioè di riconoscerlo Dio, come del resto è evidente dalla lettura dell'intero brano della lettera, di cui qui sono presenti solo alcuni versetti. Con queste parole l'autore vuole dire quello che è decisivo per ogni generazione di cristiani, che cioè Cristo è il Figlio di Dio, è Dio. Ogni persona che cerca un fondamento per la sua esistenza, una luce per illuminare il suo orizzonte, comprende che questo è più di un desiderio, di un sogno di una fantasiosa età dell'oro; riceve la notizia che quello che cerca e desidera ha il volto e il nome di Cristo, del Figlio di Dio. Ognuno che desidera una vita significativa, un'esistenza fondata e non provvisoria, sa che tutto quello che gli serve ha un nome e un volto, quelli di Cristo, del Figlio di Dio.
La celebrazione del Natale custodisce come una gemma preziosa la lettura del prologo del vangelo di Giovanni, che ha tra gli effetti sicuri, quello di avvolgere i convenuti alla messa del giorno di Natale, nell'atmosfera del grande mistero che si celebra, al di là della comprensione immediata di un brano di non facile lettura, per le sue caratteristiche particolari che lo fanno definire di volta in volta, maestoso portale del vangelo di Giovanni, straordinario poema teologico. Scorrendo gli studi esegetici, già solo decidere la divisione del prologo, o l'approccio migliore, o la lettura che rispetti meglio le regole della lirica o la progressione teologica, è impresa non leggera. La lettura di questo brano è come una poesia che culmina nello stupore contenuto nelle parole: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare insieme a noi!» anche se non unica, è quella che meglio si addice alla celebrazione della liturgia odierna.
Di fronte a quel bambino, la domanda su chi sia veramente diventa una confessione di fede, che lo riconosce come Dio, il Logos, la Parola che dà fondamento e significato al mondo e alla storia. Tu sei Dio! Questa è la scoperta stupita di tutti quelli che si accostano a quel piccolo bambino. Lo ripete ogni credente, facendo coro con Maria che lo stringe al seno, con Giuseppe che lo custodisce con fiducia e forza, con i pastori che vedono brillare la notte, con gli angeli che riempiono di gioia il silenzio. Giovanni non racconta la nascita straordinaria di Gesù, ma la rende presente nel rapimento delle parole che raccontano come Gesù sia la sapienza di Dio, la luce, la via aperta perché le esistenze provvisorie diventino esistenze da figli di Dio.

Una delle grandi solitudini che l'umanità vive è quella che nasce dalla conclusione che Dio non c'è o, se c'è, non c'entra niente con la vita, spesso costellata da fragilità e delusioni. Guardare il bambino Gesù e scoprire che lui è Dio che c'entra con la vita di ogni giorno, che non si allontana dalla debolezza (si è fatto carne, sarx), dalla durezza delle esperienze che ogni persona fa, è straordinario. Non si tratta solo di solidarietà, ma Giovanni dice che Dio entra nella vita delle persone per illuminare le tenebre che avvolgono ognuno che fa esperienza della durezza e incomprensibilità dell'esistenza. Dio entra nella vita di ognuno per tracciare la strada che serve a uscire dalla condizione di provvisorietà e fragilità. Giovanni non parla della nascita di Gesù, ma del suo significato, forse perché lascia a ogni discepolo il compito di essere casa accogliente per il Verbo.

VITA PASTORALE N. 11/2014
(commento di Luigi Vari, biblista)

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