7 cose da sapere per aiutare le famiglie ferite



Il diaconato in Italia n° 193
(luglio/agosto 2015)

SCHEDE


7 cose da sapere per aiutare le famiglie ferite
di Redazione


Introduzione
1. A chi e perché la Chiesa vieta la comunione
2. Che cosa fare quando arriva la crisi?
3. Quale pastorale per separati e divorziati?
4. L'annullamento del matrimonio (José Ornar Lagos Vaencia)
5. Educare alla vita buona del vangelo (Raffaella Iafrate)
6. Cosa dice la Relatio Synodi
7. Sesso o gender? Di che si parla? (Paola Castorina)


_______________




Il tema delle "famiglie ferite" nell'immaginario comune del popolo cristiano, per lo più vuoi dire affrontare il problema particolarmente doloroso delle persone escluse dalla comunione eucaristica o, secondo altri, occuparsi di come venire incontro a chi non ha saputo, non ha voluto o non ha potuto rispettare l'inscindibilità e indissolubilità del matrimonio cristiano. I temi e i problemi che la chiesa sembra chiamata ad affrontare si possono individuare nella crisi e nel disagio della famiglia. In realtà in primo piano c'è la necessità di una prudente e coraggiosa revisione della disciplina canonica relativa a conviventi, divorziati risposati e alle situazioni matrimoniali considerate in genere canonicamente irregolari.
Nel sottofondo c'è però anche un'altra questione, più disagevole e umbratile, di cui si parla con riserbo e a fatica e che comunemente è identificata con il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Si tratta più esattamente dell'« ideologia del gender», un argomento che si rivela urtante la sensibilità dei cristiani perché, com'è stato ricordato dal card. Bagnasco nel Consiglio permanente della CEI del 24 marzo 2014, è una corrente di pensiero carica di liberale intolleranza che vede proprio nella famiglia la radice della discriminazione sociale, fino a essere «rappresentata come un capro espiatorio, quasi l'origine dei mali del nostro tempo, anziché il presidio universale di un'umanità migliore e la garanzia di continuità sociale».
Come si può vedere si tratta di questioni distinte che tuttavia interpellano gli uomini del nostro tempo e in modo avvincente quanti hanno a cuore e credono che la famiglia sia il sacramento primordiale voluto dal creatore. L'immagine e la somiglianza di Dio, infatti, sono state impresse alla coppia (Gen 1,26-28) come segno rivelatore della vera natura divina. Per aiutare i diaconi a farsi carico, insieme alle loro spose e, perché no, anche insieme ai loro figli, di quanti a vario titolo si trovano in contesti di difficoltà familiari, si è pensato di fornire alcune indicazioni di base. Sulle problematiche inevitabili del fallimento della coppia e sui principali temi della tradizionale disciplina ecclesiale e canonica sul matrimonio, la cui corretta conoscenza è quanto mai necessaria e utile per operare umanamente e pastoralmente verso le diverse situazioni di disagio dell'attuale congiuntura familiare, si forniscono alcune schede di carattere informativo. Non si cercherà la strada spesso dibattuta e più facile della visione sociologica o quella più contorta dei meandri psicanalitici per spiegare e razionalizzare un dramma che necessariamente ha molteplici radici. Si sceglierà piuttosto, spigolando tra i vari contributi offerti, in particolare prendendo dal Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia del settembre 2011 su Divorziati e Chiesa, di offrire innanzitutto una corretta informazione di argomenti spesso ignorati o poco accessibili per evitare di parlare a vuoto o di cose vane, ripetitori inutili di chiacchiere e dicerie che non approdano a nulla.

