Convegno dei diaconi lombardi



Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)

TESTIMIONIANZE


Convegno dei diaconi lombardi
di Antonio Fatigati

C'era il rischio reale e concreto che i circa 150 diaconi lombardi convenuti l'11 aprile scorso al Seminario vescovile di Como per l'XI Convegno regionale considerassero l'incontro come un momento di riflessione rispetto alle modalità per incrementare le competenze teologiche e pastorali. D'altra parte il titolo scelto per il Convegno, "La formazione del Ministero diaconale - Ascoltare Cristo per annunciarlo", poteva legittimamente far sorgere questo pensiero. Ci ha però pensato sua eccellenza Diego Coletti, vescovo di Como, a spazzare via fin dalle prime battute del suo intervento ogni dubbio in proposito: la formazione post ordinazione per il diacono non è un problema di competenze intellettuali ma qualcosa che attiene al suo modo di essere.
Procediamo però con ordine. Intanto occorre rendere il giusto merito all'organizzazione del Convegno, che ha consentito a tutti coloro che sono intervenuti di sentirsi accolti e che ha trasformato per un giorno il Seminario di Como nella casa di tutti i diaconi lombardi. E poi non si può tacere della bellezza del gesto di intronizzazione del Vangelo, il modo migliore per ricordare a tutti e ognuno che ogni cosa principia in Cristo e in Cristo ha il suo compimento.
E ben ha fatto mons. Stucchi a ricordare, nella riflessione proposta all'interno delle Lodi, che la presenza dei vescovi al Convegno (oltre a mons. Coletti, erano presenti mons. Mario Delpini e mons. Vincenzo Di Mauro) assicurava a ognuno dei presenti che ogni azione era per Cristo e nella Chiesa e che i diaconi sono ministri chiamati a essere segno concreto che non si vive per se stessi. Dicevamo dunque che mons. Coletti ha immediatamente sgombrato il campo da ogni equivoco. La verità, ha sottolineato, non può essere contenuta in un'enciclopedia del conoscere e del fare, un' enciclopedia che ogni tanto necessita di aggiornamenti. Una formazione permanente che si ponesse questo obiettivo si allineerebbe immediatamente al pensare contemporaneo ma finirebbe per compromettere il possibile discorso profondamente umanistico e quindi, dimenticandosi dell'uomo, cancellerebbe lo spazio possibile a ogni discorso cristiano.
Occorre, dunque, ha sottolineato il vescovo di Como, rivendicare la qualità di una formazione che ci accompagni a prenderci cura dell'umano in quanto umano, del suo senso più profondo, che, è evidente, non potrà mai ridursi alla più semplice questione di ciò che mi appare come più immediatamente utile per dare risposte mediate alle istanze che arrivano. In sé, questo significa prendere le distanze da una cultura oggi prevalente che vorrebbe condurci a prodotti di facile e immediato consumo, a essere tecnicamente sempre più preparati, potenziare noi stessi senza tenere conto dell'altro. Il rischio dunque è che nel pensare la formazione permanente si finisca per assecondare questo modello, certo molto suadente, cosicché ognuno si ritenga capace in proprio di decidere quali siano le informazioni che più gli servono, quali percorsi per ottenerle.
La formazione permanente dei diaconi non può dunque rinunciare a una dimensione comunitaria e fraterna, risorsa essenziale per non cadere nella tentazione di bastare a se stessi e per evitare il rischio di un progressivo inaridimento che finisce per far smarrire il senso della vocazione e del servizio.
Dunque, ha voluto ricordarci mons. Coletti, gli ambiti della formazione permanente sono quattro: umana, spirituale, intellettuale e pastorale. Ma se si dovesse dichiarare quale sia il "Cuore" pulsante, ovvero quel punto capace, secondo un'immagine cara al nostro Cardinale, di muovere ogni parte del nostro corpo e dirigere univocamente le nostre azioni, ebbene questo deve essere individuato nel rapporto personale con il Signore Gesù, centro della nostra fede.
Difficile parlare di aggiornamento culturale, umanistico e teologico senza una sempre più chiara percezione dell'unico progetto del Padre. Se dunque siamo disposti a considerare come formazione spirituale non il solo dedicarsi alla preghiera, alla celebrazione, alla meditazione ma quel percorso che consente di essere posseduti e plasmati dall'azione dello Spirito, allora possiamo dire che la parte spirituale è quella che sovrabbonda sulle altre e in sé è sufficiente a garantire la continua crescita del diacono. Che è poi l'obiettivo della formazione permanente...
I Gruppi di lavoro seguiti alla relazione hanno permesso ai diaconi di confrontarsi su quanto emerso, mettendo a confronto esperienze diverse per organizzazioni diocesane e per situazioni di vita. Dalle relazioni finali, come la sintesi realizzata da mons. Coletti ha messo in evidenza, si trae la conclusione che da parte dei diaconi è urgente la necessità di una formazione permanente che consenta di comprendere la realtà e che vi è un'istanza pressante di fraternità, condivisione, relazione. Un'istanza che risponde appieno all'amore reciproco a cui Dio ci chiama, amore capace di essere segno tangibile, per tutti e ognuno, del Cristo risorto.



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