Pentecoste (B)


ANNO B - 24 maggio 2015
Pentecoste

At 2,1-11
Gal 5,16-25
Gv 15,26-27;16,12-15
(Visualizza i brani delle Letture)


IL DONO DELLO SPIRITO
FA NASCERE LA CHIESA

Il collegamento tra la festa ebraica della Pentecoste e la discesa dello Spirito Santo ha una sua importanza se si pensa che gli Ebrei celebravano con la Pentecoste la nascita al Sinai del popolo che, ricevendo la Legge, passa da essere non popolo a popolo di Dio. Un nuovo popolo nasce con il dono dello Spirito Santo. Oltre questa suggestione è importante sottolineare come Luca vuole dare dei riferimenti temporali precisi agli eventi, perché inserirli in un tempo preciso rende concreti gli eventi stessi e dà significato al tempo, che diventa tempo di salvezza. I segni della Pentecoste sono tutti orientati a manifestare la presenza di Dio: fuoco, vento e terremoto, anche scenograficamente si riproduce l'esperienza del Sinai.
Cambiano i destinatari della manifestazione di Dio, non sono più quelli che, usciti dall'Egitto, vanno in cerca di una terra dove stare, ma sono tutti gli uomini, descritti in una specie di Atlante, dati per presenti a Gerusalemme. Tutte le promesse, la storia e le profezie, si fondono in questo racconto della Pentecoste che vede nascere un popolo nuovo, senza confini. Questo popolo di popoli ha una caratteristica, tutti capiscono la stessa lingua (la fine di Babele), è la lingua che narra di Dio, che parla delle sue opere.
Un popolo di persone che parla e comprende la lingua di Dio è un sogno e un impegno. Un sogno soprattutto oggi che molti pensano di parlarla per seminare divisione, odio e violenza. È anche un impegno perché molti non la parlano più o non pensano di farlo, e quelli cui lo Spirito si è manifestato, che hanno fatto esperienza del fuoco e del vento di Dio, che hanno sentito il terremoto della sua presenza, non possono stare per conto loro, impauriti e timidi senza desiderare di scappare fuori a parlare, facendosi capire da tutti non per una loro improvvisa bravura, ma per la potenza di Dio. Chi ha conosciuto il perdono, l'amore, la fede, la speranza e non li racconta viene meno all'impegno della Pentecoste.

La lingua di Dio ce la spiega Paolo in uno dei brani più belli delle sue lettere. Nella lettera ai Galati parlando dei doni dello Spirito, suggerisce il vocabolario di Dio; che sintetizza nella parola frutto, per dire che la presenza di Dio nella vita di una persona non si confina nelle idee o, peggio, nelle ideologie, ma, come il giusto del salmo 1, nella capacità di dare frutti in ogni tempo e condizione. L'uomo che si lascia guidare dallo Spirito ha un passo imprevedibile e straordinario. A leggerle pienamente, le parole dell'Apostolo fanno intravvedere un popolo di persone che raccontano una storia di libertà e di fiducia; che resistono alla retorica del male e della disperazione, mostrando di credere che Dio è in loro e che ognuno può coglierlo nella loro vita. Chi fa parte di questo popolo sceglie di avere come legge l'amore, come regola quella di non rattristare l'altro, desidera la gioia degli altri, li aiuta a portare il peso della vita e delle loro fragilità; chi fa parte di questo popolo è un uomo buono. Quanti pur non corrispondendo a criteri di appartenenza definiti, di cultura e religione diverse, corrispondono a questi frutti fanno parte di questo popolo; questo non porta a relativizzare l'azione di Gesù, ma a vedere come essa sia efficace.
Se il mondo con tutte le sue difficoltà, è migliore di quello che era; se la dignità dell'altro, il suo benessere, la pace e il rispetto sono parole sempre più diffuse è perché sempre più persone parlano la lingua di Dio, desiderano fare qualcosa di buono. Questo è il segno dello Spirito del Risorto che soffia e non sai da dove viene e dove va; non si capisce la provenienza e la direzione perché lì dove pare impossibile che lo faccia, soffia. Cogliere la sua presenza ovunque si produce uno dei frutti che Paolo indica. Accade che, nonostante i tanti progressi della teologia e della vita cristiana, lo Spirito sia sempre un po' sconosciuto; è veramente l'ospite discreto che quasi non ci si accorge di avere in casa.

L'evangelista Giovanni descrive l' azione dello Spirito, la rende percepibile. Gesù, dopo aver detto che lo Spirito è il dono che fa ai suoi discepoli, dice che è dato per dare testimonianza a Gesù stesso. La testimonianza dello Spirito si unisce a quella dei discepoli; di loro diventa un collaboratore per l'annuncio del Vangelo. Cristo si affida a questi due testimoni per la permanenza della sua Parola nel mondo. I discepoli collaborano con lo Spirito, suggerisce Origene, dandogli voce. Fare della propria vita una testimonianza di Cristo apre a orizzonti e conseguenze che danno il senso della vertigine.
Lo Spirito è una guida sicura che svela il sentiero passo dopo passo, rivelando man mano panorami diversi e inattesi, aiutando il discepolo a vedere le cose con gli occhi di Dio. Nell'immagine dello Spirito che trasmette ai discepoli quello che è di Cristo, si può comprendere come ogni generazione aumenta la consapevolezza del Vangelo, scopre, vivendo, contenuti sempre sorprendenti. Ogni cristiano è coinvolto in questa catena di rivelazione e di gloria. Siamo voce dello Spirito, suoi portavoce; con la coscienza di essere molto di più di ripetitori passivi ma collaboratori; con la consapevolezza che prestare voce allo Spirito, significa dare il proprio contributo perché il cammino dell'uomo possa essere sempre un po' più un cammino di gloria.

VITA PASTORALE N. 4/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

--------------------
torna su
torna all'indice
home