torna su



1. A chi e perché la Chiesa vieta la comunione

Cominciamo con l'esporre le ragioni che vietano a chi vive in una condizione di "irregolarità" canonica l'accesso alla comunione eucaristica. La prassi tradizionale della Chiesa latina che non ammettere i divorziati risposati alla comunione eucaristica, è basata in sostanza su due ragioni: la prima, di carattere sacramentale, è dovuta al fatto che «sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'eucaristia».
La seconda ragione, di indole pastorale, è data dal fatto che «se si ammettessero queste persone all'eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio» (così Giovanni Paolo II, esortazione apostolica Familiaris consortio sui compiti della famiglia cristiana, 22.11.1981, n. 84, in EV 7/1799). Dal punto di vista dell'ordinamento ecclesiastico, si applica ai divorziati risposati il can. 915 del Codice di diritto canonico che il 24 giugno del 2000 è stato oggetto di una dichiarazione del Pontificio consiglio per i testi legislativi dove l'inammissibilità alla comunione eucaristica si basa sul presupposto che questi rientrino tra quelli che «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Sorge però un legittimo interrogativo: si può affermare che sia questa la disposizione interiore di tutti i divorziati risposati?
Vediamo cosa dice il Codice di diritto canonico; il canone 915 enumera tre condizioni utili per discernere e giudicare dell'esistenza di un peccato ritenuto grave: 1) il peccato deve essere valutato nella sua gravità oggettivamente, giacché l'imputabilità soggettiva sfugge all'osservazione degli uomini; 2) l'ostinata perseveranza, è comprovata da una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, ignorando la gravità ecclesiale del suo comportamento; 3) la situazione di peccato grave abituale deve avere un carattere manifesto anche se non provocatorio (EV 19/968). A queste situazioni di gravità oggettiva la cura pastorale della Chiesa, specie negli ultimi decenni, ha cercato di venire incontro con atteggiamenti carichi di comprensione e di apertura, non di rado frutto d'improvvisazioni estemporanee generate da un generoso quanto improvvido buonismo.
Si è soprattutto ricercato con intemerata ma anche inspiegabile fiducia l'aiuto dei vari esperti di scienze umane, mentre si è riservato poco al comune ascolto della Parola. L'esperienza pastorale dei centri di aiuto, di là delle buone intenzioni, mostra un pullulare di iniziative in definitiva poco adeguate e funzionali se la crisi della realtà familiare non sembra si sia arrestata e l'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati non ha trovato una riflessione teologica equilibrata. Tra i tanti rimedi proposti per un corretto discernimento ecclesiale sulla questione, a livello indicativo di quanto si è detto, si possono vedere i criteri suggeriti, oltre un decennio addietro, dal documento di O. Saier, K. Lehmann, W. Kasper, «Per l'accompagnamento pastorale di persone con matrimoni falliti, divorziati e divorziati risposati» (Regno-doc. 19,1993,613-622).
Riguardo al primo matrimonio si mette in evidenza che:
- dove nel fallimento del primo matrimonio erano in gioco gravi mancanze, si deve riconoscere la propria responsabilità e rinnegare la colpa commessa;
- si deve credibilmente essere certi che un ritorno dal primo partner è veramente impossibile e che il primo matrimonio non può essere in nessun modo nuovamente vissuto;
- l'ingiustizia commessa e i danni arrecati devono essere con tutte le forze nuovamente riparati, fin dove questo è possibile;
- a questa riparazione appartiene anche il compimento dei doveri verso la donna [o l'uomo] e i figli del primo matrimonio (cf. CIC, can. 1071 1.3).
- infine, si deve fare attenzione se un partner ha rotto il suo primo matrimonio con grande scalpore pubblico e, nell'eventualità, addirittura con scandalo.
Sulla nuova unione si afferma che:
- la seconda convivenza matrimoniale deve aver dato buona prova di sé in un periodo di tempo molto lungo, nel senso di una decisiva volontà, pubblicamente riconoscibile, di una comunione di vita duratura secondo l'ordinamento del matrimonio e in quanto realtà morale;
- si deve esaminare se l'adesione al secondo vincolo è diventata un nuovo obbligo morale di fronte al partner e ai figli;
- si deve essere sicuri che i partner si sforzano veramente di vivere in modo cristiano e con motivazioni trasparenti, cioè vogliono partecipare anche alla vita sacramentale della Chiesa mossi da ragioni puramente religiose.
La stessa cosa vale per l'educazione dei figli. Come si può vedere due sono gli atteggiamenti di fondo proposti: da una parte, quanti hanno acquisito una nuova unione, devono mettere in chiaro che accettano, riconoscendo la propria mancanza, l'indissolubilità del matrimonio o, meglio ancora, la fede nella indissolubilità del Matrimonio.
Dall'altra, condizione imprescindibile è un vero cambiamento di mentalità per esprimere a pieno la Verità, la Misericordia e la Carità del Vangelo. A chi invece si occupa di portare aiuto alle famiglie ferite le proposte più praticabili e fruttuose invitano a cominciare a cambiare il modo di considerare queste nuove unioni, vedendo, nel dolore e nella fragilità delle famiglie spezzate, il segno doloroso dell'incapacità di amare che sperimenta qualsiasi uomo e qualsiasi donna, per quanto possa essere salda la propria unione sponsale.
Con una necessaria dote di modestia e di umiltà chi nei diversi percorsi di attenzione verso le Famiglie "spezzate" si dispone a dare un aiuto, dovrebbe porre, come elemento fondante della propria azione, la luce serenante della Parola per:
- saper accogliere chi vive questi drammi familiari;
- saper discernere con prudenza, senza giudicare le varie situazioni;
- saper accompagnare la famiglia ferita con la speranza e la certezza che viene dalla Parola di Dio;
- saper indicare a chi vive la separazione la pace della vita buona donata dal Vangelo. Naturalmente, le iniziative e i consigli pratici proposti e adottati in questi anni, spaziano lungo un orizzonte veramente smisurato che vanno dall'utile buon senso fino agli espedienti di un pastoralese, a volte anche inedito, che ovviamente non era generato dall'ascolto della Parola.
Inutile accennarvi perché i diaconi impegnati sul fronte dei corsi in preparazione al matrimonio o di sostegno alle famiglie in difficoltà, ne potrebbero raccontare di esperienze edificanti e di pensate bislacche. Certo l'impegno profuso, qui e là in ordine sparso ha portato i suoi frutti ma non si sono raggiunti livelli soddisfacenti, capaci d'indicare un percorso condivisibile anche ad altre comunità. Semmai, degna di attenzione, è la proposta avanzata per una più approfondita "teologia della famiglia", capace di far risplendere il progetto originario di Dio in tutta la sua luce, senza attardarsi sul tasto unico delle solite questioni morali dei contraccettivi e della regolamentazione delle nascite. In questa prospettiva emergeva anche la richiesta di un'accurata preparazione di quanti si sentono chiamati al ministero sacerdotale, per una più incisiva formazione sulla pastorale familiare per superare quella insensibilità, indifferenza e incapacità, mostrate soprattutto dalle ultime generazioni presbiterali nell'affrontare con spirito costruttivo la crescente presenza di famiglie ferite.

