La vera carità è dei servi inutili



Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)

RIQUADRI


La vera carità è dei servi inutili
di Salvatore Natoli

Il termine latino dignus, da cui dignitas, rimanda all'essere meritevole di rispetto, ma anche al rendersi meritevole di rispetto. Ciò significa, da una parte, che c'è la possibilità che nel singolo uomo l'umanità venga distrutta, sottratta, umiliata; e dall'altra, che può essere il soggetto che non si pone all'altezza della libertà. Quest'ultima è la condizione dell'uomo nel mondo occidentale odierno, dove egli pare asservito a un desiderio eccitato dall'esterno, nel quale l'attivismo viene scambiato per azione, la mobilità e il libertinismo per libertà. Dove c'è eccitazione, infatti, è difficile accorgersi di non essere liberi. In altre parti del mondo, invece, sono ancora molti i soggetti vittime di una coazione. Spesso è la dimensione stessa del bisogno che li impoverisce, perché nell'indigenza la libertà e la dignità non possono emergere. Ecco perché (lo afferma Gesù stesso, nell'episodio con il quale inizia il suo ministero pubblico secondo il racconto di Luca) i poveri vanno riscattati dalla loro povertà [...].
Di fronte a questo la nostra società conosce una sorta di sindrome della negazione: pensare che siano cose che non ci riguardano, tenere lontana persino la percezione della propria impotenza: «Tanto, cosa potrei fare, io, a parte mantenermi personalmente onesto?». Sono solo apparentemente più virtuosi di questo gli atteggiamenti da "business della carità": le organizzazioni che professionalizzano la risposta alla povertà ottenendone in cambio immagine e apprezzamento. E contando sull'occasionale empatia che le emergenze riescono a suscitare, in mobilitazione di personaggi "popolari", anche se questa finisce, da un lato, per fare da schermo all'ignoranza delle cause e dall'altro per generare la "stanchezza della compassione", l'assuefazione a qualunque dolore. Il riconoscimento scatta invece quando si riescono a trasformare i testimoni passivi in soggetti responsabili, altruisti. Spesso si definisce l'altruismo come l'agire senza contropartita, e in tal modo ci si espone alla critica di chi, in una prospettiva utilitarista, sottolinea che anche la gratitudine e la riconoscenza dell'altro costituiscono un'ambita ricompensa. Ma colui che pratica veramente l'altruismo è chi sente in modo diretto e quasi d'istinto l'umanità dell'altro. È un aspetto che emerge con chiarezza quando si ascoltano le testimonianze di chi ha aiutato i perseguitati dal nazismo e da ogni altro totalitarismo e oggi fanno parte del Giardino dei Giusti: vedendo l'umanità degradata negli altri l'hanno sentita ferita in sé stessi, e hanno reagito; tanto che, per spiegare perché, hanno dichiarato semplicemente: «Cosa altro potevamo fare?».

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