XXX Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 25 ottobre 2015
XXX Domenica del Tempo ordinario

Ger 31,7-9
Eb 5,1-6
Mc 10,46-52
(Visualizza i brani delle Letture)


SULLA STRADA
VERSO GERUSALEMME

La prima lettura presenta un brano del,capitolo 31 di Geremia, centrale nella sua opera. È un invito alla gioia, i cui destinatari sono Giacobbe, Israele, ma anche più di Israele; lo sguardo del profeta si allarga alle estremità della terra. Il motivo della gioia è un nuovo Esodo; per farne parte non ci sono preclusioni di nessun tipo, se non il desiderio di futuro. Anche lo zoppo può camminare in questo popolo, la donna incinta non è vista come un impedimento al cammino, ma come portatrice di futuro, che è più di una promessa, perché anche la partoriente fa parte di questo popolo. Padre di tutti è Dio stesso. La fecondità, che si allarga a tutta la creazione, è il segno della paternità di Dio. Un popolo cammina se ha speranza, i segni della speranza sono la donna incinta e la partoriente; proprio due categorie di persone che sono più di impedimento che di aiuto nel cammino.
Evidentemente la qualità di un cammino non è la speditezza; se fosse questo, allora nemmeno i ciechi e gli zoppi potrebbero farne parte; la qualità del cammino è anche la speranza. Questa è la qualità che serve per far parte del nuovo Esodo, superiore a tutte le altre, capace di superare tutti gli impedimenti sia fisici che morali, la qualità della speranza.

Il brano della lettera agli Ebrei riprende il discorso su Cristo sommo sacerdote, sviluppando l'analogia fra il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio del tempio. Uguale è il motivo del sacerdozio, uguale è il sentimento di compassione che lega ogni sacerdote e Cristo sacerdote al popolo per il quale si offrono sacrifici. Uguale è la chiamata per cui nessuno può attribuire a sé stesso questo compito e per Gesù, non essendo della linea sacerdotale, si individua un'altra linea, fondata su Gen14,18-20, la linea di Melchisedek. Evidentemente il sacerdozio del Cristo e quello del tempio non sono semplicemente sovrapponibili, ma nel brano di questa domenica, si sviluppano le somiglianze.
Una preghiera molto bella è quella che si fa per gli altri, è una manifestazione straordinaria della dignità sacerdotale, propria di ogni battezzato. Il brano della lettera fa intuire che la condizione per pregare per gli altri è quella della compassione, non come atteggiamento di superiorità, ma come consapevolezza della comune fragilità. L'errore e la debolezza dell'altro funzionano da memoria per i nostri errori, e mentre si chiede misericordia per gli altri, si riconosce di aver bisogno di misericordia. La preghiera per l'altro non la fa chi non ha bisogno di niente per sé, ma proprio di chi si riconosce bisognoso, soprattutto di misericordia.

Uno dei brani più efficaci del vangelo di Marco è quello del cieco Bartimeo, descritto seduto a mendicare; cieco e, a causa di questo, anche incapace di camminare, così, per le leggi che regolavano il culto, inadatto a entrare nel tempio. Bartimeo è senza niente, senza uomini, è un mendicante e senza Dio, per la sua condizione. Può sentire, però, e può strillare; proprio questo fa appena sente del passaggio di Gesù. Grida non a uno qualunque, ma a Gesù Nazareno, al figlio di Davide; grida con una fede che è solo sua. La folla di quelli che circondano Gesù vuole fermare il suo grido, fino a quando Gesù trasforma le loro parole di rimprovero in parole d'incoraggiamento. Dicono: «Coraggio, alzati, ti chiama», iniziando così il miracolo. Le loro parole da parole di fastidio diventano parole capaci di fare un miracolo.
La reazione di Bartimeo è descritta come fiducia assoluta; infatti abbandona, non sapendo se poi lo ritroverà, il mantello, la sua unica certezza, che per lui è casa, coperta, territorio e balza in piedi, come se già vedesse, perché non è messo in scena nessuno che lo aiuta ad andare da Gesù. Di nuovo, rispondendo alla domanda di Gesù, Bartimeo parla, pieno d'affetto, chiama rabbunì Gesù, gli dice con quel titolo che non solo lo riconosce importante, ma che lo è per la sua vita, è il maestro suo; chiede la vista. La fine del racconto con Gesù che parla della fede di Bartimeo e lui che diventa discepolo di Gesù, dà al brano orizzonti infiniti.

Ci sono almeno due guarigioni che sono narrate in questo racconto, la prima è la guarigione delle parole, che riguarda sia la folla che Bartimeo. La folla guarisce perché si trova a essere complice di un miracolo, pronunciando le parole che Gesù chiede di pronunciare. Quelle che la folla trova nel suo bagaglio sono solo parole di resa, di cinica presa d'atto degli eventi: perché urli, dài fastidio, a che servono le tue parole? Sono parole malate, come tutte quelle che escono dalla nostra bocca quando scoraggiamo la loro preghiera, quando non crediamo che Dio ascolta le preghiere. Le parole sono malate quando non prevedono il registro della speranza.
Anche la guarigione riguarda tutti i protagonisti della scena, prima di tutto la folla, che non vede più solo un mendicante, ma una persona da incoraggiare e sollevare e, alla fine, un discepolo. La guarigione di Bartimeo è più profonda di quanto immediatamente appare, perché vede, prima ancora di riacquistare la vista, chi è veramente colui che sta passando; soprattutto vede in modo diverso sé stesso. Parlare parole guarite e vedersi persone guarite è la più bella testimonianza che possiamo dare del passaggio di Gesù nella nostra vita.

VITA PASTORALE N. 8/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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