Battesimo del Signore (C)


ANNO C - 10 gennaio 2016
Battesimo del Signore

Is 40,1-5.9-11
Tt 2,11-14;3,4-7
Lc 3,15-16.21-22
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CRISTO FA DI NOI
DELLE CREATURE NUOVE

Il profeta Isaia descrive una scena in cui Dio stesso manda messaggeri a Gerusalemme con la missione di consolare il popolo. Il motivo della consolazione è che Dio dice basta alla sofferenza e al dolore; afferma che è troppo quello che il popolo e la città santa hanno dovuto subire. Bisogna cambiare pagina, smettere di piangere e cominciare a prepararsi per la gioia, per la fine dell'esilio, della dominazione di Babilonia. Un messaggero è incaricato di risollevare l'anima di Gerusalemme, deve andare sul punto più alto della città e descrivere quello che vede, una visione di speranza, vede Dio come un condotti ero e lo vede anche come un pastore, condotti ero che dà forza e pastore che si prende cura delle pecore più deboli del gregge.
L'affanno del messaggero che corre per le strade della città e che parla a tutte le persone che incontra per esortare alla speranza disegnando scenari di gioia, fa pensare che come quelle persone, ognuno si può rassegnare alla durezza della vita fino al punto di non avere più nemmeno la voglia della speranza. La vita è questa! È una frase, che torna quando si tratta di dire qualcosa a chi si trova in difficoltà, ed è una frase disperata, perché prende atto che non ci sono vie di uscita. Dio stesso, ricorda Isaia, dice basta. Dio che dice basta e richiama alla speranza è ciò che ce lo fa amare, perché significa che si accorge di noi e delle nostre vite. Il basta definitivo alla sofferenza inutile, alla sofferenza ingiusta, Dio lo dice con la croce di Cristo.

È apparsa la grazia di Dio! Paolo in questa lettera propone una serie di comportamenti, di qualità e di doveri a tutte le categorie di persone, subito prima di queste parole aveva dato delle indicazioni persino agli schiavi chiedendo loro di non frodare i padroni, anzi di essere fedeli. A questo punto della lettera è come se si rendesse conto che quello che chiede è impossibile, che la stessa vita cristiana, è impossibile senza un fondamento. È allora che introduce la professione di fede che si legge nella liturgia di oggi, la fede nella divinità di Cristo, che è grazia di Dio, bontà di Dio, amore di Dio, misericordia, che raggiunge ogni credente con il battesimo. Possiamo vivere così perché Dio ci rende capaci di vivere così.
Quando si parla di vita cristiana, è evidente che si fa riferimento ai comportamenti: una vita non è fatta solo di idee e di sentimenti; queste cose devono tradursi ogni giorno in modi di fare, in scelte concrete. È sul campo del comportamento che si perde qualche battaglia, perché le idee belle poi si traducono in atti che non sono sempre facili da porre con certe persone e in certe situazioni. C'è bisogno per vivere una vita cristiana di una fede forte in Gesù Cristo che ci rende degni di amore (è la grazia di Dio) e buoni (è la bontà di Dio); c'è bisogno di credere nella misericordia di Dio che ci salva senza tener troppo conto dei nostri comportamenti, per non tenere troppo conto dei comportamenti degli altri. C'è bisogno di fede in Cristo per vivere da cristiani!
È Cristo che il Battista presenta al popolo in attesa, convinto che sia Giovanni il Messia atteso. Il popolo è in attesa di qualcosa di straordinario, è il simbolo del desiderio dell'umanità, che aspetta il Messia come colui che ridarà dignità e forza al cammino. Desiderare il Messia è desiderare Dio, che ridarà fiato alla speranza. Giovanni fa parte del popolo che attende e toglie ogni equivoco sulla sua persona, riconoscendo che lui non ha la forza per essere quello che loro vorrebbero, ma quello che loro attendono viene. È il più forte, immergerà nello Spirito Santo e nel fuoco; cioè farà entrare Dio nelle loro vite. È Gesù il più forte che viene e Luca lo mostra, ricevuto il battesimo, da una parte a pregare; i cieli si aprono e scende una colomba: cielo aperto, colomba, acqua e voce che si sente sono tutti segni che riportano alla creazione e che dicono che sta iniziando una creazione nuova; che il tempo del cielo chiuso, della creazione ferita e dell'estraneità di Dio è finito.

L'immagine del popolo sulla riva del fiume che ascolta il Battista facendo delle ipotesi sulla sua identità, è un'immagine forte di speranza, ma anche di impotenza. I loro pensieri che potrebbero essere tradotti con un «speriamo che questa sia la volta buona», sono pensieri belli, ma anche pensieri di chi è abituato a essere deluso da mille predicatori e pseudo profeti. In tutto questo vociare, ipotizzare emergono la figura di Giovanni, consapevole che lui non è il Messia, e la figura di Gesù, da una parte in preghiera. Giovanni dice che quello che loro desiderano è una cosa seria e che non è il caso di giocare sull'equivoco, dice che non si gioca con la speranza e con la vita. Tutti, oggi, basta che gli si diano un microfono e una telecamera, sia pure di una televisione piccolissima, in un qualunque social, non resistono alla tentazione di spiegare agli altri come vivere. Spesso, incuranti di chi li legge o li vede, spargono disperazione. Quanta nostalgia abbiamo di Giovanni che dice: non sono io, certe cose sono troppo serie, c'è bisogno di un altro.
Che sia una cosa seria lo mostra Cristo, che è da un lato in silenzio a pregare. Nel vangelo di Luca, Cristo è descritto in preghiera quando quello che si prepara è molto importante, come qui quando inizia la sua missione di riavvicinare gli uomini a Dio e di fare di noi delle creature nuove.

VITA PASTORALE N. 11/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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