Risorsa per l'uomo



Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)

IL PUNTO


Risorsa per l'uomo
di Andrea Spinelli

Rifarsi alle fonti penso sia sempre un fatto positivo, non già per trovare conferma a ciò che si fa, ma per riscoprire la forza ispiratrice profonda e fare ciò che è giusto e conforme allo Spirito, ossia "spirituale". Per la riflessione che mi accingo a fare, non intendo andare alla fonte prima in assoluto, la Parola di Dio, ma a due fonti abbastanza vicine, eppure importanti. Cominciamo dal Concilio: sappiamo bene che si parla dei diaconi nel n. 29 della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium.
Tra le affermazioni, che mi sembrano più consone al ministero diaconale e che tuttavia, nel corso degli anni dal Concilio a oggi, forse è stata meno sottolineata, evidenzio la seguente: «Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di san Policarpo: "Misericordiosi, attivi, camminanti nella verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti"». Omnium diaconus factus. L'esortazione è precisa e da sola sarebbe in grado di sostenere la fisionomia autentica del diaconato, se non fosse intervenuto nel tempo l'ostacolo della tiepidezza, che un santo del Cinquecento ritiene «la peggiore nemica di Cristo e dei cristiani». La tiepidezza è sempre in agguato e riesce a far apparire esagerato, quasi superfluo, ciò che in realtà è indispensabile per corrispondere alla specifica vocazione, nel nostro caso il ministero del diacono.
Il Concilio ha suggerito, seppur in modo embrionale, l'orizzonte da tener vivo, poi ogni conferenza episcopale ha proseguito il cammino in tempi e modi differenti. Per noi diaconi italiani rimane sempre valida la proposta del documento CEI 1993, "I diaconi permanenti nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme". Al n. 40 tra l'altro troviamo scritto: «Ai diaconi si chiede particolare cura per l'educazione dei giovani al Vangelo della carità, per il servizio sollecito ai poveri con quell'amore preferenziale che fece grandi San Lorenzo e tutti i santi diaconi della storia della Chiesa e che oggi reclama nuove e più audaci forme, nel contesto di una cultura della solidarietà evangelica, per l'educazione permanente dei cristiani alla necessaria presenza nel sociale e nel politico».
In questi ultimi decenni, con sguardo retrospettivo, ci accorgiamo che nella società civile, nel contesto economico e quello politico, nell'ambito ecclesiale, insomma in ogni ambito di vita, hanno preso il sopravvento l'individualismo e l'utilitarismo, atteggiamenti contrari al semplice vivere comune e all'obbiettivo imprescindibile del bene comune. In una parola dobbiamo concordare che il benessere (meglio il ben-avere) ci ha fa:dimenticare l'altro e ha contribuito ad affievolire l'umanesimo nei suoi vari aspetti. Ecco allora la sfida per tutti, nessuno escluso: la ricomprensione di ciò che è indiscutibilmente umano, una forma di umanesimo che sconfigga l'individualismo e riesca a far emergere le caratteristiche immutabili della dignità dell'uomo. Quest'ultima, lo affermano i principi fondamentali delle varie costituzioni civili, compresa quella italiana, è un valore in sé, che non dipende dal ceto sociale, dalla cultura acquisita, dalle ideologie, dalla religione professata, dal sesso, dall'età e così via. Ogni essere umano ha la stessa dignità, che per i credenti deriva dalla comune figliolanza divina e per i non credenti sinceri dalla comune natura umana.
«La difesa e la promozione della dignità della persona umana ci sono state affidate dal Creatore; di essa sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia» (CCC 1929 - Giovanni Paolo Il Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 47) Così il santo papa, citato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, come a dire: le epoche della storia si presentano diverse per vari aspetti, esteriori soprattutto, ma in esse non ha mai smesso di scorrere un fiume sotterraneo, ma reale, portatore del senso vero della dignità umana. Certo sappiamo tutti che tale dignità è stata spesso e volentieri negata o comunque ostacolata per fini di potere e di arricchimento indebito. Se guardiamo alla storia con un certo tipo di occhiali, forse siamo portati al pessimismo, a ritenere utopistico l'obbiettivo di un reale primato della dignità di ogni uomo e di tutto l'uomo, ma per noi cristiani non può e non deve essere così. Anzi non è così! Infatti il nostro ottimismo non si fonda su fenomeni macroscopici, bensì sull'umile contributo di tanti uomini e di tante donne, che non hanno "potere" secondo "la sapienza del mondo", ma che sono la vera anima del mondo, secondo la volontà di Dio e il suo progetto di sempre, fare degli esseri umani una vera famiglia, dove la legge è l'amore reciproco.
