XVIII Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 2 agosto 2015
XVIII Domenica del Tempo ordinario

Es 16,2-4.12-15
Ef 4,17.20-24
Gv 6,24-35
(Visualizza i brani delle Letture)


È GESÙ, CHE DÀ
LA VITA AL MONDO

La lettura dell'Esodo racconta il dono della manna nel deserto, il popolo mormora contro Mosè e contro Aronne per i disagi che deve affrontare nel suo cammino verso la terra promessa. Le parole del popolo sono definite come mormorazione non perché manifestano un disagio, ma perché negano la presenza di Dio nella vicenda che sta vivendo: sono Mosè e Aronne quelli che li hanno fatti uscire dall'Egitto e portati nel deserto.
Si nega che all'origine del cammino ci sia Dio. È lui, però, che risponde alla mormorazione del popolo con il dono del cibo. Quel dono è descritto anche come una prova per il popolo; infatti, se ne userà secondo le istruzioni, prendendo solo il necessario per ogni giorno, mostrerà, nei fatti, di avere in Dio quella fiducia, negata con le parole. Altrimenti, se il popolo si lascerà vincere dall'avidità e dall'ansia che fa accumulare, darà corpo alla mormorazione, mostrando di non fidarsi della guida di Dio. Il dono è abbondante, il popolo potrebbe usarne fino a saziarsi, fino a star male; ma la sazietà non è un bene per la Legge.
Un bel film, La ladra di libri, descrive uno dei personaggi come una donna vestita di tuoni, mentre la sua vita, messa alla prova, racconta tutt'altro, racconta tenerezza, amore e desiderio di bene. Non sono quelli che si vestono di tuoni, quelli che borbottano e si lamentano di tutto, a far preoccupare Dio. La mormorazione che tocca Dio è quella della vita, quella che nasce nel cuore di chi pensa che Dio non c'entri nulla con il cammino della vita, che tutto dipenda dalle scelte dì qualche capo o potenza di turno, se non dalla fortuna. Questa mormorazione è una disperazione che toglie la fiducia, che trasforma le persone in raccoglitori solitari di sicurezza, fino alla sazietà, fino a star male, senza perché. L'egoismo è la mormorazione della vita.

L'uomo che si affida a Dio e alla sua guida è l'uomo nuovo di cui parla Paolo nella lettera agli Efesini, che scongiura di non comportarsi più come i pagani. Del comportamento dei pagani si sottolinea l'aspetto della vanità dei pensieri, che non è solo fare pensieri vuoti, ma l'incapacità di conoscere la realtà; l'abilità a togliere significato e utilità ad ogni esperienza e conoscenza, a vanificare ogni cammino, a camminare nel nulla. Chi non coglie altra esistenza che la propria e non scorge nessun disegno nella creazione e nella vita, cammina, secondo l'Apostolo, nel nulla.
I cristiani di Efeso non possono vivere nel vuoto perché hanno conosciuto Cristo e non sono più costretti a vagare cercando continuamente qualche punto di riferimento nuovo, perché essi stessi sono nuovi. Nuovi perché sanno di essere creature di Dio inserite in un disegno che devono accogliere e realizzare. Il tema è di quale uomo si parli quando si parla di uomo; la buona notizia è che c'è un modo di essere uomini che si impara da Gesù Cristo. Che ci siano tanti modi per pensare all'uomo è normale, e che ognuno di questi modi tenti di imporsi è nella natura delle cose. Il discepolo di Gesù racconta che tipo di umanità impara da Cristo e lo racconta vivendo la sua vita non come una vana passeggiata che consuma corpo e mente, passando da un'illusione all'altra. L'attrazione del nulla è per ogni tempo e per ogni uomo; la consapevolezza dell'esistenza di Dio e della sua provvidenza è la novità per ogni uomo, in ogni tempo.

Di questa fame profonda dell'esistenza parla Gesù nella pagina del vangelo di Giovanni, che riporta una parte del discorso sul pane della vita. Le parole di Gesù si comprendono alla luce del racconto dell'Esodo, ascoltato nella prima lettura. L'ambientazione è quella di Cafarnao, il racconto è costruito per evidenziare la richiesta: Signore, dacci sempre questo pane! Richiesta che dà la possibilità a Gesù di indicare sé stesso come il pane della vita, e poiché chi lo mangia non solo non avrà più fame, ma non avrà nemmeno più sete, questo pane non è solo pane che sfama, ma anche bevanda che disseta. Il pane della vita è pane dal cielo, è il pane di Dio, è Gesù stesso, che dà la vita al mondo. Il lettore, prima di ogni altra considerazione, ricava la sensazione della pienezza del dono.
Se l'immagine di sfondo è quella del deserto dell'Esodo, l'evocazione del pane e dell'acqua fanno pensare che nel deserto non c'è bisogno di niente di più. Le parole di Gesù sono state preparate nei versetti precedenti quando ha parlato di un cibo che rimane per la vita eterna, dono del Figlio dell'uomo. Alla domanda su che cosa bisogna fare per avere questo cibo, Gesù risponde che bisogna compiere l'opera di Dio, che è credere in Gesù stesso come inviato del Padre. Il cibo di cui si parla bisogna desiderarlo, questa è una condizione necessaria, bisogna chiederlo a chi lo può dare, scoprendo che nessun uomo lo può dare, nemmeno Mosè, che ha ottenuto il dono della manna. Il pane di Dio, lo può dare solo Dio. Desiderare il pane di Dio non è qualcosa che riguarda soltanto alcune persone religiosamente molto sensibili, ma riguarda tutti.
Tutti vivono e fanno esperienza del pane che perisce, del coraggio che viene meno, delle parole pronunciate con amore che, però, a un certo punto del cammino perdono sostanza e restano imprigionate. Tutti, stanchi della provvisorietà, hanno desiderio del pane di Dio, che non perisce mai, che sostiene la vita, sempre.

VITA PASTORALE N. 6/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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