torna su



2. Che cosa fare quando arriva la crisi?

In un matrimonio ci sono tanti momenti di crisi, in cui i due si considerano estranei, in cui il desiderio cala e non c'è più ricerca dell'altro, né tempo da condividere. È necessario fermarsi, non cedere alla facile tentazione di dire è finita, me ne trovo un altro/a, oppure solo sopportarsi, "per il bene della famiglia". È necessario entrare nei tempi dell'attesa, avere il coraggio di ascoltare l'altro, ripartendo dall'emozione dello sguardo che evoca l'amore vissuto insieme, l'amore che ancora c'è, anche se incrostato e non più ben visibile. Sarebbe rischioso imporsi tempi stretti, avere fretta o peggio timore che troppo tempo debba trascorrere, che intanto si perda la vita che scorre davanti a noi. Certo si entra nella sofferenza della precarietà e dell'incertezza, ma non esistono scorciatoie. Entrare nell'attesa è un processo attivo per riassaporare il gusto di una relazione piena.
Essenziale è il nutrire costantemente la relazione con un tempo per la coppia che è kairòs, tempo di grazia vivo e palpitante, dove si fa spazio alle fantasie, paure, dubbi, gioia, stati d'animo, anche quelli distruttivi; tutto diventa importante: esprimere l'amore, il bisogno dell'altro, ma anche il rancore, la rabbia, a volte l'odio che, ad una analisi più profonda, altro non è nella storia di tante coppie che un sentimento che non è stato possibile esprimere in positivo; leggerlo in questa chiave aiuta a recuperarne la giusta valenza. Purtroppo, quando oggi due coniugi arrivano alla decisione di separarsi, sono così esasperati, arrabbiati o sfiduciati che non pensano minimamente a un possibile e futuro ricongiungimento; al contrario intendono la separazione come un passaggio di liberazione da una situazione di vita nella quale non vogliono più tornare. Ma questo avviene perché non si è gestita bene la crisi, fin dai suoi inizi, e si è lasciato dilagare il disagio e poi la sofferenza al punto di non farcela più e magari di giungere a offese o maltrattamenti difficilmente rimediabili e superabili.
Se invece le crisi coniugali fossero affrontate con spirito diverso e con il dovuto sostegno da parte di persone esperte, si eviterebbero tante situazioni di conflitto o di violenza. Difficilmente i coniugi riescono da soli a capire e risolvere i problemi che li hanno portati al disagio della convivenza coniugale: spesso occorre che entrambi i coniugi si affidino con fiducia a un aiuto esterno. E oggi vi sono alcuni centri e organismi, ecclesiastici o civili, che possono offrire un apporto valido e competente, cioè un cammino individuale e di coppia che aiuti ad andare in profondità nell'esame delle situazioni critiche vissute dai coniugi, per instaurare un modo più sereno di guardarsi ed eventualmente di individuare le strategie più opportune per riavviare la vita coniugale. Alla luce di tanti racconti di persone separate o divorziate, si può affermare, non senza qualche amarezza, che certe situazioni si sarebbero potute risolvere felicemente se ci fossero state la disponibilità e la possibilità di compiere cammini di questo genere.
Serve quindi una prevenzione che cerchi di intuire il disagio relazionale "sommerso" e offrire un aiuto per risolvere la situazione prima che questa esploda in una crisi irreversibile. È il caso in cui la coppia non chiede direttamente aiuto, ma è disposta a valorizzare un'offerta di accoglienza e di condivisione qualora venga presentata con discrezione. Per questo tipo di prevenzione occorrono persone sensibili e capaci di riconoscere i "segnali indicatori" che fanno intuire una crisi di coppia. A questo proposito forse vale la pena osservare che, per scoprire e affrontare il "disagio sommerso", potrebbero essere più efficaci le "reti informali" che costruiscono il tessuto di una comunità, rispetto ai servizi strutturati, che in genere sono pensati allo scopo di risolvere problemi già manifesti.
La persona o la coppia che vive un momento di difficoltà relazionale in genere chiede aiuto quando arriva all'esasperazione, e istintivamente si aspetta che chi l'accoglie abbia delle soluzioni da proporre e delle strade precise da indicare per superare il problema. Chi accosta persone in situazioni simili non deve avere la presunzione di prescrivere ricette facili, né avere troppa fretta nel dare consigli; piuttosto deve coltivare una buona capacità di ascolto, per un ponderato discernimento di situazioni che sono spesso sono molto compiesse.

Se si arriva tardi?
Quando ci si trova di fronte a una situazione praticamente compromessa, con una decisione irreversibile di rompere il legame matrimoniale e con ferite profonde provocate da una esasperante e lunga situazione conflittuale, il primo obiettivo da raggiungere è quello di aiutare la persona a ricuperare un po' di serenità e poi a mettere mano a una ricostruzione di se stessa, della sua personalità, della sua dignità e delle sue relazioni più significative.
Se ci sono dei figli, sarà indispensabile aiutare la coppia a gestire con equilibrio e con saggezza la separazione ponendo molta attenzione soprattutto ai diritti e alle esigenze dei figli, perché paghino il minor prezzo possibile della situazione conflittuale e fallimentare dei genitori. Se chi chiede aiuto è un credente, è importante aiutare a rafforzare la fiducia in Dio che anche nelle situazioni più drammatiche di sofferenza è capace di costruire una storia di salvezza e accendere un futuro di speranza; in ogni caso è urgente creare attorno a questa persona un contesto di accoglienza, di comprensione e di fiducia. Non poche volte la richiesta di aiuto arriva in una condizione in cui la sofferenza è segno di un amore ancora vivo anche se profondamente ferito. Il primo incontro è molto delicato perché è determinante per continuare la ricerca di aiuto e per creare la disponibilità a rimettere in discussione tutta la relazione di coppia per una vera positiva novità. Lì dove il disagio della relazione è imputabile a una grave immaturità della persona, l'aiuto può essere fornito soltanto da persone professionalmente preparate. Nei casi in cui la relazione è stata compromessa da una serie di malintesi conseguiti a errori d'impostazione del rapporto o da una inadeguata progettazione della relazione di coppia, l'aiuto può essere dato da persone sensibili, esperte nelle relazioni, capaci di mediazione e di empatia. Anche nel secondo caso comunque la relazione di aiuto esige una "competenza" che può essere frutto non soltanto di studio ma anche e soprattutto di esperienza, di chiarezza di vedute e di amore.

