Le risorse diaconali nel seguire Cristo



Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)

EDITORIALE


Le risorse diaconali nel seguire Cristo
di Giuseppe Bellia

Certo, il tema scelto per questo numero monografico può sembrare ingenuo o un po' immodesto. Infatti, proporre il ministero diaconale, e quindi in concreto il diaconato italiano, come "risorsa" «per un nuovo umanesimo», significa avere conoscenza di capacità e competenze ministeriali o ecclesiali dei nostri diaconi, davvero insospettate in un tempo di stanchezza e di confusione come il nostro. Sull'umanesimo nuovo si è già detto qualcosa nei numeri precedenti e c'è ancora da dire, soprattutto se l'umano e ciò che rinnova l'uomo è interpretato da una visuale biblica più che da una prassi pastorale.
D'altra parte "risorsa" è termine impegnativo che suscita attese, prospettive, speranze e può significare espediente, accorgimento, stratagemma, rimedio, possibilità, ripiego e comunque qualsiasi cosa che valga a fornire aiuto, sostegno, specialmente in situazioni di necessità e .perciò può esprimere disponibilità, fonte, mezzo, potenzialità risolutive che si collocano tutte in un orizzonte di comprensibile ottimismo. Non che il nostro piccolo mondo diaconale non possa essere segno di queste aspettative di rinascita e di ripresa ma è la situazione generale del nostro paese e della chiesa italiana che, nonostante l'exploit telematico di papa Francesco, vede le nostre comunità immerse in un'atmosfera di surreale indifferenza verso pronunciamenti immorali di leader leghisti e dintorni con una condotta che, tra uno scandalo e un'omissione, ricerca il quieto e ordinario sopravvivere. Non ha gridato allo scandalo per le troppe morti per acqua del «mare nostrum» con la stessa intensità e forza che in passato ha usato per chiamare alla raccolta per problemi politici e sociali di ben altro taglio morale.
Eppure una risorsa ministeriale se c'è non può trovarsi nel rincorrere la società civile nei suoi sussulti ideologici o nel fronteggiare le folli e autolesionistiche tendenze di autonomia di un mondo che si crede sufficiente a se stesso e pretende di ricondurre dentro ricorrenti razionalità gnostiche le verità scomode e ingombranti della fede. Confusione di linguaggi che identificano l'ortodossia con il conservatorismo e le verità indisponibili della fede con le ottusità dottrinali di un magistero ritenuto incapace di stare al passo con i tempi. Ciò che «ubique, semper et ab omnibus creditum est», il deposito della fede, dovrebbe essere rivisto per convertirsi al sapere di un mondo che, oltretutto, non sa che farsene di queste aperture a moralità innovative di certi cristiani e di certi prelati? Alla fine, com'è accaduto anche al papa, gli uomini mondani interpretano la presunta apertura a soluzioni morali inedite per la chiesa, ma già praticate dal mondo, come rassicurante conferma di ciò che credono giusto e inderogabile, anche senza il confronto con la Chiesa. Se una risorsa c'è per i discepoli del Signore, questa si può trovare in una vita "spirituale" autentica, in grado di testimoniare quella novità di relazione che, mediante lo Spirito, il credente intrattiene con Dio e con i fratelli. Prima si deve però dissolvere quella persistente confusione che identifica lo spirituale con l'immateriale, il sentimentale, lo psichico e di conseguenza per vita spirituale intende ciò che è separato dalla corporeità, dalla storia, dalla sacramentalità, rendendo in definitiva evanescente ogni riferimento al mistero dell'incarnazione e allo Spirito in essa operante.
Con Ireneo si deve riaffermare che l'uomo è spirituale «non grazie alla privazione ed eliminazione della carne» ma «grazie alla partecipazione dello Spirito» (Adv. haer., V, 6,1), sicché la spiritualità cristiana, in senso biblico-patristico, è la personale impronta santificatrice lasciata dallo Spirito Santo nella vita dei discepoli e delle comunità cristiane che, a motivo di questa azione, sono resi sempre più conformi a Gesù Cristo e partecipi della sua opera di salvezza e redenzione.
