III Domenica di Avvento (C)


ANNO C - 13 dicembre 2015
III Domenica di Avvento

Sof 3,14-17
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18
(Visualizza i brani delle Letture)


CAMBIARE
NON È SEMPLICE

Sofonia contiene un messaggio di incoraggiamento per la restaurazione della condizione di libertà di Gerusalemme, del popolo. Molto forte l'immagine di Dio condottiero che non assiste alla lotta del popolo ma vi partecipa, incoraggiando, gridando come un soldato impegnato nella battaglia. La sua presenza dà forza nuova alle braccia degli altri soldati, che vedono un condottiero potente accanto e in mezzo a loro.
Dio non assiste da lontano alla battaglia che ogni persona deve fare per scacciare il nemico dai propri confini; nemico è tutto ciò che ci impedisce di vivere pienamente la nostra umanità. Dio entra nella battaglia come un condottiero, in prima linea senza risparmiarsi, non per mostrare il suo eroismo, ma per incoraggiarci e vincere con noi. Non è un modo comune per parlare del mistero dell'incarnazione, ma certo molto efficace.

Paolo sorprende il lettore per l'insistenza con cui richiama la sua comunità alla gioia. La gioia è così il primo segno della comunità cristiana, la gioia si traduce in amabilità, intesa come la capacità di mitezza, di moderazione nei rapporti con gli altri. Si può essere così se si ricorda che il Signore è vicino, non solo in maniera spirituale, ma presente nella storia e compimento della storia.
Il riferimento certo a Dio elimina l'angoscia dal cammino della comunità cristiana. L'altro segno che la comunità cristiana offre della sua prossimità con Dio, è quello della preghiera, che Paolo non solo chiede, ma motiva sottolineando che Dio risponde superando la capacità di comprensione umana. L'effetto più grande della preghiera è restare uniti a Cristo.
Gioia, amabilità e preghiera sono questi i segni della vicinanza di Dio a una comunità cristiana. Queste tre dimensioni non sono una questione di stile, parola che è entrata anche nella pastorale, ma questione di fede. La gioia è per l'Apostolo una cosa diversa dall'emozione, ma il frutto della fede; la benignità ne è la conseguenza e nemmeno in questo caso è un dato del carattere, ma una virtù che si sceglie e si realizza. Evidentemente la preghiera è questione di fede, qui è descritta in tutte le sue forme possibili, ma non come un esercizio astratto, piuttosto come dialogo stretto con Dio, nel quale si parla di sé, della comunità chiedendo di rimanere fedeli, di non lasciarsi assalire dall'angoscia.

Che cosa dobbiamo fare? È questa la domanda con cui si apre la pagina di vangelo di questa domenica; la domanda è rivolta a Giovanni e la risposta non contiene niente di eccezionale. C'è uno spaccato di mestieri problematici: soldati e esattori e non si chiede loro di smettere di fare quello che fanno, ma di farlo con animo diverso. Dopo questi dialoghi, Giovanni per rispondere a quelli che individuano in lui il Messia, rifiuta questa attribuzione e descrive le caratteristiche del vero Messia. Si tratta di qualità escatologiche; è infatti il più forte, superiore al Battista, che si descrive come infinitamente inferiore a lui, qualcuno pensa che in questa protesta di inferiorità Giovanni alluda alla dimensione divina del Messia. In più il battesimo del Messia non sarà in acqua, ma in Spirito santo e fuoco, altra allusione alla superiorità dell'azione del Cristo, che realizza la novità della vita, che nel battesimo di Giovanni era solo un desiderio. L'immagine del contadino che fa la scelta nel raccolto conferma la dimensione definitiva della presenza di Cristo nella storia.
La risposta di Giovanni agli esattori, i pubblicani, veri approfittatori del popolo e ai soldati, che chiedono che cosa devono fare per cambiare è straordinaria per la sua semplicità. La domanda che ci si può fare è se è veramente così semplice cambiare, se è solo una questione di volontà o di desiderio. Dice delle cose molto giuste, pensano le persone attorno a Giovanni, non sarà lui quello che aspettiamo?
Non è solo questione di buon senso risponde il Battista, non è solo un problema di desiderio di fare cose migliori di quelle di sempre; c'è bisogno di uno più forte, capace di rimettere Dio nel cuore dell'uomo; capace di bruciare come il fuoco tutto quello che lo rende un terreno spinoso in cui soffocano tutti i buoni propositi.
Ci vuole uno più forte, capace di fare una scelta fra quel che conta e vale e quel che non vale niente. È questa la descrizione del Messia, di colui che mette in condizione le persone di realizzare quello che desiderano perché lo trovano giusto e importante. Una trasformazione profonda del cuore, che deve trovare la forza per fare quello che riconosce come bene.

La nostra esperienza di uomini è affollata da buoni propositi, che non diventano realtà perché è difficile far quello che è giusto, perché rischia di creare incomprensione e isolamento. Chi ti credi di essere, si sentiva dire il soldato che si rifiutava di saccheggiare, oppure: «Ci rovini», sentiva dirsi l'esattore onesto dagli altri.
Ci vuole uno più forte che renda forte il cuore per affrontare il passaggio dalle frasi giuste al comportamento giusto. Ci vuole Dio nel cuore per rendere il cuore di un uomo capace di comportarsi da Dio, cioè in modo creativo, misericordioso, e per aiutare a discernere il grano dalla pula, quello che resiste al fuoco da quello che, invece, si brucia. La gioia nasce dalla consapevolezza che questa presenza c'è.

VITA PASTORALE N. 10/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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