torna su



3. Quale pastorale per separati e divorziati?

Il problema ineludibile è come conciliare "carità e verità". Come essere accoglienti pur nella salvaguardia del principio dell'indissolubilità? Un punto di partenza è chiedere a una persona divorziata: «Se ha sofferto in prima persona il disgusto, l'odio, la colpa, l'umiliazione, le ristrettezze economiche, l'ansia per il futuro, il muro di silenzio, la perdita della maggior parte degli amici, per poter comprendere che cos'è successo e cosa succede alle migliaia di coppie che ogni anno divorziano». Questa domanda è un forte richiamo a saper discernere, a comprendere prima che a giudicare. I separati non pretendono facili giustificazioni, non se le danno nemmeno loro; nemmeno si attendono consolazioni di circostanza. Prima che giudizi (o pregiudizi), però, si aspettano partecipazione e ascolto nella prova.
Questa attesa spesso rimane delusa. Si può riconoscere che, fino a quando permane la speranza di salvare un matrimonio, la comunità cristiana impegna molte risorse, ma se questa speranza viene meno, restano solo il commento fuorviante o il silenzio. In altre parole, la comunità cristiana segue con varie iniziative le coppie sposate, si trova invece in difficoltà a raggiungere le diverse situazioni cosiddette irregolari: chi da separato (o divorziato) si avventura in altre storie; chi si risposa; chi si sposa solo civilmente; chi convive. In riferimento alla parabola evangelica, si può dire che la pastorale della Chiesa segue bene le pecore che sono dentro il recinto; fatica invece a raggiungere quelle che sono fuori, ma che pure le appartengono in forza del battesimo. Ci sono certamente, in controtendenza, lodevoli iniziative, ma ancora rare ed elitarie, nel senso che non fanno parte di una pastorale d'insieme e comunitaria. Il principio ispiratore generale affermato dal Direttorio di pastorale Familiare è quello della "carità nella verità": come Gesù «ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso verso i peccatori», così la Chiesa deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all'uomo. Carità dice attenzione alla persona, verità dice attenzione al valore e al significato di una scelta fondamentale che quella persona ha compiuto consapevolmente.
Cosa comporta la fedeltà alla "verità"? La Chiesa sa che il matrimonio è un sacramento che ha ricevuto per il bene degli sposi e della comunità, e sa che «non è lecito all'uomo dividere ciò che Dio ha unito». L'indissolubilità è una prerogativa fondamentale ed essenziale dell'amore umano a prescindere da una sua comprensione di fede; due innamorati non tollerano che la loro condizione possa essere temporanea e corra il rischio di finire. Il vero amore contiene in sé stesso l'anelito e l'esigenza della definitività. Anche oggi quando i giovani si innamorano, sentono dentro di loro che l'amore deve essere «per sempre». Ma è anche esperienza comune e diffusa che l'amore umano, che nasce con l'esigenza e l'impegno di essere «per sempre», finisce spesso con l'attenuarsi fino al punto di morire.
L'indissolubilità oggi è comprensibile pienamente solo alla luce della fede e di una interpretazione sacramentale della propria vicenda di amore. Diventare segno sacramentale dell'amore di Dio significa accettare la logica di Dio, che non si ferma nemmeno di fronte all'infedeltà dell'uomo. Sposarsi «in Cristo e nella Chiesa» non significa semplicemente scambiarsi davanti a Dio una promessa umana di amore per chiedere il suo aiuto e la sua protezione; significa lasciarsi insieme avvolgere dall'amore e dalla fedeltà di Dio fino al punto di impegnarsi a vivere l'amore, con l'aiuto della Grazia.
Al Magistero della Chiesa non sta a cuore soltanto la chiarezza dei principi, ma il bene vero delle persone: i principi sono a servizio delle persone, e il bene delle persone domanda sempre e prima di tutto attenzione, accoglienza, vicinanza, affetto. Ma che significa dare accoglienza?
Sarebbe una semplificazione ingenua pensare che l'accoglienza si risolva con l'ammettere ai sacramenti; sarebbe una scorciatoia che favorisce il qualunquismo, la confusione e, alla fine, l'indifferenza. Tutto sommato è più facile dare una comunione in più che fermarsi ad ascoltare una persona e accoglierla con il cuore. Quali iniziative pastorali, allora, si potrebbero mettere in atto perché queste persone si sentano davvero accolte nella Chiesa?
Anzitutto è necessario che nella Chiesa si maturi un animo accogliente e si formino delle comunità fatte di uomini e donne accoglienti, attenti alle persone. Questa accoglienza domanda un cambiamento radicale di mentalità da parte dei sacerdoti ma anche da parte della comunità. Tra le decine di proposte avanzate, ne riprendiamo qui tre, concrete, fruttuose e in genere sconosciute e obliate.

