XIX Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 9 agosto 2015
XIX Domenica del Tempo ordinario

1Re 19,4-8
Ef 4,30-5,2
Gv 6,41-51
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I CRISTIANI, CUSTODI
DEL DONO DELLA VITA

Questo brano di 1Re si colloca subito dopo i fatti del Carmelo, che avevano visto il trionfo di Elia e che non avrebbero dovuto lasciare spazio a ulteriori discussioni; invece, Gezabele, per niente turbata dal racconto di Acab, vuole uccidere Elia. Lo scoraggiamento del profeta è comprensibile, riflette che non c'è proprio niente da fare. È la resa del profeta di fronte alla mancanza di logica degli eventi, di fronte all'assoluta incapacità di comprendere dei potenti. Il sonno è il modo più efficace per descrivere questa condizione psicologica del profeta. Il racconto riprende e chi legge ha l'impressione di ascoltare la voce dell'angelo che sveglia Elia e di sentire l'odore del pane e il sapore dell'acqua.
C'è un secondo sonno di Elia, un secondo intervento dell'angelo e un secondo pasto di Elia; la ripetizione nel racconto biblico non è quasi mai una ridondanza, funziona spesso come un evidenziatore. In questo caso l'effetto è di sottolineare come veramente Elia si sentisse abbandonato e come il Signore si impegni a confermargli la sua presenza. Le parole ripetute dall'angelo sono: "Alzati e mangia", la seconda volta con l'aggiunta "perché è troppo lungo per te il cammino". La meta del viaggio è l'Oreb, il Sinai, il luogo dell'alleanza con il popolo. Tornare all'alleanza è l'unica possibilità per continuare la missione. Dio è più comprensivo di fronte alla resa dell'uomo di quanto non lo siano gli uomini fra loro. Dio tiene conto della fragilità dell'uomo e la soccorre, molto più di quanto gli uomini sappiano fare tra loro.
Dio non fa prediche a Elia, non lo rimprovera perché si sente abbandonato, come dimentico che solo qualche giorno prima aveva avuto la prova della vicinanza e della potenza di Dio. Dio capisce che la violenza delle esperienze fa presto a coprire la sua presenza discreta. Dio non recrimina, ma cuoce il pane, prepara l'acqua e, se deve dire qualcosa, lo fa per incoraggiare. Lo so, sembra dire a Elia, che il cammino è lungo, lo so che Acab e Gezabele tolgono la voglia di fare e dire perché non vogliono vedere e sentire; però tu, alzati e mangia. La lettura eucaristica di questo brano fa parte della tradizione costante della Chiesa e va sottolineata.

Il brano di Efesini contiene una delle esortazioni più belle di Paolo, quella che invita a non rattristare lo Spirito Santo e a farsi imitatori di Dio. Rattristare lo Spirito Santo significa non vivere secondo l'uomo nuovo che è rinato nel battesimo. Lo Spirito Santo è gioia, la vita cristiana è un cammino verso la gioia; non viverla produce la tristezza. Subito dopo Paolo fa un elenco di comportamenti tristi cui oppone quelli di una vita che racconta la salvezza, proponendo un elenco di virtù. La richiesta di essere imitatori di Dio è possibile solo per un redento. I segni della vita triste, che Paolo elenca, sono molto diffusi, ognuno ne fa esperienza sia perché li trova presenti nella propria vita, sia perché li vede nei comportamenti degli altri. Bisogna riconoscere che spesso questi segni sono confusi come segni di forza e di potenza e sono tipici anche del nostro tempo quando collera, ira, esasperazione, demolizione dell'altro sono costume. Sono segni e non cause, significano che si è in molti ad aver dimenticato che la vita è racconto di un'identità stabilita da Dio e riconquistata da Cristo.

Il vangelo di Giovanni sorprende i Giudei a mormorare contro Gesù, opponendo all'identità che lui dichiara di essere pane disceso dal cielo, quella che essi conoscono: è il figlio di Giuseppe. La risposta di Gesù spiega che la loro incomprensione ha a che fare con la fede. È il Padre che agisce per attirare il cuore degli uomini a Gesù. La mormorazione è il segno dell'incapacità di far agire Dio nella vita. Non mormorate, lasciate che Dio agisca nel vostro cuore, allora potrete capire cosa significa che io sono il pane disceso dal cielo. Il discorso si centra quindi sul pane, che, diversamente dalla manna nel deserto, è capace di dare la vita.
Ciò che fa la differenza è la vita. In questo brano Gesù insiste molto sul tema della vita. Indicando sé stesso con il pane, dichiara che lui dona sé stesso, la sua carne, per la vita del mondo. Gesù, fin qui identificato come un dono, diventa lui stesso il donatore, dona sé stesso per la vita del mondo. La vita del mondo è lo scopo dell'incarnazione, il motivo per cui la Parola si è fatta carne, il motivo per cui, ricordando le parole del Prologo, il Logos è diventato sarx. L'attrazione per la vita, l'amore per essa, è di Dio; chi lascia che lui agisca nel suo cuore condivide le parole del libro della Sapienza, che lo definiscono amante della vita.
Gesù nel brano di questa domenica definisce la sua missione, lo scopo del dono di sé come un dono per la vita del mondo. Non è difficile perdere il sentiero della vita, non è difficile morire; ci sono sistemi che producono solamente morte. Pensare alla vita come elemento caratterizzante di Dio, aiuta a discernere quello che Dio non è. Molte sono le divinità che affollano le nostre esistenze, che le condizionano e determinano, la domanda è se esse amino la nostra vita. C'è un altro verbo, che Gesù usa come caratteristico della sua missione, parla, infatti di "dare la vita". Il verbo che si lega alla vita è il verbo dare, è un verbo di Dio e anche questo consente di fare un discernimento: siamo vivi se sappiamo immaginare di poter essere utili per qualcuno.

VITA PASTORALE N. 6/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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