V Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 8 febbraio 2015
V Domenica del Tempo ordinario

Gb 7,1-4.6-7
1Cor 9,16-19.22-23
Mc 1,29-39
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LIBERATI DAL MALE
PER SERVIRE GLI ALTRI

Le parole di Giobbe sono rivolte a Dio e suonano come una chiamata in giudizio. Dopo aver pronunciato una delle frasi più celebri della Bibbia, che descrive la vita come una continua battaglia per superarne i vari stadi, riflette che, almeno ci sono delle piccole consolazioni tipo la sera che mette fine al lavoro dello schiavo, o la paga che rende tollerabile il mestiere del mercenario: Giobbe dice che a lui pure queste consolazioni elementari sono negate, oppure non bastano a un uomo. La descrizione così cupa trova uno spiraglio di speranza nell'invocazione a Dio: "ricordati", che è un'invocazione di esistenza. La soluzione è che Dio c'entri nella storia di Giobbe, che individua nella presenza di Dio l'unica via di uscita per la sofferenza; dire che Dio non guarda la sofferenza, è uguale a dire che Dio non esiste. La sofferenza mette in discussione l'uomo, ma di più Dio. La preghiera come sentiero da percorrere quando ci s'incontra con il dolore non è una via di fuga, ma è frutto di una sapienza profonda del cuore che ricorda che chi segue le tracce di Dio nella storia, le ritrova sulle strade della misericordia.

Continua la lettura della 1Corinzi con una riflessione sul ministero di annunciare il Vangelo. È sottolineata la relazione tra Paolo e il Vangelo, che non è di padronanza, ma si pone come risposta necessaria, un po' come vivere è la risposta necessaria al dono della vita; cioè il Vangelo si impone a Paolo come una necessità. Visto così, l'evangelizzare è una ricompensa. Meno male che lo può fare, altrimenti sarebbe come morto. Da qui le scelte che lui ha fatto. Bisogna fare riferimento allo straordinario sconvolgimento della sua vita, per misurare la grandezza delle sue rinunce e delle sue scelte. Qual è il suo desiderio, il sogno che lo sostiene e che gli permette di fare tutto quello che fa? Quello che anche altri possano sentire la forza del Vangelo, possano condividere la sua passione. È molto lontana l'idea di un Vangelo scontato, come una raccolta di insegnamenti, che sarebbe meglio ascoltare, ma non è possibile farlo. Far nascere la passione per il Vangelo non è lo stesso che farla nascere per una poesia; la passione nasce quando uno si accorge che il Vangelo è come il respiro, fa vivere. Il respiro c'è sempre, anche nei momenti negativi o fallimentari se uno respira vive; così è del Vangelo, è il respiro che fa trovare sempre, in qualunque condizione, il sentiero giusto e permette di fare cose straordinarie.
La guarigione della suocera di Pietro è un racconto che ha scomodato diversi studiosi di diverse discipline, perfino di psicoanalisi. È un racconto molto denso nel quale Marco sottolinea alcuni elementi, il primo è quello del ruolo dei presenti in casa della suocera, che gli parlano di lei; il secondo è dato dai gesti di Gesù, che si avvicina fino a prenderla per mano; il terzo elemento è il riferimento alla febbre come a un soggetto, che consapevolmente lascia la donna; il segno della guarigione è il servizio, descritto come una diaconia. Intanto si è fatta sera, si descrive l'attività di Gesù come taumaturgo, e si accenna all'imposizione del segreto. Passata la notte, Gesù è quasi costretto a riprendere la sua attività e il suo cammino, che riprende sottolineando l'altro aspetto della sua missione che è quello di predicare. Importante la presenza dei tre discepoli, che saranno sempre testimoni dei passaggi più significativi della vita di Gesù.
Un breve sommario conclude il brano. È un brano molto denso e non si possono seguire tutte le tracce che suggerisce, con riferimento alla prima lettura è importante la guarigione dalla febbre della suocera di Pietro. La febbre, anticamente più una malattia che un sintomo, è descritta come una realtà consapevole; il male attacca una persona con consapevolezza e la mette a terra; la donna è stesa. C'è un'impossibilità per lei di uscire da quella condizione, non ha energia sufficiente. Chi pensa di leggere in chiave psicologica il brano, vede in questa condizione il rifiuto della donna di accettare la scelta di Pietro, quindi un rifiuto nei confronti di Cristo. Conseguenza o causa, ci sono comunque condizioni della vita che non permettono alla fede di farsi strada.

Nulla potrebbe accadere di nuovo se Gesù non entrasse nella casa, se nessuno gli parlasse di lei, se non si avvicinasse e non la toccasse. Le parole dei discepoli sostituiscono la preghiera della donna malata, un'indicazione di come sia potente la preghiera che si fa per un altro che non è nemmeno capace di pregare per sé stesso. È la preghiera di questo tempo, affollato da persone atterrate da tante febbri, che tolgono l'energia, il pensiero del futuro, la speranza. Non c'è solo la preghiera per chiedere la liberazione dal male. C'è anche la mano di Gesù che si tende, che afferra la mano della donna e la rimette in piedi. Gesti silenziosi, perché non si esorcizza il dolore e il fallimento, la chiusura e il rifiuto con le parole, ma solo stendendo la mano. Se Gesù non avesse steso la mano, se nessuno stende le mani, le preghiere diventano denunce, analisi, poi parole, poi nulla. La liberazione dal male ha un segno: è per tutti. Tutti possono controllare se sono liberati o se sono imprigionati da qualche febbre. Il segno è quello del servizio. La donna si alzò e si mise a servirli. Il verbo all'imperfetto dice che quella fu una modalità di vita permanente, che possiamo verificare presente o assente nella nostra vita.

VITA PASTORALE N. 2/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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