Tre proposte concrete
• Un'attenzione maggiore va posta su molte situazioni coniugali per capire dove ci possono essere le condizioni per un riconoscimento di nullità del matrimonio. Spesso, infatti, la fragilità della relazione ha le sue radici nella mancanza, fin dall'inizio, di uno dei requisiti essenziali del matrimonio (ad esempio la libertà, la maturità necessaria, la disponibilità alla procreazione, ecc.). Gli operatori pastorali devono conoscere quali sono le condizioni più comuni che possono aver reso nullo alla radice il matrimonio.
• Le coppie di divorziati che sono passati a un nuovo matrimonio, se desiderano vivere l'impegno cristiano personale e comunitario vanno invitate a far parte dei gruppi operativi della comunità. Vanno aiutate a capire che la loro esclusione dalla Comunione sacramentale, anche se può essere vissuta dolorosamente specialmente dalle persone più sensibili, non è motivo per escludersi dalla ricchezza delle relazioni e delle attività comunitarie.
• Dopo un primo percorso, in un gruppo specifico, i separati, i divorziati e i divorziati risposati, dovrebbero trovare spazio per la loro formazione nei normali gruppi famiglie della parrocchia o nelle altre iniziative per sposi e genitori (gruppi di preparazione al battesimo, percorsi di genitori in parallelo alla catechesi dei figli, gruppi di spiritualità familiare, associazioni e movimenti che curano la formazione di adulti.

torna su



4. L'annullamento del matrimonio
(José Omar Lagos Valencia)

Tanti luoghi comuni, tanti stereotipi ma, in pratica, chi ci può accedere e quanto costa? Molte sono le domande o le perplessità che vengono poste sul tema dell'annullamento dei matrimoni religiosi. Vediamone alcune.
- La Chiesa insegna che il matrimonio è indissolubile, allora perché lo dichiara nullo?
- Come è possibile dichiarare nullo un matrimonio se ci sono dei figli?
- La Chiesa non vuole il divorzio ma annulla i matrimoni.
- La Chiesa si è trovata in crisi con il matrimonio e soprattutto con il divorzio e corre ai ripari con la dichiarazione di nullità.
Sono domande tra il serio e l'impertinente ma meritano comunque una risposta chiara. Innanzi tutto è bene chiarire che quando si parla di annullamento ci si riferisce esclusivamente al matrimonio celebrato con rito religioso, cioè al matrimonio Sacramento. Trattandosi di un Sacramento non è difficile capire perché sia solo la Chiesa in grado di valutare se quel Sacramento è stato ricevuto validamente o meno: nessun altro potere potrà pronunciarsi sull'esistenza o meno del Sacramento del matrimonio.

Differenza tra annullamento e divorzio
Mentre con il divorzio il tribunale civile dichiara la fine di un matrimonio, con l'annullamento il tribunale ecclesiastico dichiara che quel matrimonio non è mai esistito, anche se è stato celebrato solennemente, possono essere nati dei figli e può essere durato parecchio tempo. Questo perché il tribunale riconosce che quel matrimonio Sacramento non è mai nato, cioè che il consenso nuziale è invalido. Quando un matrimonio è nullo? Chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo, oppure semplicemente desidera fare chiarezza sulla propria situazione matrimoniale precedente, può chiedere informazioni al proprio parroco o alla curia diocesana. Si rivolge poi a un patrono (avvocato) abilitato a esercitare presso il Tribunale ecclesiastico. Assieme al patrono si analizza in profondità la propria vicenda coniugale (soprattutto nel periodo precedente il consenso matrimoniale). Se emergono motivi che danno fondatezza a una domanda di nullità matrimoniale, si presenta una domanda ("libello") al tribunale ecclesiastico diocesano o a quello regionale.
Una volta presentato il libello, inizia il cosiddetto 'processo', il cui scopo non è quello di attribuire eventuali colpe nell'andamento della relazione, ma piuttosto di cercare la verità della situazione matrimoniale. Nel corso del processo è data la possibilità ai due coniugi di dire la loro versione dei fatti circa la vicenda del fidanzamento e del matrimonio. Vengono interpellati anche dei testimoni (di solito familiari e amici dei coniugi) i quali, con le loro deposizioni, aiutano a fare maggiore chiarezza sulla vicenda che si è chiamati a esaminare. Data l'importanza e la delicatezza dell'argomento si richiede, da parte di tutti, l'impegno di dire la verità. Inoltre tutto quello che si apprende viene trattato con la dovuta riservatezza, rispettando la privacy delle persone.

Quanto dura una causa?
Si tratta di una questione complessa, in quanto ogni causa che viene esaminata presenta le sue particolarità. Il primo grado dovrebbe concludersi in un anno, e l'appello in sei mesi. Tuttavia alcune cause possono richiedere tempi più lunghi. Ciò succede qualora, ad esempio, uno dei due coniugi non voglia intervenire nel procedimento, oppure nei casi in cui siano necessarie perizie psicologiche, o se la causa presenta delle situazioni complesse da esaminare e da accertare. L'impegno comune cui si tende, in ogni caso, è quello di coniugare sempre insieme la ricerca della giustizia con la ricerca della giusta celerità nel dare una risposta alla domanda di nullità presentata.

Quanto costa una causa?
È purtroppo diffusa la diceria che chiedere la nullità del matrimonio sia qualcosa di possibile solo per persone ricche con forti disponibilità economiche. Non c'è nulla di più falso! Infatti, dal 1998 è in vigore una normativa della Conferenza Episcopale Italiana che disciplina questa materia con norme comuni per tutta l'Italia.
Il principio fondamentale cui queste norme s'ispirano è questo: «la dichiarazione di nullità del matrimonio è un aiuto pastorale, che riguarda la vita cristiana dei fedeli». Pertanto, la Chiesa si preoccupa che il contributo economico richiesto per le spese processuali e per l'assistenza da parte di un patrono ("avvocato") non allontani i fedeli, che abbiano fondati motivi per avvalersene, da tale strumento, riguardante la loro coscienza e la loro vita cristiana.
Per chi si trovasse in serie (e documentate) difficoltà economiche, sono previsti sia la dispensa totale o parziale dalle spese processuali, sia la possibilità dell'assistenza gratuita da parte del patrono stabile del Tribunale ecclesiastico o da un patrono d'ufficio incaricato dal Tribunale stesso. Di conseguenza, oggi, nessuno è privato della possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità del matrimonio per motivi economici.
Il costo che un fedele deve sostenere per una causa di nullità riguarda comunque due voci: il contributo richiesto dal Tribunale ecclesiastico per le spese processuali e l'onorario per il patrono, cioè l'esperto che lo assiste nell'introdurre la causa e nel corso del processo canonico. Il primo è fissato in 500 euro, il secondo è fissato a 1500 euro più tasse, salvo casi particolari. Le perizie di parte (quelle di tipo psicologico) vanno pagate a parte.
J. O. L. Valencia è membro del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese e Vicario Giudiziale della diocesi di Pinerolo.