In questa precisa accezione va dunque ricordato che spirituale ha senso perché dice riferimento allo Spirito Santo, alla sua azione discreta ed efficace che non separa l'uomo dal concreto fluire della vita, né rende estraneo Dio al mondo, ma immette il seguace di Cristo nello stesso misterioso operare divino. L'agire dello Spirito è un'opera d'immeritata di lezione che trasforma con la stessa condotta dell'uomo anche il suo modo di pensare, la sua intelligenza, rendendolo idoneo a discernere ciò che è gradito a Dio per compiere il suo volere (Rm 12,1-2). In modo più dettagliato, con vita spirituale si deve intendere quella conformazione del discepolo a Chi è venuto per servire e non per essere servito e compiere la volontà del Padre fino a sacrificare la sua vita in riscatto per molti (Mc 10,45).
La vigile attenzione all'azione dello Spirito dispone all'apertura verso l'altro, diventando gioiosa possibilità di essere per il fratello e per ogni uomo segno dell'amore divino, realizzando così la stessa pienezza del comandamento di Cristo .(Gv 13,34). In questo modo lo Spirito, operando una conformazione sempre più prossima al mistero di Chi per amore si è fatto povero (2Cor 8,9), ultimo e servo di tutti (Mc 10,44-45), realizza quella diaconia sostanziale, segno della trasformazione radicale dell'uomo che vive un'esistenza donata che gli permette di giudicare ogni cosa (1Cor 2,15), incidendo sorprendentemente e profondamente anche nella storia. La risorsa dunque non sta nelle capacità di azione o d'impegno dei diaconi ma in quel fiducioso abbandono all'azione dello Spirito che consente al servo di Cristo di essere segno visibile dello stesso servizio reso dal Figlio a tutti gli uomini. Se ciò che è spirituale appartiene allo Spirito si deve comprendere allora come imprevedibile gratuità, come regalo immotivato, come dono immeritato e perciò non può essere identificato con il frutto di una qualche tecnica di successo per catturare seguaci seguendo le tendenze più gridate e spettacolari del momento. Raggiungere la popolarità può illudere ma di sicuro non dispone il cuore dell'uomo ad aprirsi alla continua novità generata da un'autentica e continuata relazione con la vita divina. Parlando di vita spirituale, il ministero diaconale se vuole essere risorsa per la ristretta porzione di mondo in cui è chiamato a servire, deve cercare di comprendere, nello Spirito, la stagione culturale ed ecclesiale in cui vive. La fede in Cristo richiede di saper abitare con tutti gli altri uomini, il futuro dispensato da Dio. In molti hanno tentato di analizzare e giudicare il difficile tempo di mutazione che con i suoi processi di globalizzazione, di distacco dall'oggettività e di possibilità tecnologiche che non sembrano incontrare limiti, sta travolgendo ogni certezza.
Vivere nella sfuggente e pervasiva cultura della postmodernità, segnata da frammentarietà, da sincretismo e da una costante ricerca del sensazionale procura turbamento e confusione a non pochi cristiani. Senza sottovalutare la sensatezza e la competenza di queste analisi il discernimento cristiano deve cercare di comprendere il proprio tempo, secondo parametri spirituali, giudicandolo cioè dal punto di vista dello Spirito che scruta ogni cosa (1Cor 2,10).
Come comunicare, come consegnare (tradere), questa intelligenza spirituale del reale in un'epoca in cui il processo del mondo come rappresentazione sembra giunto al termine e l'uomo senza radici si rinchiude dentro le anguste gabbie di snervanti auto-comprensioni? Per evitare la deriva di ermeneutiche stucchevoli e infinite, si deve fare riferimento non al soggetto, alla sua esperienza e alla sua cultura, ma alla memoria oggettiva della Scrittura che sola ci consegna il pensiero di Dio attraverso le sue parole come luce che illumina il cammino. Il servo della Parola, nel servizio che è chiamato a svolgere, con l'annuncio del Vangelo, se è compiuto nella fede, possiede una risorsa sicura e vittoriosa. L'ascolto assiduo delle Scritture, come si legge nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, fa del cristiano una nuova creatura (n. 41-42). Il discepolo che aderisce nella fede e mediante i sacramenti, al mistero pasquale di Gesù, è abilitato nella grazia a «camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). La trasformazione della persona umana, nella sua progressiva conformazione a Cristo, è presupposto essenziale di un reale rinnovamento delle sue relazioni con le altre persone. Il cammino di conversione, come ha detto Gesù, richiede quindi al diacono che intende servire il suo Signore di impegnarsi innanzitutto a seguirlo (Gv 12,26), se vuole ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a servizio dei fratelli e di tutti gli uomini.

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