VI Domenica di Pasqua (B)


ANNO B - 10 maggio 2015
VI Domenica di Pasqua

At 10,25-26.34-35.44-48
1Gv 4,7-10
Gv 15,9-17
(Visualizza i brani delle Letture)


METTERE IN GIOCO
LA VITA DEGLI ALTRI

Protagonisti degli Atti, si sa, non sono i personaggi che volta per volta sono in primo piano nel racconto; del resto se questo libro fosse la raccolta di gesta eroiche, riguarderebbe poco chi lo legge, che maturerebbe solo la sensazione di inadeguatezza, alibi sempre disponibile per ogni mediocrità. Il brano proposto oggi è uno di quelli che raccontano come lo Spirito sia protagonista della vita della Chiesa. Si apre con l'ingresso di Pietro in casa di Cornelio, scelta difficile, ma fatta perché spinto dallo Spirito. Le prime parole che Pietro dice sono il racconto di una scoperta, che cioè Dio non fa preferenza di persone, che detto da un membro del popolo eletto, non è affatto un'affermazione scontata.
Lo Spirito, protagonista di queste pagine, quasi toglie la parola a Pietro e scende su quelli che lo stavano ascoltando. La straordinarietà dell'evento è sottolineata dallo stupore dei cristiani provenienti dal popolo eletto. Lo stupore, però, è una reazione che si riserva a una manifestazione di Dio, e quindi il loro stupore funziona come un coro che manifesta l'azione dello Spirito che, ripete il testo, non fa distinzione di persone perché scende anche sui pagani. Le parole conclusive di Pietro sono come il manifesto della missione della Chiesa, chiamata a scoprire l'azione dello Spirito e a non impedirla.
La domanda: «Chi può impedire?» resta nel cuore di chi legge questo racconto. La frase: «lo sono un uomo come te» e la domanda su chi possa impedire l'azione dello Spirito sono i poli di questo racconto, che rende la comunità dei discepoli del Risorto più simile a una barca spinta dal vento che a una roccia senza incrinature di nessun tipo. Lo Spirito agisce nella comunità dei credenti chiamandola a non sostituirsi a Dio e stupendola agendo nel cuore della vita di ognuno, la spinge a non sentirsi padrona di nulla, certamente non dello Spirito.

Giovanni nella sua prima lettera continua a parlare dell'esistenza cristiana, proponendo una successione particolare fra conoscenza e vita, dove la vita ha più valore della conoscenza nel senso che il vivere racconta quello che si è capito di Dio. Se si capisce Dio, allora si capisce che lui è amore e si manifesta la propria conoscenza amando. L'amore di cui parla Giovanni non si può ridurre a un sentimento qualsiasi, è imitazione di quello di Dio, che ha amato per primo, ha amato donando il Figlio e accettando quello che nessun padre vuole per il proprio figlio, la croce e la morte. Riconoscere quell'amore e testimoniarlo amando, facendo credito agli altri, ritenendoli degni del dono della propria vita, è il segno che si conosce Dio. La domanda "Chi me lo fa fare?", popola la vita di molti cristiani e persino di persone che hanno consacrato la vita. Quando questa domanda si affaccia alla mente può essere anche giustificata da esperienze concrete di delusione.
Giovanni, più che consolare e spiegare quanto capisca e sia vicino, spinge a conoscere di più Dio, chiedendo di amare come ama Dio. Tu ama come ama Dio e conoscerai meglio, capirai che chi ti spinge ad agire è l'Amore stesso. E il comandamento dell'amore a fare da protagonista nel vangelo di Giovanni; il brano di questa domenica segue la similitudine della vite e i tralci. Gesù parla del suo amore riferendosi (c'è un uso particolare dell'aoristo) non solo a un momento particolare, ma a tutta la sua esistenza come amore.
La chiave di lettura dell'opera di Cristo è l'amore, deve essere anche la chiave di lettura di quella del cristiano che deve rimanere in quell'amore (il mio). Un'unità, che non è solo psicologica, un rimanere, che è più di un sentimento, e leggibile nell'osservanza dei comandamenti. L'unità di misura della relazione fra cristiano e Cristo è quella fra il Figlio e il Padre. Dopo aver sottolineato, come in un inciso, che frutto dell'unità fra il discepolo e Cristo è la gioia; si dà il comandamento dell'amore. Qualche commentatore definisce queste parole come una cantata dell'amore; Cristo ama i suoi e questi dimostrano di essere amati amandosi.

L'amore è definito come dare la vita per i propri amici, questa è la misura di Cristo, che ci tratta da amici e ci chiama a scegliere la sua stessa misura o almeno a desiderarla. Amici di Cristo sono quelli che conoscono il suo disegno, lo condividono e vogliono realizzarlo. Gli amici di Dio sono Abramo, Mosè, e tutti noi. Amici di Cristo perché scelti per dare frutto; sono molte le ipotesi per spiegare la natura di questo frutto, fra le tante c'è certamente anche quella che vede nel frutto il risultato dell'amore reciproco fra i discepoli, cioè la diffusione dell'opera di Cristo, l'evangelizzazione.
Fra tutte le cose meravigliose che possono essere dette e sono state dette di questa "cantata dell'amore", è forse attuale quella suggerita dalle righe in cui si parla del cristiano come di un amico di Cristo, che non si limita a fare le cose bene, a credere e a fidarsi delle sue parole, anche se questo è già molto. L'amico è quello che condivide i pensieri, le imprese, anche quelle più difficili e non immediatamente chiare. Il Vangelo ha bisogno di amici, di persone che amano ogni parola e sentono di poter mettere la propria vita nelle mani di quelle parole, che chiedono di condividere l'amore che Dio ha verso tutti gli uomini.

VITA PASTORALE N. 4/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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