torna su



5. Educare alla vita buona del vangelo
(Raffaella Iafrate)

Quali conseguenze la rottura della coppia ha sui figli per la scelta operata o subita dagli adulti, responsabili della educazione delle giovani generazioni? Quali i compiti dei genitori separati per salvaguardare la crescita dei figli? È da queste domande che occorre partire per capire quale specificità di scelte educative richiede la situazione della famiglia separata. In generale da tutte le ricerche condotte soprattutto in ambito internazionale, si rileva che l'evento separazione, in quanto imprevedibile e traumatico per i figli (poiché psichicamente inatteso e stravolgente l'ordine familiare), comporta sempre una quota significativa di sofferenza e una necessità di cambiamento a livello affettivo e organizzativo, anche quando, nella migliore delle ipotesi, non si rilevano effetti di conclamato disagio o patologia. Nonostante la recente enfasi attribuita oggi dalle ricerche al concetto di resilienza dei figli del divorzio, ossia a quella capacità non solo di resistere e di far fronte a eventi traumatici, ma addirittura di uscirne rafforzati, è innegabile come sia di fatto impossibile censurare il tema della sofferenza di chi sperimenta la separazione dei genitori: anche i contributi che sottolineano la capacità di resilienza dei figli del divorzio non parlano affatto di una "forza" simile all'invulnerabilità di cui tali figli sarebbero dotati grazie all'esperienza vissuta, quanto piuttosto del risultato di un comunque lungo e faticoso processo di gestione del dolore che può effettivamente consentire di rilanciare la fiducia nel legame, ma che deve fare inevitabilmente i conti con la perdita e la sofferenza.
Proviamo a calarci nella mente dei figli: qual è il loro più grande desiderio? Il bene dei figli è - permettetemi di usare una bella immagine del prof. Cigoli - «portare in salvo gli déi». Gli déi sono ovviamente i genitori. Il bene del figlio corrisponde a un'operazione in cui gli déi vengono portati in salvo. Quindi la prima cosa è portare in salvo gli déi perché sappiamo che nella mente del bambino è data per scontata una presenza divino-genitoriale, ma è addirittura dato per scontato il fatto dell'unità degli déi. Non è per niente pensabile alla mente infantile una separazione tra il padre e la madre, perché non ci sta. Se poi questo avvenga nella vita concreta è un altro discorso, ma nella mente infantile non ci sta assolutamente. Possiamo quindi cominciare a intuire il dramma profondo che comunque la generazione successiva viene ad affrontare con la separazione dei genitori. Per il figlio la rottura della coppia dei genitori è inimmaginabile, e facilmente, all'inizio, lo fa cadere in preda all'angoscia. Se loro si separano a lui cosa succederà? Il divorzio assume per i figli il significato di una rottura di un'unità originaria dalla quale proviene e di cui è il segno. A fronte di una rottura, il bisogno di un figlio è che i genitori siano comunque messi in salvo. Comunque. La ricerca e la pratica clinica mostrano inoltre che se l'evento separazione si accavalla ad altri eventi critici (anche normativi e prevedibili come l'adolescenza del figlio o la sua transizione all'età adulta) le conseguenze sulle giovani generazioni possono divenire ulteriormente problematiche: ecco perché occorre prestare particolare attenzione alle conseguenze che la separazione esercita sui figli adolescenti e giovani adulti che vivono queste transizioni.

Salvare i legami familiari
A fronte di tali risultati delle ricerche possiamo dunque interrogarci su quali strade possano essere percorse oggi per cercare di «portare in salvo i legami familiari» anche in queste situazioni di crisi e di frattura. Come riuscire a realizzare quella «vita buona del Vangelo», anche in situazioni di famiglie spezzate? In sintesi, l'indispensabile impegno richiesto ai genitori separati sembra essere quello di «salvare la genitorialità». Ciò implica da parte degli ex-coniugi, di portare in salvo qualcosa di buono del legame coniugale, mantenendo anche una "quota" di coniugalità la cui funzione, come si è visto, non è senza effetti anche sull'esercizio della genitorialità stessa. È utopico e astratto pensare che si tratti solo di una modificazione di ruoli. Gli anni passati insieme come coniugi, con il loro carico di speranze e delusioni, fanno comunque parte della propria storia e inoltre una, almeno minimale, stima e comprensione dell'altro è la base per attuare una collaborazione educativa.
In conclusione, i genitori separati, in particolare il genitore affidatario, sono prima di tutto chiamati a consentire al figlio l'accesso alla "parte mancante" intendendo con questo sia la possibilità di accesso reale all'altro genitore; sia quella di accesso simbolico alla sua storia. Il "monogenitore" ha cioè il compito di rispettare le radici del proprio figlio che è sempre frutto di due storie e di una molteplicità di legami familiari e sociali.
«Creare uno spazio per l'assente» e garantire l'accesso all'altro genitore, può significare allora aprire una porta sul dolore o sul conflitto, ma anche consentire al figlio di appropriarsi realisticamente della propria storia, accostando la speranza al dolore e cercando di dare un senso alla trasformazione alla quale sono stati sottoposti i suoi legami. È noto che nel divorzio l'accesso all'altro è messo fortemente a rischio dalla conflittualità tra ex-coniugi: il problema è estremamente grave perché solo se un figlio ha la possibilità di accedere alla sua storia e alle sue stirpi, avrà la possibilità di trattarle. Se ciò non avviene, sia perché i padri si distaccano, si disimpegnano, sia perché le madri - e con loro le famiglie d'origine - se ne appropriano, le cose si fanno molto pericolose. L'esproprio nel tempo si sconta e a pagarne le conseguenze sono gli stessi figli, per non dire addirittura le generazioni successive.
«Garantire la genitorialità». Per i figli è a rischio - come abbiamo visto la speranza nel legame e la fiducia nel percepirsi capaci di creare legami duraturi. In tal senso può essere messa a dura prova anche la concezione stessa di persona come potenzialmente generativa di legami benefici. Risulta pertanto di fondamentale importanza garantire, al di là della frattura coniugale, la cura della continuità del legame genitoriale, garantendo al figlio un accesso a entrambi le stirpi di appartenenza, rispettando il suo diritto a confrontarsi con le proprie origini, che sono - ricordiamolo - al tempo stesso familiari e sociali. La negazione di questo diritto è uno dei più grandi gesti d'ingiustizia che un genitore solo possa compiere contro il proprio figlio, travolgendolo nel fallimento del rapporto coniugale e non salvaguardando il suo diritto a godere della dimensione simbolica del legame genitoriale del quale egli resta comunque il segno indissolubile.
R. Iafrate è professore associato di Psicologia Sociale, Università Cattolica di Milano


