IV Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 1° febbraio 2015
IV Domenica del Tempo ordinario

Dt 18,15-20
1Cor 7,32-35
Mc 1,21-28
(Visualizza i brani delle Letture)


IL DOVERE DI ARGINARE
E SCONFIGGERE IL MALE

Il brano del Deuteronomio è eccezionale, perché rende la presenza della parola di Dio nel popolo un fatto istituzionale, nel senso che la Parola deve essere necessariamente presente. L'istituzionalizzazione della Parola avviene con la nascita del ruolo del profeta, dopo che poco prima si era parlato del re e dei giudici.
Si comprende come questo passaggio possa essere pericoloso, così che immediatamente ci si preoccupa di garantirlo dai possibili pericoli. Il primo è quello dell'irrilevanza, infatti, chi difende un profeta? Se uno non ascolta la parola di Dio, che succede? La risposta è aperta, ma sostenuta dall'assicurazione che Dio resta dietro la sua Parola e chiederà conto a chi non la riconosce. Il secondo motivo è quello della strumentalizzazione, cioè il profeta, approfittando del suo ruolo e della sua autorità, si mette al servizio di altri e non di Dio.
Dio ha cura della sua Parola, cioè vuole restare in dialogo con il suo popolo e per garantirsi questo si affida a persone che possono essere non all'altezza e si mette in una condizione di debolezza, perché in un dialogo sincero non si può costringere nessuno ad accogliere una verità. La debolezza della Parola spesso scandalizza, la sua istituzionalizzazione qualcuno la legge come tradimento; pure sono il segno del desiderio di Dio di parlare con l'uomo.

La seconda lettura è un brano di Paolo di difficile interpretazione, perché risponde a una posizione ideologica di alcuni Corinzi che disprezzavano il matrimonio ed è interpretata spesso ideologicamente. Una soluzione può essere suggerita dalla ripetizione del verbo "preoccuparsi", o, più letteralmente, essere ansiosi, che compare nel ragionamento di Paolo. Paolo, quando parla di matrimonio, lo associa alla santità, quindi non si tratta di demonizzare una relazione, quella con il marito o la moglie, per esaltarne un'altra; ma di dire che un cristiano mostra la sua appartenenza a Cristo vivendo relazioni sane con Dio, dove l'ansia non ha senso perché la relazione con lui è un dono che si accoglie; con gli altri, perché nelle relazioni si trasmette la tranquillità che nasce dalla consapevolezza di piacere a Dio. Tutto sta nel non mettere in competizione Dio e gli altri, anzi, di più, l'altro con cui si condivide la vita.
Quello delle preoccupazioni che impediscono, anche ai celibi, di essere in pace con Dio, è un ritornello soprattutto presente oggi quando tutti hanno tanto da fare; ansia e stress sono presenti anche nei bambini. Paolo suggerisce che piuttosto che accettarli come condizioni che portano inevitabilmente a delle "riduzioni", potrebbero essere messi in crisi come sintomi di un modo discutibile di impostare la vita.
Gesù nella sinagoga di Cafarnao inizia una lunga giornata, parlando dal punto di vista della relazione, che permetterà a quelli che stanno con lui di conoscerlo sempre meglio e di cominciare a comprendere qualcosa della sua identità. Il brano si apre con un riferimento all'attività di insegnamento di Gesù, l'imperfetto dice che non ci si riferisce a qualcosa di preciso, ma a un'attività abituale. La reazione delle persone di stupore per le sue parole, che viene riferita anche alla fine del brano in maniera ancora più solenne e diretta, travalica la situazione raccontata, ma appare come una sottolineatura dell'evangelista riferita a tutta l'attività di Gesù, che insegna cose nuove e con autorità. Il motivo di questo stupore è il collegamento fra le parole che Gesù dice e la conseguenza di quell'insegnamento, che è quella di mettere un limite al male, si impone ad esso. La fama che si diffonde è un'iperbole che conferma !'intenzione di Marco di presentare Gesù come la straordinaria novità del tempo nuovo in cui il male è sconfitto.
Al centro di tutto il racconto dell' esorcismo, che colpisce perché Gesù sta in silenzio e fa tutto il demonio che reagisce alla presenza del santo di Dio e riconosce che con Gesù di Nazaret inizia la sua rovina e marca la sua estraneità con lui. Il comando di Gesù termina lo scontro. La reazione di timore indica che i presenti si rendono conto che c'è qualcosa di straordinario in atto, che li intimidisce al punto che parlottano fra loro. Si avrà modo di approfondire molti aspetti del vangelo di Marco, si deve notare che nel tratteggiare la figura di Gesù, la scena, descritta in maniera drammatica, marca !'incompatibilità fra Gesù e il male.

C'è un'esplosione di un conflitto che fa riflettere sull'impossibilità di qualunque compromesso, dove è presente Gesù non può esserci il male. L'attenzione del lettore è catturata da questo uomo posseduto da uno spirito impuro che grida. Un male descritto non come un pensiero, un punto di vista, ma come una forza che possiede e che fa chiasso, che reagisce con violenza.
C'è un tentativo di intimidire Gesù, lo stesso che riguarda ogni cristiano che decide di reagire al male; il male spiazza chiunque perché non rispetta nessuno, non si fa problemi di dignità della persona e di libertà, ma possiede le persone; non cerca dialogo o un punto di incontro, ma fa chiasso, mette paura. Marco non vuole che si prenda sottogamba il male. Dice di prenderlo sul serio e mostra Gesù, che con autorità affronta il demonio; l'autorità della sua persona: è il santo di Dio, in lui c'è Dio. L'autorità della sua parola, che è un comando: taci, esci da lui. Parlare per togliere la parola al male, parlare per liberare chi ne è posseduto.

VITA PASTORALE N. 1/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

--------------------
torna su
torna all'indice
home