Quando ero piccolo, comunque molto giovane, sentivo parlare del mondo della clausura come di veri parafulmini, che tengono lontani i lampi e proteggono dalla cattiveria del maligno e dei suoi alleati. In realtà oggi sono convinto che occorra affiancare loro, non in alternativa, ma in complementarietà, meglio in comunione, gli operatori di carità e di pace. Quanti uomini, quante donne percorrono con gioiosa tenacia la strada dell'amore fraterno e si impegnano "con tutta la mente e con tutte le forze" per servire il prossimo, specie quello più solo ed emarginato. È questo il fiume carsico, cui accennavo, il vero umanesimo che attraversa i secoli dopo l'incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione di Gesù. È l'umanesimo di sempre, bisognoso di essere riscoperto, ecco perché possiamo parlare di nuovo umanesimo. Dice in un'intervista mons. Galantino, segretario generale CEI: «La novità è lo stile dell'annuncio, come ci insegna papa Francesco, non perché dica cose nuove rispetto ai suoi predecessori (bisogna evitare la tentazione di vedere il suo pontificato sotto il segno della discontinuità), ma perché utilizza una comunicazione più immediata e un metodo che ha maggiore impatto sulla gente. Il suo è un invito a non fare del Vangelo solo un argomento di annuncio, ma uno stile di vita». Ancora mons. Galantino: «Dobbiamo inserirci in un processo di rinnovamento per continuare ad essere lievito. La metafora dice che il rapporto quantità-rilevanza non è sempre e necessariamente alla pari. Tante volte pensiamo di essere rilevanti perché gridiamo, perché stiamo da tutte le parti e su tutto diciamo la nostra parola. La logica del lievito è invece quella di una Chiesa consapevole che la forza trasformante non è legata solo alla quantità e alla visibilità».
Quanto siamo venuti dicendo vale anche per il ministero diaconale, che riteniamo a priori una risorsa per un nuovo umanesimo, a patto che percorra la strada suddetta. Non quella della "visibilità" a occhio nudo e a tutti i costi, pena l'inefficienza, no, ma il contrario. Il ministero diaconale per sua natura percorre vie di umanesimo concreto, che incrociano le vecchie e nuove povertà. La storia del diaconato dovrebbe aiutarci a non ripetere errori già commessi, quali l'aspirazione a contare nel tessuto ecclesiale in autorità e per questo venire a conflitto con altri membri del popolo di Dio; quali la sottolineatura gerarchica a scapito della logica della piccolezza evangelica; quali insomma una caricatura del vero amore del prossimo, sotto il quale prevale l'amore di sé. Tutto ciò, mi si potrebbe obbiettare, vale anche per ogni cristiano, certo, ma per il diacono è esigenza primaria, se vuole rispondere sinceramente e serenamente alla sua vocazione specifica di servitore.
Alcuni decenni fa, all'inizio del ripristino del diaconato come grado permanente dell'Ordine, si vedeva con speranza il ministero diaconale come fattore di rinnovamento ecclesiale, oggi a posteriori ci accorgiamo che ciò non è avvenuto o molto parzialmente, tuttavia il fatto non deve spaventarci e farci concludere che la speranza lascia il posto alla delusione. Se infatti ad intra il cammino è ancora arduo, ad extra gli stimoli sono quanto mai pressanti: il ministro diaconale, risorsa a parole per un nuovo umanesimo, è chiamato a tradurre ciò con i fatti e nella verità. Come, innanzitutto? Credo non con grandi proclami o opere di pubblica risonanza, almeno per la maggior parte dei diaconi. Qualcuno può essere chiamato a iniziative "pubbliche", non da sottovalutare, ma la maggior parte di essi, di tutti noi, è chiamata ad una vicinanza concreta ai fratelli e alle sorelle che soffrono nel corpo e nello spirito, ad essere loro compagni di viaggio nella vita di ogni giorno, con la forza del mandato ricevuto e la gioia dello Spirito. L'esperienza mi conferma che la nostra gente il nostro popolo, senza distinzione di origini e di cultura, attende questo dal diacono, che sia loro vicino ogni giorno, specie se segnato dal dolore, dal dubbio o dall'incertezza.

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