torna su



6. Cosa dice la Relatio Synodi

41. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. I pastori devono identificare elementi che possono favorire l'evangelizzazione e la crescita umana e spirituale. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso.
42. È stato anche notato che in molti Paesi un «crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile» (Instrumentum Laboris, 81). In alcuni Paesi questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in continua crescita il numero di coloro dopo aver vissuto insieme per lungo tempo chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l'attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.
43. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche famiglie cristiane, come soggetti dell'evangelizzazione della famiglia.

Curare le famiglie ferite
44. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull'aiuto e l'accompagnamento della Chiesa. La pastorale della carità e la misericordia tendono al recupero delle persone e delle relazioni. L'esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l'azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un'esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di sperimentare un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chi ha ricevuto il perdono di Dio avere la forza per offrire un perdono autentico che rigeneri la persona.
45. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia e riconoscendo che separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli, i Padri sinodali hanno avvertito l'urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall'effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più "subite" con sofferenza che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Occorre uno sguardo differenziato come San Giovanni Paolo II suggeriva (cf. Familiaris Consortio, 84).
46. Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri - sacerdoti, religiosi e laici - a questa "arte dell'accompagnamento", perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell'altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).
47. Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l'abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l'ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione. Essi non possono essere un "oggetto" da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l'ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio. Speciale attenzione va data all'accompagnamento delle famiglie monoparentali, in maniera particolare vanno aiutate le donne che devono portare da sole la responsabilità della casa e l'educazione dei figli.
48. Un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile.
Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell'accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento.
49. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113,1).
50. Le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell'Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.
51. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la unità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l'indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura sua carità.
52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all'Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un'accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L'eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).
53. Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.
54. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi sui quali è necessario riflettere in ambito ecumenico. Analogamente per i matrimoni interreligiosi sarà importante il contributo del dialogo con le religioni.
55. Alcune famiglie vivono l'esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

torna su



7. Sesso o Gender Di che si tratta?
(Paola Castorina)

Il linguaggio anglosassone registra una differenza di significato tra sesso e identità di genere: il primo è relativo agli organi sessuali del corpo, il secondo, l'identità di genere (o gender) è relativo alla percezione di sé in quanto maschio o femmina. A questa distinzione va aggiunta un'altra precisazione: il ruolo di genere cioè il sistema di aspettative sociali.
Come ci siamo arrivati? Le battaglie femministe nascono dall'identificazione diacronica del ruolo di genere con il sesso, e hanno in effetti portato a questa positiva separazione: i ruoli non sono determinati per natura. Ma la deriva ideologica è stata inevitabile: non solo il ruolo di genere ma l'identità di genere è una costruzione sociale e culturale. Da questo si giunge ad affermare che persino il corpo è una espressione culturale in quanto impossibile sottrarlo alla sua interpretazione sociale. Rifiutando quindi l'idea di una natura pre-sociale, viene identificato il sesso con l'identità di genere (ideologia del gender).
Il "gender" è andato in ultimo a sostituire anche la parola "sessuale" in "transessuale" coniando una ulteriore frontiera del significato: mentre il transessuale riafferma la differenza tra i sessi scegliendo quello opposto attraverso un processo faticoso di rielaborazione (talvolta anche chirurgica), con il transgender l'essere umano non è portatore di alcuna "vera" natura da scoprire o portare a maturazione: sono soltanto i comportamenti sociali che creano l'illusione di un essere umano "uomo" o "donna". Ecco dunque l'ultima tappa linguistica ed esistenziale di questo percorso: il "queer". È l'eliminazione di ogni scopo o direzione dell'esistente, è il sogno di essere ogni cosa, è la possibilità infinita dell'essere in quanto potenzialità senza termine né identità.
E dunque? Nulla di nuovo sotto il sole? Siamo ancora e sempre di fronte all'umano dibattersi dell'essere che spogliandosi di ogni finitezza ambisce a essere "assoluto"? Rivediamo il percorso… dove è stato il giro di boa?
«È da ascrivere agli studi sui generi il merito di aver intrapreso un lavoro di sradicamento di pregiudizi atavici e assunzioni infondate, mostrando come gli stereotipi sessuali siano fonte di sofferenza per gli esseri umani». Scrive così S. Zanardo, professore associato dell'Università europea di Roma nel suo Gender e differenza sessuale, in Aggiornamenti sociali, maggio 2014.
«La critica a ogni analisi riduttiva ci mette di fronte alla responsabilità di un lavoro prudente e consapevole sulla nostra identità sessuale, la quale non può ridursi a una cornice rigida o all'ostentazione di una maschera per nascondere fragilità identitarie dietro a un conformismo acritico, né può essere plasmata in risposta ai bisogni di altri (di chi confeziona e commercia identità pronte all'uso)» (Ib.).
Abbiamo dimenticato per troppi secoli di essere corpi ed ecco che il corpo ridotto a un costrutto predeterminato si è disincarnato. E nella sua fragilità di essere tutto e nulla è caduto vittima della stessa ideologia che lo vorrebbe indeterminato: negare il corpo significa negare ogni punto di partenza per il distacco obiettivo che genera la riflessione dell'uomo su sé stesso.
Questo azzeramento può essere coniugato in diversi modi: sociologico, psicologico, filosofico, antropologico, bio-etico, etc. ma alla luce di qualsivoglia lettura non possiamo dimenticare «il costo psichico ed esistenziale di questa scomposizione e instabilità», «Noi siamo noi stessi perché ci confrontiamo con chi è diverso da noi. L'identità si costituisce sulla differenza, l'in-diffeienza impedisce, ostacola il nostro processo di identificazione. È un punto molto importante da enunciare contro le teorie gender, che veicolano come bandiera il concetto di neutralità, in-differenza e superamento della differenza sessuale». Siamo sempre alla ricerca di una terza via che ci strappi dalle secche dell'autoritarismo della società o dell'ideologia senza essere gettati nel mare magnum dell'indefinito e del non senso. Corpi tatuati gridano il bisogno di essere incisi, circoscritti e portatori di significato, corpi nudi e affamati implorano di essere nutriti e riconosciuti nel loro diritto a esistere.

