IV Domenica di Quaresima (B)




ANNO B - 15 marzo 2015
IV Domenica di Quaresima

2Cr 36,14-16.19-23
Ef 2,4-10
Gv 3,14-21
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IL CAMMINO DELLA VITA

L'esilio è il centro del racconto del cronista, che legge in chiave religiosa questo vento traumatico della storia del popolo. La distruzione e il comando della ricostruzione del tempio sono i poli del brano odierno; ma anche i poli della storia. Se la distruzione è causata dalle infedeltà del popolo, che costringe Dio ad abbandonarlo alle conseguenze delle proprie azioni, la ricostruzione non sarà possibile senza quel popolo, che nella sofferenza dell'esilio e nelle notizie della desolazione della patria, ritrova l'orientamento, l'energia e la voglia di ricostruire. Il popolo che risale a Gerusalemme non è definito per la sua appartenenza anagrafica, ma per il desiderio di salire di nuovo alla libertà e ricostruire il tempio a Gerusalemme, di ritrovare la terra e di ritrovare Dio.
Per la Bibbia, leggere la storia con gli occhi di Dio significa rinunciare al fatalismo per cui le cose avvengono senza perché, e alla disperazione, per cui al fallimento non c'è soluzione. Trovare un perché a quello che accade non è alimentare il senso di colpa, quanto piuttosto educarsi alla responsabilità e imparare a vivere le conseguenze delle proprie azioni e a ritrovare l'energia per ricominciare a ricostruire. Ricominciare e restare disposti a farlo è il segno del credente. L'energia per cercare le strade per terminare la desolazione è il dono di Dio in chi ha fiducia in lui.

Nella lettera agli Efesini, l'Apostolo mette in campo due protagonisti, l'uomo e Dio, del primo si descrive la situazione di morte a causa delle colpe, di Dio si dice una serie di azioni che sono: ci ha amato; ci ha fatto rivivere; ci ha risuscitati; ci ha fatto sedere nei cieli. Come s'incontrano questi due mondi così opposti? Non per la forza dell'uomo, ma per la straordinaria ricchezza dell'amore di Dio, alla quale attingere fidandosi di lui. L'uomo non ha l'energia per il bene, ma il bene c'è e Dio mette chi si fida di lui sul sentiero per camminare nel bene. L'esistenza del male e del dolore sono l'argomento più forte per dubitare di Dio; la debolezza e inefficacia delle azioni umane per opporsi alle tante forme di male, sono l'argomento più forte per dubitare dell'uomo. In fondo, questa è la morte: dubitare di Dio e dell'uomo. Come uscire da questa prigione, che si sperimenta soffocante già dalla seconda notizia di qualunque telegiornale? È questo il Vangelo, la buona notizia: chi si fida di Cristo sente di poter percorrere la via del bene, anzi che quella è la via che Dio ha preparato per lui; ognuno sente il respiro di vita.

Il brano di Giovanni inizia con il tema dell'elevazione del Figlio dell'uomo, paragonato al serpente di bronzo innalzato nel deserto, che porta a dare al momento della croce le caratteristiche della gloria, poiché con il paragone è associato alla vita. Cristo sulla croce dona la vita. Il tema introdotto dalla similitudine del serpente e tutto quello che si dice pone l'accento sulla fede, che è la strada per ottenere la vita eterna. È fede in Dio e nel suo amore per il mondo, che è tutto il genere umano, che ha bisogno di ritrovare la strada della vita. L'amore di Dio per il mondo si realizza con il dono del Figlio, tutta la vita di Cristo è un dono per l'uomo che cerca la vita. Chi non crede in questo, ritornano gli echi del prologo, si mette fuori da questa dinamica di vita.
La sommaria descrizione di un brano denso di significati e di teologia, fa nascere tante domande. La prima è su chi s'incontra sulla croce. Non uno sconfitto, ma un re glorioso, perché da lì dona la vita. La croce fa parte della vita di tutti, non solo di quella dei cristiani; nel viaggio di ogni uomo ci sono pezzi di deserto, pericolosi perché capaci di provocare la morte delle cose belle che si hanno nel cuore. Di serpenti velenosi ce ne sono tanti in ogni tempo e in ogni cultura. Sono il frutto della sfiducia o, come indica la Bibbia, delle mormorazioni.
Che cosa rende la croce agli occhi di un cristiano, diversa da quella di tutti e il deserto meno duro e pericoloso? In una parola, si può trasformare la via della croce in un cammino di gloria? Giovanni suggerisce che è una scelta di fiducia che realizza la trasformazione, fiducia in Dio che non condanna, ma ama; in Cristo, nelle sue parole, nella sua presenza e nella sua croce, come segno dell'amore di Dio. Soprattutto è forte l'insistenza sulla responsabilità personale, sulla propria decisione di alzare lo sguardo per non essere catturati dal deserto e dai pericoli che nasconde.

Il cammino di gloria è un cammino che si sceglie, che si vuole. Il cammino della gloria è presente in ogni persona che pensa alla sua vita come a un dono per far nascere altra vita, proprio come Gesù, che è dato perché tutti abbiano la vita. Il cammino della gloria non si fa mettere in discussione dalle diversità e dai fallimenti, perché nasce dal cuore di Dio che ha amato il mondo, anche quello fatto di uomini che non sentono nessun bisogno di quell'amore.
C'è un istinto di vita in chi percorre il cammino della gloria, che l'evangelista indica come amore per la luce. La luce degli inizi della creazione, quella di prima del sole, della luna e delle stelle; la luce stessa di Dio. Cercare la luce è crederla, la luce è di chi la crede. Le opere di cui l'evangelista parla sono proprio quelle della fede, è la fede stessa. Chi non si fida di Dio non lo raggiunge, non va da lui.

VITA PASTORALE N. 2/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)
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