La ricaduta sul diritto
«Queste teorie hanno una forte ricaduta nel diritto, perché portano a pensare che il diritto è solo la legittimazione della nostra volontà. […] Il Trattato di Amsterdam (1999) è un testo in cui accanto alla sequenza a cui noi siamo abituati (i diritti dell'uomo vanno riconosciuti a prescindere dall'età, dall'appartenenza politica, dall'appartenenza a uno Stato o a un altro Stato, dal credo religioso…) si aggiunge "a prescindere dalla gender identity e sexual orientation". [...] La Carta di Nizza (2000) è la carta dei diritti fondamentali su cui si fonda l'Unione Europea. Nella carta dei diritti fondamentali ci sono due articoli che ci interessano: uno dice che gli individui hanno gli stessi diritti a prescindere dall'orientamento sessuale (si usa l'espressione sexual orientation che in italiano è stato tradotto con tendenza sessuale). Ma anche le legislazioni dei diversi Stati europei stanno cominciando ad inserire questi riferimenti. Per esempio in Inghilterra, con il Gender Recognition Act (2004). Questa legge dice che chi vuole modificare la propria sessualità non è obbligato a cambiare il proprio corpo. In Italia abbiamo una legge sul transessualismo: chi vuole modificare la propria identità sessuale, da maschio vuole diventare femmina o viceversa, deve avere la certificazione medica di un disagio dal punto di vista psicologico e poi acquisisce un'identità che è maschile o femminile, la può modificare, ma deve anche modificare il proprio corpo per potere modificare la propria identità sessuale. La Gender Recognition Act dice che non è necessario modificare chirurgicamente il corpo. In Spagna nel 2007 la legge intitolata "Legge sulla rettificazione sessuale nei registri civili" dice che nei documenti civili, come la carta d'identità e la patente, si possono modificare il nome e il sesso a prescindere dalla modificazione del corpo» (L. Palazzani, Convegno di Brescia 13 Aprile 2013, "Gender: premesse filosofiche e ricadute nel diritto in Italia e in Europa").

Già antichi maestri ci avevano avvertiti che "la verità non si fa per alzata di mano", ma è innegabile che "per alzata di mano" noi decidiamo le sorti nostre e quelle future. Queste mani devono dunque essere espressione dell'essere umano in tutta la sua complessità e maturità. Si parla di "infantilismo della sessualità" del nostro tempo di fronte ai fenomeni dilaganti di pornografia e ostentazioni provocatorie. In questo sprofondamento ermeneutico non ci sono solo gli adulti ma anche i ragazzini, divenuti fruitori, esperti e imberbi, di infinite sollecitazioni al "piacere neurotico".
Come fare in tutto questo a ritrovare il corpo? Strano pensare che proprio il cristianesimo che fonda il suo intimo esistere su un corpo risorto, in tanti secoli abbia dimenticato o vessato il corpo fino a identificarlo con la fonte di ogni peccato (cf. la moderna analisi di un antico di giorni: P. Prini, Lo scisma sommerso, del 1999). E si sia poi trovato a difenderlo a spada tratta contro le minacce del suo annientamento. Ma questa difesa su che base è condotta? Riusciamo ad abbeverarci alle fonti? Dov'è finita la lettura di libri come il Cantico dei Cantici che celebrando l'amore umano ne ravvisa un'immagine di quello divino? Mi sembra piena di grande dolcezza e amarezza la provocazione di un vescovo: «Un giorno, tra 100 anni, verranno a bussare alle porte dei conventi chiedendo: "Ma una volta l'amore come si faceva?" Ed i monaci risponderanno: "All'inizio non era così"» (A. Aiello, Giornata regionale dei diaconi permanenti della Campania, maggio 2015).

----------
torna su
torna all'indice
home